Deliveroo, flop in borsa: lo sfruttamento dei lavoratori presenta il conto?

Il tonfo di Deliveroo pochi minuti dopo il debutto alla Borsa di Londra è imparentato con gli scioperi dei lavoratori Amazon: una lezione per le aziende del food delivery e non solo. Scopriamo perché con l’esperto di reputazione digitale Andrea Barchiesi.

Era stato presentato come un debutto da record, il più alto dal 2013 nella borsa di Londra, ma la quotazione di Deliveroo si è rivelata un flop.

Fino a un mese fa la valutazione era di 8,8 miliardi di sterline, ossia 10,50 miliardi di euro. Il valore dell’offerta pubblica iniziale (Ipo) era di 7,6 miliardi di sterline, pari a 8,9 miliardi di euro, ma dieci minuti dopo l’apertura della contrattazione aveva già perso il 30%. Il range iniziale per l’azione singola, di 3,90 – 4,60 sterline, è stato abbassato a 3,90 – 4,10 sterline, ma il prezzo finale è stato di 2,87 sterline.

Il totale della vendita era di 384 milioni di azioni, ossia il 21% del capitale, per un valore complessivo di 1,5 miliardi di sterline, di cui 1 miliardo entrato nelle casse della società e 500 milioni in quelle degli azionisti che hanno venduto durante il collocamento, tra cui lo stesso CEO di Deliveroo, Will Shu (26 milioni di sterline), e Amazon (91 milioni di sterline), che aveva di recente investito 575 milioni di dollari nel capitale dell’azienda.

A rimetterci sono stati i risparmiatori, che si sono buttati nell’acquisto durante i primi minuti di contrattazione, sicuri di un rialzo. Sono circa 70.000, e non potranno vendere i titoli fino al prossimo mercoledì.

Eppure la notizia dell’investimento di Amazon, avvenuto a metà marzo, aveva portato le concorrenti a perdere quotazioni in borsa: Just Eat era precipitata dell’8,3%, Takeaway.com del 4,6% e Delivery Hero del 2,3%.

Le motivazioni dietro questo flop sono dunque da cercare al di fuori della finanza.

Deliveroo, la quotazione in borsa è un flop. Colpa del cottimo?

Deliveroo è da mesi oggetto di critiche da parte dei sindacati e dei suoi rider per le politiche lavorative sfavorevoli. La scorsa settimana, in Italia, è avvenuto uno sciopero nazionale contro il contratto imposto dall’azienda, che comporta un cottimo mascherato e una riduzione dei guadagni dei lavoratori. Lo stesso vale per Amazon, la cui filiera si è completamente fermata il 22 marzo a causa del malcontento dei lavoratori.

È dunque probabile che le grandi società che avrebbero investito sui titoli Deliveroo si siano tirate indietro a causa dei problemi sulle condizioni dei rider, che pregiudicano l’inclusione della società negli investimenti che rispettano i requisiti di sostenibilità (ESG, Environmental, Social and corporate Governance).

Anzi, esiste la possibilità che la società possa per questo finire in una lista nera e che venga colpita da provvedimenti giudiziari (la maxi inchiesta di Milano), o più semplicemente che nuove norme sulla tutela dei lavoratori ne riducano gli utili.

Quando la reputazione rovina gli affari

Per capire meglio il perché del fallimento delle quotazioni di Deliveroo abbiamo intervistato Andrea Barchiesi, esperto di analisi e gestione della reputazione digitale e fondatore di Reputation Manager.

“Oggi i temi della sostenibilità, intesa non solo in senso ambientale, ma anche nei confronti dei dipendenti, incidono molto sulla reputazione di un’azienda”, ci spiega Barchiesi, “ma non per un fatto sociale. Non siamo di fronte a un risveglio improvviso di coscienza sociale da parte delle multinazionali; semplicemente le tematiche ESG sono diventate sensibili al consumatore finale, quindi anche agli investitori. Un gioco di sponda, come nel biliardo. Non è un’importanza culturale, ma perché i fondi che investono in società ESG hanno dimostrato di avere performance superiori. La finanza moderna si è quindi evoluta premiando questo aspetto. Il contrario viene penalizzato”.

È il cosiddetto employer branding, che se ben comunicato può dare ottimi risultati nell’impatto col cliente, e di conseguenza col fatturato e con il valore in borsa.

