La parola “lavoro” viene spesso associata al concetto di regole. Regole che riguardano l’aspetto normativo e comportamentale delle persone e regole di funzionamento delle aziende. In accordo con una delle basi fondamentali del nostro pensiero: “Se esiste una cosa deve esistere il suo contrario”, concetto affermato non solo da Eraclito di Efeso (Efeso 535 a.C.-475 […]
È giusto cambiare gli obiettivi in corsa?
Pronti! Ai posti! Via! Era con queste parole che le mie due figlie iniziavano le loro gare di corsa. Dall’albero al muretto. Solo che bastavano pochi passi alla figlia minore, molto più atletica della maggiore essendo la primogenita votata ad un oculato risparmio delle energie, per creare un distacco incolmabile ed essere ormai vicina al […]
Pronti! Ai posti! Via!
Era con queste parole che le mie due figlie iniziavano le loro gare di corsa. Dall’albero al muretto. Solo che bastavano pochi passi alla figlia minore, molto più atletica della maggiore essendo la primogenita votata ad un oculato risparmio delle energie, per creare un distacco incolmabile ed essere ormai vicina al muretto/traguardo. E regolarmente a questo punto la maggiore, nemmeno arrivata a metà del tragitto, gridava: “Cambio!” e trotterellava vittoriosa verso l’albero di partenza divenuto ora, unilateralmente, traguardo.
Mi ha sempre fatto sorridere questo sviluppo surreale delle competizioni tra le mie figlie e non avrei mai pensato di ritrovarlo nel mondo aziendale. Eppure lo scorso anno mi è successo tre volte. La prima mi sono davvero stupito. Un’azienda mi ha chiesto di realizzare un intervento per una convention straordinaria, organizzata per comunicare alle forze commerciali che il budget annuale, negoziato e concordato a inizio anno, veniva modificato unilateralmente, aumentandone sensibilmente la portata.
Quando mi è stato comunicato lo scopo della convention la prima reazione è stata di semplice sconcerto con l’impulso di verificare se fosse presente una telecamera nascosta, la seconda è stato un pensiero alla corsa delle mie figlie, poi è iniziata nella mia mente una sequenza di voci. Sono arrivati tutti da Herzberg, a Bandura da Maslow a Kottler, persino Taylor con il suo cottimo differenziale era nella mia testa a gridare con la stessa rabbia della mia figlia piccola: “Non si fa! Così non vale!”.
Tutto quello che avevo studiato e condiviso in tanti anni veniva contraddetto da questa pratica e mi sono sentito di comunicarlo al cliente. La risposta è stata laconica ma efficace: “Non abbiamo alternative!”. Così ho accettato questo primo mandato e mi sono presentato il giorno della convention pronto a toccare con mano le reazioni violente da parte della forza commerciale. Qui è arrivata la sorpresa più forte: non c’è stata nessuna reazione violenta, la convention si è svolta regolarmente in un clima né triste né rabbioso, semplicemente si respirava nell’aria una realistica presa d’atto. Lo stesso clima che ho ritrovato nelle convention di altre due aziende che poco dopo mi hanno richiesto di intervenire in situazioni analoghe.
Questi episodi mi sono sembrati in un primo momento un cambio di paradigma epocale, poi cercando di ampliare la prospettiva ho letto tre aspetti diversi che in fondo hanno ristrutturato il mio sconcerto. Il primo è che, più che di un cambio di paradigma, si tratta dell’evoluzione di un processo che era già iniziato quando le aziende hanno cominciato a chiedere sforzi straordinari rendendoli poi ordinari, utilizzandoli quindi come base per richiedere nuovi sforzi straordinari. Un processo che era appunto iniziato ai tempi del cottimo differenziale quando esisteva la dialettica tra chi rilevava i tempi cercando di tararsi sulla miglior prestazione e chi lavorava tenendo sempre un po’ di margine.
Poi c’è stato appunto il periodo in cui ai lavoratori venivano richiesti sforzi straordinari, ma venivano riconosciuti appunto in quanto straordinari e soprattutto erano a termine.
Fino ai tempi nostri con lo straordinario che diventa ordinario, prodromo della possibilità di cambiare le regole a gioco avviato. La seconda considerazione è forse la più ovvia: evidentemente anche chi lavora riconosce che “Non abbiamo alternative!” e in momenti in cui il posto di lavoro non è garantito come non lo è la sopravvivenza dell’azienda diventa possibile accettare quello che fino a qualche tempo fa sarebbe stato inaccettabile. Infine una terza considerazione che contiene anche un minimo di ottimismo.
Non credo che tutte le aziende potrebbero proporre un cambio di obiettivo in corso d’opera. Possono farlo le aziende che hanno conquistato un adeguato livello di credibilità presso i propri collaboratori e nelle quali la rappresentazione interna è sufficientemente condivisa. Questo permette di rendere accettabili i cambiamenti, anche quelli che coinvolgono un livello logico diverso e quindi sono più estremi.
E così mi si chiarisce perché le mie figlie hanno continuato per anni le loro sfide surreali.
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