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Sono finiti in Cina gli alberi abbattuti in Veneto
Esportiamo qualità e bellezza in Cina, che le usa per prodotti dozzinali non meglio identificati, ma che certamente in qualche modo prima o poi ricompreremo, e a caro prezzo. Gran parte degli alberi abbattuti lo scorso anno dalla tempesta “Vaia”, ovvero la depressione che ha attivato raffiche di vento fino a 200 km all’ora e […]
Esportiamo qualità e bellezza in Cina, che le usa per prodotti dozzinali non meglio identificati, ma che certamente in qualche modo prima o poi ricompreremo, e a caro prezzo. Gran parte degli alberi abbattuti lo scorso anno dalla tempesta “Vaia”, ovvero la depressione che ha attivato raffiche di vento fino a 200 km all’ora e che ha travolto i boschi delle alpi venete, è infatti stata caricata nei container usati dal Paese del Sol Levante per esportare oggetti in Italia.
Una volta svuotati del loro carico da export, i cinesi hanno pensato bene di sfruttare il viaggio di rientro degli enormi veicoli riempiendoli di tutto quel legname già disponibile. La qualità dello stesso, per loro, è assolutamente ininfluente. È questo l’epilogo della vicenda che il 29 ottobre dello scorso anno ha sconvolto il paesaggio alpino, quando la tormenta abbatté migliaia di alberi dai tronchi pregiati, parte dei quali destinati ai liutai per la realizzazione di prestigiosi violini.
Venezia che piange, la Cina che compra e gli alberi abbattuti usati per riempire container
A un anno di distanza è Venezia a piangere lacrime amare sul sale di quella marea che è salita fino a 187 centimetri sopra il livello medio, e che ha intaccato anche la Basilica di San Marco, icona secolare di una città che per storia e bellezza non ha eguali al mondo. Oggi come 53 anni fa.
Il Veneto sembra incapace di tutelare e proteggere il suo inestimabile capitale. E oggi Senza Filtro si chiede che fine abbiano fatto quelle migliaia di alberi abbattuti, quel legname di pregio che si temeva andasse perduto. Ce lo spiega dettagliatamente Claudia Scarzanella, presidente regionale della categoria Segherie e Lavori Boschivi e della Confartigianato Belluno, che non ha mai smesso di lavorare e mediare per pianificare tutto il comparto all’interno di un progetto di rete, capace di andare ben oltre la condizione di emergenza, e di immaginare un ruolo preciso per le generazioni future.
Innanzitutto le chiedo quanto di questa risorsa sia stato recuperato. “Non è possibile rispondere con precisione – spiega la Presidente – perché non esistono dati univoci. Un dato approssimativo, che risulterà probabilmente per difetto, oscilla tra i 2,5 e i 3,5 milioni di metri cubi. Le uniche cifre certe che abbiamo sono sulla bellunese Val Visdende, dove è stato recuperato il 40% degli alberi abbattuti, e Asiago, che ne ha raccolto il 30%. È chiaro però che, a distanza di un anno, non siamo neanche alla metà del lavoro, come è chiaro che finora il grosso è stato esportato”.
“Secondo i dati dell’Osservatorio della Camera di Commercio di Belluno-Treviso, nei primi sei mesi dell’anno l’export è passato da 4,5 a 17 milioni di euro. I mercati principali sono stati l’Austria e, per la prima volta, la Cina. Il mercato cinese trasforma i tronchi in pannelli di pasta di legno (una sorta di truciolato, N.d.R.); non si sa per realizzare poi cosa. La qualità, quindi, non conta. Il loro interesse è unicamente sfruttare lo spazio dei container durante il viaggio di rientro in Cina. Va detto che il legno in questione, dato quanto accaduto, non era più perfetto, e che questa soluzione, data la particolarissima situazione di emergenza, può andar bene. Quello che mi preme è fare il punto della situazione, e non solo perché siamo già stati avvisati dagli esperti che un fenomeno così raro potrebbe risuccedere tra 5-10 anni, ma anche perché dobbiamo e vogliamo prendere in mano il dono del Made in Italy che abbiamo, e che ci contraddistingue nel mondo.”
Un tesoro di materie prime con una penuria di artigiani
A questo punto, chiedo alla presidente Scarzanella come si possa realizzare ciò di cui ha parlato.
“Anzitutto abbiamo avviato un tavolo con le istituzioni; in primis con il Ministro per il Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, il primo ministro bellunese della storia. Insieme abbiamo posto davanti alla sede della Confartigianato di Belluno un’enorme radice di uno dei tanti alberi abbattuti. Una sorta di monito per tutti, un amaro promemoria di forte impatto emotivo. Penso davvero che il ministro abbia capito i bisogni che ha tutta la filiera del legno.”
“Sono stata poi a Roma per confrontarmi con Giuseppe L’Abbate, sottosegretario al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali”, prosegue la presidente. “È stato evidenziato il gap che c’è tra la disponibilità strutturale e lo sviluppo potenziale della filiera, che resta inespressa in Veneto come in Italia. C’è una sproporzione tra le imprese boschive e le segherie e le imprese di seconda trasformazione (come arredamento e serramenti); un divario che blocca la capacità di export delle aziende. Stiamo per questo studiando i dati della capacità produttiva. Serve rielaborare i dati degli interessi per tema, e connettere ogni capitolo anche al prestigio dei numerosi piccoli borghi di montagna. Una valorizzazione che potrebbe passare anche attraverso un mercato interno, per dare valore a tutti gli anelli della filiera”.
Il bisogno di collaborare col Sud Italia
Ma che cosa manca per farlo? “Manca un intervento serio sulle imprese boschive. Manca chi taglia la legna. Le segherie sono poche e non strutturate; non riescono a sopportare bene i costi dell’energia e della manodopera. E mancano i contributi statali, che sia chiaro, non auspico a pioggia, quanto invece ben investiti per formare le generazioni future, perché la ristrutturazione deve partire sempre dalla cultura. Guardiamo a cosa è stato fatto in agricoltura, dove oggi sono impiegati i giovani, spesso laureati, che applicano tecniche di coltivazione sempre più raffinate, con un uso minimo delle risorse acqua e terra”.
“Mi piace pensare a un dialogo futuro congiunto, a una prospettiva nazionale tra Veneto, Calabria, Sardegna e non solo. Il 35% del territorio italiano è foresta; eppure finiamo col dover importare pellets, di cui siamo i maggiori consumatori in Europa.”
In copertina, una radice sradicata da Vaia
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