Le violenze verbali e fisiche contro il personale scolastico sono in aumento, e coinvolgono insegnanti, collaboratori e dirigenti: 28 denunce solo nei primi mesi del 2024. Le testimonianze di alcuni docenti e di Lucia Donat Cattin, USB Scuola: “Ormai ci trattano come arbitri di calcio. Non volevo denunciare, ma succede troppo spesso”
I giovani, la falsa pace e il vero conflitto
Intervistiamo lo psicologo Franco Vaccari, fondatore di Rondine, la Cittadella della Pace: “Insegniamo ai ragazzi che il conflitto è diverso dalla guerra, ed è il nostro pane quotidiano. Dobbiamo saperlo gestire”.
“I giudizi sui giovani sono per definizione sbagliati tutti, perché ogni giudizio sui giovani in realtà è un giudizio sugli adulti.”
Non usa mezzi termini Franco Vaccari, e lui i giovani li conosce molto bene. Da più di vent’anni lavora con “coppie di nemici” che provengono dai Paesi in guerra. In un piccolo borgo medievale appoggiato sulla riva destra dell’Arno ha riunito israeliani e palestinesi, bosniaci e serbi, serbi e kosovari, armeni e azerbaigiani, russi e ceceni, mettendoli sotto lo stesso tetto e creando relazioni uniche.
Psicologo e docente, è il presidente e il fondatore di Rondine, Cittadella della Pace, un’organizzazione internazionale che ha sede ad Arezzo e lavora per ridurre i conflitti armati nel mondo. Rondine ha sempre accolto ragazzi che sono nati in contesti di guerra o in società postbelliche che la storia, anzi, che i fallimenti della storia, hanno reso nemici, ma qualche anno fa ha sentito il bisogno di coinvolgere nel progetto anche i giovani italiani.
La nostra conversazione parte proprio dai diciassettenni italiani che scelgono di frequentare il quarto anno di liceo alla Cittadella della Pace e scivola inevitabilmente verso i contesti internazionali dove la pace sembra un sogno lontano.
Perché ha sentito il bisogno di creare l’indirizzo Rondine e di coinvolgere i liceali italiani anche se non appartengono a un contesto di guerra?
Perché in tutte le società viviamo di relazioni e di conflitti, e ovunque rischia di costruirsi l’idea del nemico. Oggi è più che mai importante uscire dalla logica del conflitto come sinonimo di guerra, perché la guerra è un male, invece il conflitto è il nostro pane quotidiano. Le differenze culturali, personali, religiose, sociali, economiche e generazionali continuamente si incontrano e si scontrano e devono essere elaborate. Per questo abbiamo deciso di applicare il “metodo Rondine” anche a un contesto non propriamente di guerra. La nostra è una società come tante, con le sue conflittualità ordinarie, e abbiamo voluto sperimentare questo metodo con giovani adolescenti provenienti da tutte le Regioni italiane. Il conflitto non è negativo, e questo è il tema del metodo Rondine.
Qual è la giornata tipo di un diciassettenne alla Cittadella della Pace?
I ragazzi non dormono alla Cittadella, ma in un convitto nazionale, perché a 17 anni è bene non stare isolati nel borgo ma potersi prendere un gelato insieme a tutti gli altri giovani. Alle 8.20 del mattino i 27 ragazzi arrivano alla Cittadella con la navetta e iniziano la loro giornata scolastica. In primis studiano le discipline scolastiche ordinarie e non perdono neanche un’ora di chimica, greco, latino storia e geografia.
Però i ragazzi vengono da licei diversi. Come si integrano i diversi indirizzi?
Vengono dal classico, dallo scientifico, dal liceo delle scienze umane, dall’economico sociale e dal linguistico. Questi licei hanno uno zoccolo di materie uguali, poi per seguire le materie di indirizzo la classe si scompone in gruppi diversi. Inoltre c’è un tutor che affronta con loro un percorso sui grandi temi della contemporaneità. Uno su tutti la vita interiore: noi educhiamo i ragazzi a guardarsi dentro e a non avere paura dei propri conflitti e delle proprie fragilità. Evitare di guardarsi dentro crea una debolezza cronica ed essere forti non significa negare la debolezza, ma guardare le proprie debolezze e non averne paura. Poi affrontiamo le grandi questioni del mondo digitale e della globalizzazione e l’orientamento professionale. Questo percorso è sostenuto da diverse attività, come viaggi studio nei luoghi delle mafie, nei luoghi della Grande Guerra e del Parlamento europeo. I ragazzi sono molto impegnati, studiano e lavorano fino alle 17:30 con una didattica innovativa e partecipata.
