Parlare del diritto di critica è di moda – fino a un certo punto. Il caso di Roberto Cristello, operaio ex Ilva licenziato per un commento su Facebook, e del Comune di Milano che limita le esternazioni dei dipendenti, con l’opinione di Fabio Salvi, dirigente delle risorse umane di Flixbus.
Coi libri tra gli attrezzi. L’azienda edile diventa club letterario
Un club del libro in un’azienda edile. E poi un laboratorio di scrittura, e un’opera lirica. Danilo Dadda, AD di Vanoncini Spa, racconta la sua idea di welfare.
“Ma tu ce l’hai, il dio dentro?”
È improbabile sentir dire queste parole a un imprenditore edile, e proprio qui sta il punto. Danilo Dadda è così, prendere o lasciare: fluviale, mentre si spertica sul palco del festival Nobìlita 2021 per raccontare all’auditorio l’etimologia di “entusiasmo”, enthousiasmos, “posseduto da una divinità”, appunto. Dice di voler cancellare il grigiore che viene accostato alla sua categoria – cemento, acciaio, progetti angolosi – e ad ascoltarlo si direbbe che è già a metà dell’opera.
Danilo Dadda: “Ecco come ho portato un club del libro in un’azienda edile”
Dadda è balzato agli onori della cronaca a inizio aprile per aver organizzato un club del libro all’interno dell’azienda di cui è amministratore delegato, la Vanoncini Spa di Bergamo. I componenti: manovali, muratori e operai di vario genere. Dopo il successo dell’esperimento ha deciso di spingersi oltre, organizzando un laboratorio di scrittura creativa e proponendo ai suoi dipendenti e collaboratori l’esperienza dell’opera lirica, sull’onda dell’entusiasmo che il club ha generato. Incuriositi, abbiamo chiesto a Danilo Dadda di parlarci della sua iniziativa.
“Io sono figlio di un muratore, sono nell’edilizia da una vita. Il mio sogno è che tutti possano pensare che l’imprenditore edile può essere illuminato, acculturato, etico, rispettoso dell’ambiente e capace di far crescere i dipendenti.”
Com’è nata l’idea del laboratorio di scrittura creativa?
La notizia del club del libro ha avuto una grande eco, tanto che è arrivata al Teatro Donizetti, il cui staff ha intercettato la notizia. Da lì sono nati i contatti virtuosi con loro.
Avete scelto un momento particolare per questo esperimento?
Abbiamo fatto la nostra riunione generale l’11 settembre. Si tratta di un evento che avviene due volte all’anno in cui sono presenti tutti i lavoratori, i collaboratori, ma anche i loro coniugi. È un momento di condivisione, di informazione, di amicizia, si parla anche di sicurezza. E questa volta abbiamo fatto un esperimento successivo a quello del club del libro: alla mattina abbiamo chiesto ai nostri collaboratori di scrivere. Siamo passati dalla lettura alla scrittura grazie all’ausilio di una persona esperta di questi temi, una professionista che aiuta le persone in carcere a rimettersi in gioco attraverso la scrittura. Ha stimolato i nostri lavoratori a scrivere qualcosa di loro stessi ed è stata veramente un’esperienza bellissima.
Partecipavano solo i membri del club del libro?
No, questa volta erano chiamati tutti, anche perché la riunione per la sicurezza è estesa a tutti. Non è obbligatoria, ma è un tema molto caldo (le morti sul lavoro, N.d.R.) a cui tutti teniamo.
Qual era il tema su cui bisognava scrivere?
Era interessante perché la psicologa stessa era in difficoltà, mi ha detto che di solito faceva i suoi esperimenti con gruppi da 15 persone, ma lì ce ne erano 90. La prima cosa che ha fatto scrivere riguardava l’origine del proprio nome. Sembra una cosa banale, ma non tutti conoscono il motivo per cui i loro genitori l’hanno scelto, per cui si chiedeva prima di tutto se lo sapessero. Qualcuno lo sapeva, qualcuno no, qualcuno si è stupito quando lo è venuto a sapere. Questo era un tema di primo coinvolgimento che è stato fantastico; poi invece abbiamo scritto su ciò che ci piace e su ciò che non ci piace. Quando abbiamo iniziato a fare questo esperimento sono entrati anche alcuni coniugi con i bambini, e hanno voluto scrivere e leggere anche loro. È strepitoso cosa possono scrivere i bambini: erano più allenati, sia a scrivere che a dire in modo trasparente le loro sensazioni e quello che pensavano. I bambini insegnano sempre qualcosa.
Quindi questo esperimento è stato un po’ come tornare bambini.
Sì, esattamente. Per le persone di cinquant’anni, ma anche per quelle di trenta, questa cosa è salutare, perché noi tutti nella vita abbiamo esperienze con persone che ti dicono “non sei capace, non ce la puoi fare” e limitano così il tuo potenziale, sia quello operativo sia quello espressivo, emozionale. Limitano il tuo potenziale di relazioni. È solo quando hai il coraggio di tirare fuori il bambino che c’è in te che tutto si ripristina. Allora scopri che è bello emozionarsi, fare apprezzamenti, dire quello che viene dal cuore. Quando quello che viene dal mio cuore incontra quello che viene dal tuo cuore accade qualcosa di affascinante.
