Giavazzi, l’Italia in recessione e i suoi profeti in patria

Due uscite fa sulla nostra rubrica Controluce siamo stati facili profeti: abbiamo ipotizzato che l’Italia fosse a un passo dalla recessione. Ieri l’Istat ha messo il suo autorevole sigillo a questa previsione, scrivendo nero su bianco che con il calo del Pil dello 0,2% nell’ultimo trimestre del 2018 il nostro Paese è rientrato pienamente nell’incubo. […]

Due uscite fa sulla nostra rubrica Controluce siamo stati facili profeti: abbiamo ipotizzato che l’Italia fosse a un passo dalla recessione. Ieri l’Istat ha messo il suo autorevole sigillo a questa previsione, scrivendo nero su bianco che con il calo del Pil dello 0,2% nell’ultimo trimestre del 2018 il nostro Paese è rientrato pienamente nell’incubo.

Dieci anni dopo la grande crisi del 2008, che ha inferto un colpo durissimo alle economie di mercato con effetti molto pesanti sull’occupazione, stiamo varcando di nuovo le porte dell’inferno. Il termine utilizzato dall’Istat è “recessione tecnica”, che si verifica quando il Pil per due trimestri di fila porta davanti a sé il segno meno.

Per cercare di capire come si è arrivati a una nuova ondata recessiva abbiamo parlato con il professor Francesco Giavazzi, economista, docente alla Bocconi di economia politica, editorialista del Corriere della Sera e nel 2011 consulente nel governo guidato da Mario Monti per la Spending Review.

 

 

Professor Giavazzi, l’ultima volta che ci siamo sentiti per un’intervista su Senza Filtro, il governo Lega-M5S era partito da poco. Lei ha chiuso la nostra conversazione con una battuta: “Questi vanno a sbattere”. In realtà il governo è vivo. Il nuovo esecutivo non è andato a sbattere, anzi ha messo a segno una serie di provvedimenti importanti in materia di politica economica.

Certo, abbiamo visto tutti i programmi del governo. Ma le vorrei far notare che in attesa di quei provvedimenti è successo qualcosa di molto grave: sono riusciti a portare in pochi mesi l’Italia in recessione dopo che eravamo cresciuti dell’1%. Le pare poco? Direi quindi che il nostro governo è già andato a sbattere, e anche pesantemente.

Ma gli esponenti del governo sostengono che questo calo del Pil è figlio delle politiche dei governi precedenti e della congiuntura negativa che tocca tutta l’Europa.

Intanto vorrei ricordare che i governi precedenti ci hanno lasciato con una crescita dell’1% mentre questo governo ci ha portato a un calo del 2% del Pil. Ma per rispondere a questa obiezione sarà bene entrare più in profondità nei dati forniti dall’Istat. L’Istituto di Statistica non ha ancora disaggregato i dati, ma da una prima analisi si sa che la recessione in Italia non è da addebitare a cause internazionali come, ad esempio, la guerra dei dazi tra Usa e Cina: il nostro commercio internazionale non ha subito un rallentamento, dunque bisogna addebitare l’inizio della recessione al calo della domanda interna, che a sua volta è dovuto al calo degli investimenti privati provocato da una forte incertezza politica. Ci sarebbero anche da analizzare gli effetti deleteri dello spread sui tassi d’interesse, ma non voglio entrare in tecnicismi in questa sede. Per dirla più semplicemente: questo governo, a fronte di un calo degli investimenti privati, non è riuscito a far partire gli investimenti pubblici, che come è noto sono un volano importante per far crescere l’economia. Forse non tutti lo sanno, ma ci sono due fondi per investimenti pubblici da 150 miliardi, già approvati dai governi precedenti e dall’Europa, che sono fermi. Il Ministro del Tesoro, Giovanni Tria, in verità ha detto che li vuole utilizzare, ma per il momento è tutto fermo.

In un editoriale di prima pagina sul Corriere della Sera del 27 gennaio, firmato da lei e dal professor Alberto Alesina, accusate il governo di aver calpestato l’autonomia di Bankitalia, soltanto perché l’Istituto di via Nazionale annunciava la recessione. È scoppiato un putiferio.

Il nostro ragionamento è semplice: le democrazie che funzionano si regolano su organismi indipendenti come la Banca d’Italia. Sono istituzioni che vivono oltre le elezioni e che hanno il diritto e il dovere di dire la verità sull’andamento dell’economia, anche quando i dati diffusi entrano in conflitto con le politiche dei governi. Tra l’altro Banca d’Italia si è limitata, sulla base delle analisi fatte dal suo centro studi, ad anticipare quello che l’Istat ha certificato: che siamo in recessione. Se poi il vicepresidente del Consiglio, Luigi di Maio, “suggerisce” ironicamente a Banca d’Italia di presentarsi alle elezioni… non so più che cosa dire.

Se lei avesse responsabilità di governo o dovesse suggerire all’esecutivo come uscire dal tunnel che cosa proporrebbe?

A mio parere i provvedimenti di cui l’economia italiana avrebbe bisogno sono due: una scossa in grado di ridurre le tasse alle imprese e non soltanto a un numero esiguo di partite Iva, come sta facendo il governo; e poi, come dicevamo prima, un rilancio massiccio di investimenti pubblici. La cosa principale da fare è aumentare la crescita attraverso l’offerta. Questo governo con il reddito di cittadinanza, ad esempio, sta puntando molto alla crescita della domanda. Io non nego che il reddito di cittadinanza possa avere degli effetti sui consumi, ma ora che siamo in recessione quello che conta è l’offerta, ovvero un piano serio per gli investimenti pubblici, che sarebbero uno stimolo anche per gli investimenti privati.

 

Photo credits by www.formiche.net

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