Editoriale 78 – Effetto Nobìlita

Nobìlita è il festival della cultura del lavoro e non “un altro festival sul lavoro”. L’importanza di raccontare una storia diversa e renderla divulgativa.

Verso la fine degli anni Novanta, quando il personal computer aveva assunto il ruolo ufficiale di elettrodomestico a tutti gli effetti, i programmi di scrittura così come i data base e qualsiasi altro applicativo gestionale avevano già al loro attivo cinque o sei aggiornamenti (versioni) ed altrettanti competitor. Un claim abbastanza diffuso per lanciarne di nuovi era il classico “this Is Not Another…” quasi a sottolineare che sì, di programmi di quel genere ce ne sono certamente molti, ma questo “non è il solito”.

Mi prendo lo spazio di questo editoriale, in via del tutto eccezionale, in occasione dell’uscita cartacea di SenzaFiltro, per raccontare perché Nobìlita non è un altro Festival sul lavoro.

Un altro Festival del Lavoro di fatto in Italia esiste da qualche anno ed è organizzato dall’Associazione dei Consulenti del Lavoro. Un progetto che ha un evidente obiettivo di posizionamento in area politica, tanto che gli speaker sono Ministri del Governo e rappresentanti dei vari partiti, in cui il lavoro viene filtrato attraverso linee e programmi politici. Dico questo unicamente per spiegare sia gli obiettivi che il contesto in cui Nobìlita (Festival della Cultura del Lavoro) e il Festival del Lavoro dei Consulenti del Lavoro muovono i loro passi.

Il percorso che porta a Nobìlita nasce dieci anni fa attraverso la creazione di FiordiRisorse, una community manageriale che ha avuto la forza (e il coraggio) di rimanere sempre molto distante dall’associazionismo di categoria, dalla politica in generale e dai trend di pensiero nello specifico. Ha sempre cercato di offrire chiavi di lettura differenti, alla scoperta di personaggi poco noti e spesso nascosti nelle pieghe delle aziende che potessero offrire contenuti e visioni moderne quando ancora il management italiano era al palo sui grandi temi dei talenti e dell’innovazione (con il primo le risorse umane hanno campato per dieci anni come vera e propria arma di distrazione di massa, con il secondo si stanno costruendo castelli di sabbia guardando a modelli culturali e sociali distanti anni luce dalla realtà del nostro Paese, referenziando discutibili opinion leader). Ma, soprattutto, FiordiRisorse ha costruito la sua credibilità tenendosi sempre distante da salotti autoreferenziali e vetrine che ne avrebbero certamente accelerato il successo, cedendo a caro prezzo un’identità che oggi è invece ben radicata e molto riconoscibile.

Dopo 6 anni di cultura manageriale raccontata negli auditorium, nei teatri, nei musei e anche nelle reception delle aziende opportunamente allestite per ospitare una serata di questa nostra community, abbiamo deciso di registrare una testata giornalistica che fosse l’amplificatore di nuovi modelli culturali, quelli che vediamo in prima persona tutti i giorni crescere ed evolvere, ma anche soffocare e morire nelle nostre imprese. L’editoria italiana ci permetteva uno spazio molto ampio.

Il Sole24Ore e Italia Oggi erano i due giornali con un target di riferimento molto preciso: commercialisti e consulenti del lavoro in costante aggiornamento, manager e imprenditori assorbiti da numeri, processi, strategie o anche, in alcuni casi, semplici addobbi per ascelle in cerca di un tono professionale. Business People, il Mondo e l’inserto di Panorama erano magazine più leggeri, con una buona predisposizione alla pubblicità (in trasparenza) e in certi casi alle marchette, attitudine fortemente accentuata dopo la chiusura di queste testate e che ha trovato la sua massima espressione in Forbes Italia, specchietto per le allodole nel richiamo a un titolo di tutto rispetto ma non altrettanto rispettoso di un mondo imprenditoriale e manageriale italiano che ha un’immagine ben diversa dalle pettinature e dalle storielle proposte da questa fanzine.

Senza Filtro ha cercato lo spazio che mancava, quello di divulgazione di temi attraverso la voce e le parole di chi ogni giorno vive l’azienda, incrociando le idee di chi scrive per professione. Il modello di Senza Filtro è unico perchè abbiamo voluto sperimentare la contaminazione fra persone di azienda e giornalisti, autori di libri, manager, intellettuali e comunicatori e metterli a confronto, creando un modello di informazione che da un lato fosse comprensibile a tutti e dall’altro si elevasse nella qualità della parola, rendendo questo giornale divulgativo, formativo e istruttivo al tempo stesso.

