Concessioni balneari, stop proroghe: la politica all’ultima spiaggia

Maurizio Rustignoli, Fiba-Confesercenti: “Nel settore 80% di perdite, cancellati gli investimenti. Chiediamo al Governo un tavolo di confronto immediato”. E gli imprenditori lamentano l’invisibilità delle spiagge minori e la mancata mappatura delle coste da parte dello Stato.

Luciano La Mantia, 64 anni, da venti è titolare di una concessione balneare per lo stabilimento Luna Beach alla seconda spiaggia di Porto Pino (Comune di Sant’Anna Arresi, Sud Sardegna). Quella detenuta da La Mantia è una delle 12.166 concessioni balneari attive in Italia, e la sua impresa fa parte delle oltre 30.000 realtà che operano sul demanio marittimo (stabilimenti, campeggi, alberghi, attività della ristorazione).

Anche l’attività di La Mantia, come gli altri concessionari, è interessata dalla sentenza 18/2021 del Consiglio di Stato, che ha posto il limite del 2023 alle proroghe ad libitum delle concessioni sul demanio marittimo. Dopo quella data tutte le concessioni verranno messe a gara, con una procedura che, secondo la sentenza, potrà essere definita entro i limiti temporali indicati.

Una decisione giusta per molti, non solo per dare applicazione alla direttiva europeaBolkestein” del 2006 sulla liberalizzazione dei servizi, ma anche per mettere fine a una serie di privilegi di una corporazione che lo Stato avrebbe protetto per troppi anni.

Tuttavia non è ancora chiaro come questa sentenza – e la conseguente applicazione della direttiva – possa risolvere annose questioni quali l’adeguamento dei canoni concessori, la riduzione dei costi per gli utenti, il miglioramento dei servizi o la gestione e la tutela delle spiagge libere. Per ora non si capisce neanche come verrà gestito il rimpallo di responsabilità, o quali saranno le conseguenze delle nuove disposizioni.

Una cosa, però, è chiara: i balneari non sembrano disposti ad attendere l’applicazione della sentenza per far sentire la loro voce.

Le spese dei balneari vanificate dalla sentenza: oltre al canone c’è di più

Il mondo dei concessionari non può essere ridotto alle vicende e ai numeri del Papeete o del Twiga, spiega Luciano La Mantia, e sono necessarie delle soluzioni che ne tengano conto.

È giusto regolamentare le concessioni, noi lo chiediamo da sempre, ma la politica non ha mai fatto nulla per risolvere la cosa. Ci viene contestato di pagare cifre troppo basse, ma chi avrebbe dovuto prevedere l’adeguamento dei canoni? Noi, o lo stesso demanio? Inoltre i paragoni costi/ricavi vengono sempre fatti con stabilimenti famosi, come quelli della Costa Smeralda o di Forte dei Marmi, ma non si parla mai delle spiagge dimenticate, dove si paga 15 euro per lettini e ombrellone.”

“Così come non viene mai specificato che, come per gli altri settori, il canone non è l’unica voce di costo. Ci spettano infatti anche le spese di salvataggio obbligatorio, a beneficio di tutta la collettività, l’imposta regionale sul canone, e poi l’IMU, la TARI, l’IVA, i costi di pulizia degli arenili per i detriti portati dal mare, e molto altro. Solo per montare e smontare lo stabilimento spendo ogni anno circa 15.000 euro, che non è un investimento ma una spesa a perdere.”

Come gli altri concessionari, anche La Mantia sino al 2010 aveva avuto il rinnovo automatico, poi abrogato per uscire dalla procedura di infrazione europea. Da quel momento in poi le concessioni di spiaggia sono state prorogate (prima al 2015, poi al 2020 e infine al 2033) senza che i governi trovassero una soluzione definitiva per adeguarsi alla direttiva europea.

Prima della sentenza, sulla base del contratto con lo Stato previsto dalla legge 145/2018 sino al 2033, le imprese balneari avevano fatto o previsto investimenti consistenti e avviato nuovi mutui con scadenze che vanno ben oltre il nuovo termine del 2023. “Io stesso avevo previsto degli investimenti di ammodernamento”, continua La Mantia, “ma allo stato delle cose li ho bloccati in attesa di capire come evolverà la situazione”.

Maurizio Rustignoli, Fiba-Confesercenti: “Danni economici e incertezza. Chiediamo al Governo un tavolo di confronto”

Secondo Maurizio Rustignoli, presidente Fiba-Confesercenti (Federazione italiana imprese balneari), il comparto balneare si aspettava una sentenza che mettesse in discussione parte della legge 145, o che desse indicazioni di non conformità. Le disposizioni indicate invece portano incertezza e preoccupazione, e cancellano le condizioni che erano state garantite agli imprenditori dallo Stato.