Anche lei ha scritto e letto qualcosa?
Io sono uno che, come dice mio figlio, parlerebbe anche con gli idranti. Tendo a parlare tanto, forse troppo, quindi in quella circostanza ho preferito non invadere lo spazio degli altri e a lasciare il posto ai collaboratori. Se ci fosse stato il tempo, lo avrei fatto.
Per quanto riguarda la parte teatrale, invece?
La giornata è stata intensa perché, dopo la riunione e questo esperimento, il direttore artistico della Fondazione Donizetti, Francesco Micheli, ha portato l’opera nella nostra azienda. Abbiamo allestito un palcoscenico e abbiamo assistito alla rappresentazione di Lucia di Lammermoor, di Donizetti. Detta così potrebbe sembrare una trovata noiosa, ma Micheli è stato meraviglioso, l’ha spiegata e declamata in un modo adeguato per un pubblico di non esperti. C’erano una ventina di bambini che sembravano statue, incollati alle sedie per vedere la rappresentazione. C’era solo un attore, Micheli stesso, che attraverso musiche e supporti visivi si è esibito davanti a tutti noi.
Quindi il prossimo progetto potrebbe riguardare la recitazione?
Chissà che nel prossimo futuro possa saltar fuori un ruolo un po’ più attivo. So per certo che nell’azienda c’è qualche aspirante attore. La recitazione è una delle attività finalizzate a far venir fuori la prima persona che c’è dentro di noi, creando poi quei presupposti bellissimi, come una migliore conoscenza, un apprezzamento reciproco profondo, un desiderio di trovare qualcosa di bello da fare insieme.
Le è mai capitato di notare alcuni dei suoi dipendenti che, mentre lavorano, parlano fra loro del libro che stanno leggendo o di quello che hanno scritto?
Sì, perché ho affrontato un percorso per prestare maggiore attenzione alle persone in quanto tali, non solo come collaboratori, e mi ha aiutato a intercettare segnali che prima non vedevo. Le persone non sono solo soggetti che vengono qui con un ruolo, come il ragioniere, il geometra, il muratore e il capocantiere, ma hanno dei loro interessi. E allora puoi scoprire che uno suona la chitarra divinamente, un altro balla un genere che mai ti saresti aspettato, l’altro è innamorato di una serie di libri che viene da chiedersi dove li abbia trovati. La cosa bella è che, se fai raccontare loro questi interessi, queste persone si infiammano di passione per la cultura. Mi viene in mente quando all’esame di maturità un professore chiese a un mio compagno che cosa sapesse fare bene. Lui rispose che sapeva giocare a calcio, che sapeva palleggiare bene. Il professore andò a prendere un pallone e lo fece provare. Dopo una performance incredibile, si sciolse e riuscì a sostenere l’esame. Questo è il senso: bisogna mettere le persone nelle condizioni di potersi raccontare.
“Leggendo e scrivendo il cambiamento si vede quasi immediatamente”: parlano i dipendenti
Abbiamo seguito il suggerimento di Dadda e ne abbiamo parlato anche con alcuni dipendenti dell’azienda. Come Daniele, che si occupa del servizio clienti.
“È stato molto interessante anche com’è stato posto: in modo semplice, senza pretese. Ha lasciato molto campo libero, è stato valido per tirar fuori le proprie idee”, e anche se “la parte della scrittura non è nelle mie corde”, grazie alla scrittura creativa “si vede quasi immediatamente un cambiamento”. Per lui l’apporto dell’iniziativa è proprio quello di condividere le idee, di portarle in azienda. Il club del libro è invece un’occasione per riscoprire il piacere della lettura.
Giuseppe, capocantiere, prepara il personale e non ha ancora avuto il tempo di partecipare attivamente al club del libro con una sua presentazione, ma anche lui era al laboratorio di scrittura creativa.
“Io partecipo sempre a questi eventi, sono piacevoli. Ogni cosa che si ascolta e che si impara è sempre uno spunto per migliorare”. Per lui è stata un’occasione per riscoprire le sue passioni: scrivere e leggere davanti a tutti gli è stato facile grazie alla sua spontaneità. Anche per lui ci sono effetti visibili sui lavoratori, ma non senza difficoltà: “Fra noi ci sono molti lavoratori stranieri e non è sempre facile trasmettere loro ciò che pensiamo, ma a me piace questa linea”.
Il lavoro andrebbe raccontato anche quando è in buona salute, soprattutto in un settore come quello edile, che più degli altri è flagellato da infortuni mortali; i dati recenti parlano di una morte ogni tre giorni, un’enormità che in rete, a volerle cercare, sovrappone le notizie e le confonde in un’agghiacciante serialità. È questo che perdiamo, ogni volta che avviene: qualifiche e professionalità, passioni nascoste, vicinanze famigliari. E la possibilità di raccontarsi, per sempre.
L’articolo prende spunto dal panel “Olivettiani a loro insaputa”, che puoi seguire cliccando qui.
In copertina: Danilo Dadda, AD della Vanoncini Spa, sul palco di Nobìlita 2021 a Ivrea.
Credits: Domenico Grossi
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