Ci sono voluti 4 anni di rodaggio in cui abbiamo sperimentato e testato redazioni molto diverse fra loro, in cui abbiamo proposto un modello di collaborazione e formazione interna che molti giornalisti della vecchia guardia ci hanno riconosciuto come “unico” o appartenente ad un modello che non esiste più poichè non competitivo nel tempo della iper-velocità, dell’informazione cotta e mangiata, veicolata dai social o dai blog, assoggettata alla smania del click.

Ce lo hanno riconosciuto i giovani giornalisti, quelli pagati altrove da 2 a 10 euro ad articolo e costretti a scrivere 10 articoli al giorno, a non potersi mai recare sul posto o impossibilitati a fare un’intervista di persona per una evidente insostenibilità economica. Spendiamo con loro tantissimo tempo – grazie ad un direttore e ad una redazione di grande qualità – nel correggerli, nell’aiutarli a migliorare, nel rendere il lavoro una missione da raccontare con intelligenza e passione. Ma anche con cura e onestà.

Nobìlita più che un Festival è una conseguenza e, in quanto tale, non ha goduto di ricerche di mercato, di valutazione dei competitor, di uno sviluppo tipico da business model canvas, per intenderci. Però avevamo tutti le idee molto chiare: sarebbe stato un’occasione di condivisione con la città; avremmo spiegato i temi più urgenti e spesso anche ostici in modo chiaro, leggero, attraverso testimonianze importanti, con un occhio di riguardo alla cultura del lavoro, e se necessario alla polemica, ma con la promessa di non strizzare l’occhio a nessuno. Prima di tutto agli sponsor.

Il ruolo degli sponsor al festival è un ruolo di grande integrità morale e di responsabilità sociale. Chi ha supportato il nostro festival ha accettato di non salire sul palco a fare il teatrino cui troppo spesso ci tocca assistere a convegni ed eventi. Gli sponsor hanno supportato un modello culturale, un modo nuovo di parlare di lavoro, di offrire alla città speaker di alto livello, di costruire insieme una nuova idea di lavoro aiutando i giovani a capire meglio il proprio futuro e ai più anziani a insediarsi meglio in questo presente. Finalmente le aziende iniziano a comprendere che non è parlando a tutti i costi che si fa branding. Non è sponsorizzando un progetto o spingendo un prodotto che si fa la differenza sui competitor. Le aziende iniziano a comprendere che è attraverso l’etica e la promozione di valori comuni che si attraggono i consumatori e si fidelizzano i collaboratori.

Stefania Zolotti, a cui ho sottratto per una volta l’editoriale, lo spiega molto bene in un articolo dedicato esclusivamente al ruolo degli sponsor di Nobìlita. Ci fregiamo di aver fatto vera innovazione e aver trovato una modalità straordinaria e molto più efficace e concreta di cambiare le regole di un gioco ormai obsoleto insieme a nove coraggiosi sostenitori.

Anche nella individuazione dei temi per i panel, Nobìlita si è rivelato fin da subito coerente con il modello dettato da Senza Filtro. Abbiamo sostituito il tradizionale Comitato Scientifico con un Comitato Contaminato: cinquanta persone provenienti da aziende, dalla società civile, dalle istituzioni; manager, imprenditori, professionisti della comunicazione e liberi professionisti; giornalisti e opinionisti. Un pomeriggio di discussione, di proposte che vengono poi elaborate, raccolte, fermentate e da cui poi si comincia a cercare gli speaker, le esperienze, le testimonianze con cui sostenere i temi scelti per offrirli alla città.

Perchè Bologna, Emilia Romagna. E’ evidente che intorno al tema e ai temi del lavoro ci siano tantissime forzature: modelli spesso malamente importati, spaccature e frizioni dovute a un tessuto territoriale nonché imprenditoriale del nostro Paese profondamente diverso ogni cinquanta chilometri. Tuttavia, c’è una serie di denominatori comuni che rendono il nostro Paese unico, unito e ne configurano la sua identità. Il Made in Italy è il primo di questi, ciò per cui veniamo riconosciuti ed apprezzati nei mercati esteri. Le industrie di riferimento: alimentare, meccanica, metalmeccanica, turistica, automotive, moda, arredamento, design, siderurgia. A questo background vanno aggiunti i modelli culturali in evoluzione, le trasformazioni con cui i lavoratori devono confrontarsi ed adattarsi: dal lavoro agile, alla formazione, alle relazioni professionali e manageriali che sono in progressivo cambiamento soprattutto in virtù dell’entrata nel mondo del lavoro di nuove generazioni, ma soprattutto se guardiamo avanti nell’ottica di un miglioramento dell’equilibrio fra vita personale e vita professionale è evidente il motivo per cui, da attraversatore di questa terra e senza alcun campanile da promuovere, abbia scelto l’Emilia-Romagna come luogo perfetto per la confluenza di tutti questi affluenti.