Rustignoli lancia l’allarme su quanto questa incertezza vada a pesare anche sul resto della filiera: “L’ultima edizione di metà ottobre del SUN (la fiera di settore di Rimini) aveva dato un ottimo risultato in termine di vendite per i partecipanti; dopo la sentenza quelle stesse aziende si sono viste cancellare l’80% degli ordini”.

Sempre per Rustignoli, poi, le attuali disposizioni previste dalla sentenza non solo non tutelano gli investimenti fatti sino ad oggi dagli imprenditori, ma non danno nemmeno certezze su come verranno strutturate le gare di evidenza pubblica o su come queste potranno garantire un servizio migliore.

Come funzioneranno i bandi? A chi offre di più? Il rischio è che il settore venga così monopolizzato da grossi gruppi internazionali, o peggio, da capitali illeciti. E che fine fanno il lavoro e la professionalità di chi ha sempre fatto questo mestiere?”, continua il presidente Fiba-Confesercenti. “Il modello di oggi va migliorato, ma non si può pensare di partire da un foglio bianco su cui scrivere le nuove regole che non tenga conto delle professionalità, degli investimenti e del lavoro svolto.”

“Come associazione di categoria dei balneari chiediamo al Governo un tavolo di confronto immediato, insieme alle Regioni, per trovare una soluzione. Non vogliamo un ripristino delle tempistiche della legge 145, ma chiediamo delle certezze. Se il problema è l’estensione del titolo concessorio, ma allo stesso tempo si offre ai balneari un riconoscimento della loro attività imprenditoriale o si ipotizzano dei diritti di prelazione, allora si può ragionare”, chiosa Rustignoli.

Lo Stato decide sulle concessioni balneari senza terminare la mappatura delle coste

Come spiegato dal presidente, “nel lasso di tempo sino al 2033, la legge 145/2018 prevedeva l’attuazione di una serie di altre procedure in capo a Stato e Regioni per l’armonizzazione dei principi italiani con quelli europei. Tra queste il riordino del demanio marittimo, atteso da più di dieci anni, per arrivare all’evidenza pubblica nel 2034 con regole chiare e condivise, basate su una conoscenza esatta della materia. Ad oggi, infatti, manca una mappatura completa dello stato delle coste nel nostro Paese”.

Come denuncia infatti il Rapporto Spiagge 2021 di Legambiente, i dati del Sistema Informativo Demanio marittimo (S.I.D.) non sono completi, soprattutto al Sud. Tra le informazioni mancanti, ad esempio, le coordinate precise per le geolocalizzazioni, o le cifre dovute per i canoni di concessione. “Come si può ragionare sulla scarsità di un bene se non lo si conosce?”, domanda Rustignoli, in riferimento al principio su cui si fonda l’applicazione della direttiva EU.

Se infatti è vero che, soprattutto al Sud, le concessioni balneari sono aumentate del 12,5% rispetto al 2018, è anche vero che non tutte le Regioni ad oggi sono dotate di un Piano dell’Arenile che stabilisca i rapporti percentuali tra spiaggia libera e spiaggia in concessione, e le situazioni che ne derivano non sono omogenee e non possono essere comparate.

La sentenza che spazza i privilegi non tiene conto dei casi virtuosi. E dei ricorsi

Quello che viene da chiedersi è se la domanda giusta che il Governo dovrebbe porsi non sia tanto come fare per applicare la direttiva EU, quanto cosa fare per migliorare la gestione del demanio marittimo.

Secondo il Rapporto Legambiente, i problemi del demanio vanno ben oltre l’adeguamento dei canoni o l’introduzione di bandi regolari. Tra questi: la mancanza di una normativa nazionale che regoli i criteri di aumento delle concessioni, l’assenza di premialità sui temi della sostenibilità e dell’inclusività dei bandi di gara, l’assenza di un piano per il contrasto dell’erosione delle coste, e la lista continua.

L’attacco indiscriminato ai privilegi della così detta corporazione dei balneari diventa così una visione riduttiva, che non tiene conto delle esperienze meritevoli, degli investimenti fatti nel tempo e del fatto che anche le associazioni rappresentanti della categoria dovranno essere chiamate in causa nella definizione di una nuova normativa che regoli la gestione del demanio marittimo.

Il rischio, se la situazione non si sblocca, è che oltre ai danni economici creati dall’incertezza del settore si resti comunque fermi, dopo il 2023, a causa di ricorsi infiniti da parte degli attuali concessionari a tutela degli investimenti fatti, perdendo così un’occasione per stimolare la crescita del comparto e trovare una nuova via per valorizzare il bene comune delle spiagge.

Foto di Rita M. su Flickr.

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