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Il paradosso del CRM
L’idea di aziende data driven, e cioè guidate dall’analisi di tutti i dati necessari, e l’idea che le decisioni vengano prese sulla base di solidi dati a supporto sono solo miraggi. Data driven è un termine ideale, di difficile attuazione anche per le grandi corporate, quelle che non hanno mai problemi di budget. Ci potremmo accontentare, piuttosto, che le industrie […]
L’idea di aziende data driven, e cioè guidate dall’analisi di tutti i dati necessari, e l’idea che le decisioni vengano prese sulla base di solidi dati a supporto sono solo miraggi. Data driven è un termine ideale, di difficile attuazione anche per le grandi corporate, quelle che non hanno mai problemi di budget. Ci potremmo accontentare, piuttosto, che le industrie italiane siano data informed, cioè che le decisioni vengano prese in modo consapevole, tenendo conto del significato di dati reperibili con relativa semplicità.
Invece, il primo paradosso è che la nostra cultura ama vantarsi di decisioni oggettive, che però poi vengono prese quasi sempre “di pancia”, d’istinto. La nostra cultura, infatti, tributa grande onore all’istinto, scordandosi che questo basa spesso le proprie decisioni sulla paura. E la paura non è esaustiva quando ci si vuole confrontare con un mondo che non ha più i confini del conosciuto e del circoscritto. Così, spesso ci accontentiamo di essere guidati da singoli episodi, senza avere idea del perché questi capitino.
Sono questi i paradossi dell’impresa di oggi, che ha tutti gli strumenti a disposizione per conoscere il suo mercato e il suo cliente, ma che poi rimane comunque miope, destinata a deludere. Assumi un nuovo commerciale e dopo due mesi lo vuoi licenziare. Lo vuoi licenziare perché non rende, senza però sapere qual è il periodo medio che, nel suo settore, è necessario per portare risultati; senza sapere se l’area che gli è stata assegnata è profittevole; senza conoscere i clienti che gli sono stati affidati e senza sapere come mediamente si sono comportati i suoi colleghi durante la fase di inserimento. In definitiva, si prendono decisioni senza guardare quei dati, che magari le aziende hanno a portata di mano.
Dove sono i dati?
I dati spesso sono nell’ERP, fra le email, nei fogli Excel che si producono per le riunioni, nelle slide Power Point, nei cataloghi cartacei, in qualche PDF non modificabile nei PC e “nelle teste” dei dipendenti. Ma sono tutti dati difficilmente consultabili: quando servono, spesso non si sa neanche chi li conservi e qual è la loro versione più aggiornata. La prima volta che ci si accorge che non c’è controllo sui dati è quando si deve fare il budget. Si sa quanto si è fatturato, ma si percepisce che sarebbe utile avere più informazioni. E allora, a cosa si pensa? Si pensa a comprare un CRM.
CRM: la panacea di tutti i mali?
Ecco perché, le aziende acquistano un CRM: per leggere questi dati e per prendere decisioni: basandosi il più possibile sui fatti e non sulla fallacia delle sensazioni.
Salvo, poi, fare inspiegabilmente tutto il contrario.
Certo, il Customer Relationship Manager è ormai una commodity, a dire il vero abbastanza standardizzata. Al di là vendor scelto, la maggior parte delle funzioni è identica; ma quando si compra un CRM non si compra un software, bensì una soluzione. Una soluzione che ha un impatto molto forte sull’organizzazione aziendale. Gestendo le informazioni sui clienti, la parola CRM si paleserà davanti a ogni argomento: il customer care, le vendite, la marginalità, la programmazione della produzione, il rendimento delle fiere, il controllo dei costi. E chi più ne ha, più ne metta.