In Emilia è ancora molto presente una forte identità italiana nel suo modello industriale, la fabbrica si è fortemente evoluta (quella con i camici bianchi e la grande automazione che nessuno racconta più ai ragazzi), il puzzle straordinario di aziende (patronali, familiari, multinazionali, cooperative, sono qui tutte perfettamente rappresentate) ma soprattutto il grande equilibrio di chi lavora e vive in queste terre e dà ancora una grande importanza alle relazioni, alla cultura, all’apertura mentale e alla creatività che sono linfa vitale per qualsiasi lavoro.

A questo aggiungiamo anche un forte impatto etico. In Emilia Romagna non solo c’è una concentrazione importante di B-Corp, modello imprenditoriale che unisce le logiche del fatturato a quelle della restituzione al territorio, ma in Emilia è nata la prima ed unica proposta di Carta dei Diritti dei Lavoratori Digitali ad opera di un’Amministrazione Pubblica (l’Assessorato al lavoro di Bologna presidiato da Marco Lombardo), plaudita vigorosamente dal Governo, ma nei fatti poi barattata (o almeno, la coincidenza è effettivamente molto particolare) per una sponsorizzazione di Deliveroo alla piattaforma di Casaleggio & Associati. Così come anche dall’Assessore al Comune di Milano Cristina Tajani, che ha preferito tenere una linea di condotta eticamente molto discutibile per il ruolo istituzionale che rappresenta e decisamente “consenziente” nei confronti dei grandi player del food delivery che minacciavano l’abbandono dall’Italia, cedendo di fatto a un ricatto e garantendo continuità a pennellate di innovazione ancora troppo superficiali per una città evidentemente più convincente e familiare ai temi dell’apparire e del design.

Un’occasione persa, considerando non solo che la favoletta degli studenti che arrotondano per mantenersi agli studi fa acqua da tutti i pori guardando le statistiche dei lavoratori del food delivery, così come fa acqua lo storytelling che si ama raccontare nei soliti coworking dell’innovazione a catalogo a proposito della necessaria evoluzione dei modelli contrattuali, se questi si riducono ad una misera operazione di ritorno al 1940, ai tempi del cottimo. Scuse accampate senza nessuna proposta all’attivo, unicamente per favorire ancora una volta un’immagine patinata senza sostanza concreta.

La sostanza concreta l’aveva proposta invece Alessandro Lazzaroni, AD Italia di Domino’s Pizza, che non solo i suoi fattorini li assume con contratto regolare, ma che aveva proposto un contratto collettivo adeguato ai cambiamenti culturali, che naturalmente non è stato preso in considerazione. A dimostrazione dello scarso interesse a lavorare sui cambiamenti (dei modelli) e a lasciare invece le cose esattamente come sono, traducendo l’innovazione in disintermediazione incontrollata, per la goduria di pochi, pochissimi innovatori guidati dagli interessi di sempre.

Mi sembra evidente che un Festival del Lavoro con una forte identità giornalistica e divulgativa non potesse che avvenire unicamente in un luogo che mettesse a regime industria, politiche del lavoro, cultura, etica e comunicazione.

Infine, i collaboratori e il nome. Anche qui il Lavoro ha un’impronta molto identitaria poiché ogni collaboratore del Festival visto al check in, o al banco dei libri, o a scortare gli speaker sul palco, o a gestire la giornata di formazione o le serate con gli sponsor è un volontario di FiordiRisorse. Il senso di appartenenza di questa community è molto forte, costruita giorno per giorno nella fiducia, dove ognuno dei suoi membri ha un ruolo, un’identità, una riconoscibilità unica. Ma soprattutto perchè ognuno di noi si sente parte di un cambiamento a cui vuole appartenere. Il clima e l’affetto che c’è fra queste Persone provenienti da mestieri ed aziende diverse, senza alcuna gerarchia di riferimento, è una cosa davvero straordinaria e sento la necessità di rubare questo spazio per ringraziare ognuno di loro.

Quella maledetta “i” croce (e per niente delizia) del nostro Festival, è sicuramente anche un momento di grande riflessione. In questi due anni l’ho vista accentare all’inizio, al centro e a volte sparire: Nobilìta, Nobiltà, Nobilità. A un capitano d’industria di quasi cento anni, che ha dato al lavoro un senso davvero nobile, di fronte alla sua perplessità abbiamo dovuto spiegare che “il lavoro NOBÍLITA l’uomo” e che il nome del festival arriva da lì. “Ah, ma allora è bellissimo!”, ci ha risposto Marino Golinelli.

E gli abbiamo dedicato la copertina del nostro primo numero di carta disponibile all’inizio di maggio per celebrare la nostra Community, il quinto anno di Senza Filtro e la conferma della promessa di un Festival senza compromessi.

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