“Quando si fa un Ipo si guarda la profittabilità, ma anche la rischiosità. Qui rientrano gli ESG: questi parametri sono importanti nel determinare l’andamento di un brand, crescente o decrescente. perché se tutto il modello di business è basato su pratiche che possono essere sanzionate dal modello normativo di uno Stato, la profittabilità cambia radicalmente.”

Gli ESG, i requisiti di sostenibilità che guidano gli investimenti

Se quindi si deve valutare l’azione di una società come Deliveroo non basta guardare i ricavi, ma bisogna considerare che il suo modello di business potrebbe essere messo in seria difficoltà da una nuova normativa. Se si costruisce un’azienda pensando di pagare ogni rider solo un euro a consegna, quello che si forma altro non è che un castello di carte, pronto a essere demolito da una sanzione o da un commissariamento, come nel caso di UberEats a Milano. Gli ESG quindi non incidono direttamente sull’Ipo, ma sul medio periodo dell’impresa, che a sua volta condiziona la rischiosità del titolo.

“È una sfumatura delicata. Nell’Ipo si investe denaro, quindi si cerca di capire se sarà un denaro profittevole e se presenta dei rischi o meno. Se aderisco a un’azienda quotata 2 sterline ad azione, e poi un incidente normativo ne comprime i margini del 70%, è chiaro che non rivedrò il mio investimento. Cosa diversa per i brand B2C ( come per esempio Barilla e lo scivolone alla Zanzara, ndr) che avendo dei comportamenti non-ESG, causano onde non gradite nell’opinione pubblica, che tende poi a scegliere altri marchi. È qui che diventa importante l’ESG.”

La rilevanza dell’impatto sociale dell’azienda può essere quindi un effetto e non una causa dell’andamento della stessa. Questi temi stanno prendendo molta rilevanza nella finanza ed è un buon segno, ma non sono tutti direttamente correlati all’impatto con il consumatore.

“Ci sono molti indici di sostenibilità – continua Barchiesi – ma all’utente finale il bilancio di sostenibilità non interessa davvero. Alcuni premi e indici sono medaglie, coccarde che però non vede nessuno, quindi non hanno valore per quel tipo di obiettivo. Spesso hanno valenza solo fra le aziende o all’interno delle stesse. Quelli che possono incidere in situazioni simili a Deliveroo sono quelli riconosciuti al pubblico, mentre alcune classifiche, come quelle sull’influencing, sono inutili, si occupano di volume, non di qualità o di effetto sul pubblico e la clientela.”

Andrea Barchiesi: “Senza la pandemia i problemi di Amazon e Deliveroo sarebbero emersi tra sei-sette anni”

Resta da vedere come continueranno le contrattazioni dei titoli la prossima settimana. Certo è che questo flop può essere una lezione importante per il settore del food delivery, o meglio ancora, di tutta la logistica. Per Barchiesi, è un evento che avrà un impatto su tutto l’e-commerce.

“Queste tensioni sono orizzontali sul mercato. Anche Amazon sta sperimentando problemi simili. Non è fuori norma, ma viene accusato di stressare all’inverosimile le prestazioni lavorative dei suoi dipendenti, che è un altro componente degli ESG. Non è un caso che queste onde, apparentemente separate, emergano tutte in questo momento. La pandemia ci ha costretto ad affidarci ancora più di prima a queste aziende e ci ha portato sette anni avanti sulla maturazione di queste questioni. Stiamo assistendo a un’anticipazione”.

Le rivendicazioni hanno quindi avuto un eco molto più forte del previsto. Ma c’è di più. Il gigante delle consegne ha cambiato molto la vita dei consumatori e dei negozi. Anche questo può essere un effetto che, di sponda, colpisce gli ESG.

“Tutto il settore è sotto tensione per i costi della logistica e si porterà dietro molti problemi seri, in primis l’enorme contrazione del mercato fisico, con la chiusura di moltissimi rivenditori”, dice Barchiesi. “La capacità esponenziale dell’e-commerce di distruggere la concorrenza con la comodità che porta al consumatore è un fattore fortissimo. Questo mette da un lato la contrazione del mercato fisico a favore delle grandi piattaforme, dall’altro crea un impatto sociale molto complesso, fatto di fallimenti dei negozi, disoccupazione, dipendenza dei ristoranti dalle app, rider scontenti. Senza la pandemia, le persone più preparate si sarebbero aspettate questo problema fra sei o sette anni. Invece sta accadendo tutto adesso”.

Photo credits: italiaatavola.net

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