Peccato che i progetti CRM falliscano spesso
È davvero paradossale come le aziende acquistino il CRM per migliorare le proprie performance, per poi disconoscerlo ogni volta che si presenta il conto di questo cambiamento. Infatti, oltre il 60% dei progetti CRM fallisce, spesso perché i vertici aziendali acquistano il progetto ma lo disconoscono subito. I numeri non mentono e le sconfitte per la nostra cultura hanno un valore davvero troppo negativo. Come si può amare uno strumento che ti dice con precisione spietata se le tue azioni hanno portato risultati? Il CRM non mente e la possibile mortificazione che portano le sconfitte non è amata dal management, che più o meno inconsapevolmente boicotta il progetto fino a sopprimerlo. Anziché sfruttare questi dati per migliorarsi, spesso è più comodo “raccontarsela”.
Cosa uccide concretamente il CRM
Nessuno dirà mai a parole di avere fatto un investimento sbagliato e di odiare il CRM: parleranno sempre e solo i fatti. Se il vostro capo, dopo aver investito così tanto nel CRM, continuerà a chiedervi i report in Excel e a domandare di essere aggiornato sulle trattative, anziché guardare i dati e i report inseriti , quel capo sta boicottando il CRM. E un capo che richiede un cambiamento ai suoi uomini senza essere disposto in prima persona a vivere quel cambiamento insieme a loro è un paradosso che la sua squadra non tollererà.
Ricordo un Amministratore Delegato promosso di fresco, che volendosi ingraziare la forza vendite che brontolava per il nuovo CRM pensò di dire che con lui avrebbero anche potuto: «Scordarsi del CRM, che i meeting si fanno guardandosi negli occhi e che i dati (da vero uomo!) li avrebbe scritti lui su un pezzo di carta». Preferiva, in definitiva, il rapporto schietto e diretto. Il risultato di questo “machismo”? Da quel giorno il CRM “non se lo è filato più nessuno” e tutti sono tornati a lamentarsi del fatto che il capo chiedesse report impossibili, che li chiedesse sempre all’ultimo momento — lamentando i continui cambiamenti del formato Excel — e che pretendesse di essere aggiornato sulle trattative, anche in assenza di novità.
Un altro paradosso che riguarda il CRM è quello di raccogliere dati di ogni tipo senza usarli mai. In questo caso, i commerciali che inseriscono dati dovrebbero davvero lamentarsi quando il frutto del loro sforzo viene “messo in stiva” e mai utilizzato. Non si inviano newsletter, non si fanno campagne di marketing, non si fanno riflessioni approfondite su potenziali nuove nicchie di mercato da poter raggiungere, non si analizzano i feedback dei clienti.
Sui dati, quindi, emerge un duplice problema: da un lato il loro mancato utilizzo, dall’altro la sempre più frequente mancanza di analisi di questi dati da parte delle aziende. La capacità di analisi dei dati è spesso davvero infantile: se i numero crescono è bene, se scendono è male. Fra questi due estremi esistono, invece, tutte quelle informazioni che porterebbero a evitare assunzioni senza speranza, investimenti in aree sbagliate, lanci commerciali azzardati, produzioni che avanzano nel magazzino e fiaschi ampiamente prevedibili.
Il grande assente
Nella mia carriera ho visto tante installazioni di CRM e una, in particolare, è ancora oggi un progetto fra i più grossi gestiti dall’Italia. In tutte le riunioni fatte, in tutte le aziende visitate, ho visto troppo spesso ergersi in tutta la sua grandezza un grande assente: il cliente. Mille discorsi su quale CRM avesse una feature in più, sulla possibilità di spendere meno; mille litigi fra dipartimenti per attribuirsi il carico del data entry, una miriade di analisi su quali dati potessero servire. Ma le volte in cui si è parlato del cliente si possono contare sulle dita di una mano. Le volte in cui è parlato di dati, utilizzabili per servire meglio il cliente e non per giustificazioni interne sono davvero una piccolissima parte.
Questo è un po’ il paradosso del Customer Relationship Manager: acronimo di tre lettere, in cui il significato di relazione con il cliente si è un po’ smarrito per strada e dove spesso rimane, finché dura, solo la parte di gestione.
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