Poi c’è il clima che respirano a Rondine.
Vivere gomito a gomito con tutte queste coppie di ex nemici che lavorano insieme fa nascere relazioni e conoscenze e apre nuovi mondi. In un piccolo borgo medievale toscano è raccolto il mondo, con le sue speranze e con le sue tragedie. I fratelli maggiori (come li chiamano loro) di 24 e 25 anni, che dopo aver fatto l’università e il master intraprendono il percorso formativo sulla trasformazione dei conflitti, sono un bellissimo esempio per loro.
In un periodo come questo poi si sente ancora di più il bisogno di una scuola di pace.
Il nostro ruolo oggi sembra ancora più decisivo, ma noi lavoriamo 365 giorni all’anno per dire che le guerre vanno prevenute. Si deve creare una cultura diversa alla base, altrimenti ci sarà sempre qualcuno che costruirà un nemico e creerà polarizzazioni e schieramenti. All’inizio dell’invasione in Ucraina una delle nostre studentesse russe ha partecipato a una veglia di preghiera nella cattedrale di Arezzo. Di fronte alla cattedrale gremita ha testimoniato il dolore profondo e il suo non riconoscersi in questa guerra, il dolore per gli ucraini che sente come fratelli e la vergogna per la ferita di questa immagine terribile che ricade anche su di lei, assieme al senso di colpa. L’altro giorno un altro giovane russo mi ha mandato un messaggio: “Caro Franco, per costruire un nemico ci vuole un’ora, per de-costruirlo ci vorranno decenni”. Questa è la consapevolezza dei nostri giovani.
Consapevolezza che non hanno tutti quegli europei che avevano pensato di mettere la guerra in un museo.
Ci siamo illusi di avere ereditato la pace, invece la pace va conquistata e ogni generazione la deve conquistare ogni giorno. La pace deve sporcarsi le mani tutti i giorni con i conflitti che ci sono in ogni società e in ogni relazione umana. Tutti i conflitti possono in ogni momento degenerare e il nemico si può sempre costruire, ma questo vale anche per il nemico di noi stessi.
E qui torniamo al disagio dei nostri ragazzi.
Basti pensare all’aumento dei suicidi tra i nostri giovani. I giovani hanno le loro fragilità e spesso non riescono a superarle. Bisogna imparare a stare nei conflitti senza averne paura, perché la pace dolce non esiste, è un’illusione. L’essere umano è sempre su un crinale, e questo vale anche per i giovani. La guerra è sempre un male, ma è una forza di eccitazione enorme, rende la vita epica. Quanti ragazzi e ragazze occidentali annoiati da una vita slavata e senza drammi hanno combattuto sotto la bandiera dell’Isis? Non dimentichiamolo.
Se la pace dolce non esiste, qual è la pace che dobbiamo conquistare?
La pace che normalizza tutto, che quieta le coscienze e le inquietudini è una pace falsa. La pace è una continua perdita della tranquillità della coscienza. Liliana Segre ci ha spiegato bene che l’inizio della guerra è l’indifferenza. Nella sua classe di giovani preadolescenti, quando fu cacciata a causa delle leggi razziali, solo tre compagne su ventitré si chiesero dove era andata a finire. Tutte le altre non se lo domandarono, e tutti i giovani ebrei furono cacciati nell’indifferenza. Nel ‘39 domandarsi perché Liliana non c’era più era un atto di cittadinanza, porsi il problema di uccidere Hitler invece era un atto di eroismo che si affronta solo dopo che i fenomeni sono degenerati a causa dell’indifferenza. Quando i fenomeni non sono ancora del tutto degenerati ci vogliono i cittadini veri, quelli con la coscienza vigile, quelli che accettano di non essere tranquilli perché capiscono che la pace non è l’equivalente della tranquillità. La pace è un processo, non è mai un traguardo.
Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.
L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.
Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.
Leggi anche
Centinaia di ore di lavoro di progettazione per docenti e dirigenti, ma le modalità di spesa del PNRR sono imposte dal ministero: dalla scuola voci critiche sull’impiego dei fondi europei. Come quella del dirigente Alfonso D’Ambrosio, che abbiamo intervistato
L’istruzione e formazione professionale prepara studenti per il mondo del lavoro, ma è abbandonata a se stessa: i formatori (a partita IVA) lavorano trentasei ore contro le diciotto degli insegnanti di ruolo, con limiti retributivi ancora più bassi. E i lati negativi non finiscono qui.