Pet economy: svetta il business a quattro zampe

Qualcuno lo ha definito il new deal del settore alimentare per cani. Qualcun altro, citando John Maynard Keynes con un po’ di ironia, ha descritto gli imprenditori italiani che si muovono nell’ambito della pet economy gli “animal spirits” del capitalismo italiano. Forse non sarà così, forse l’enfasi è eccessiva per un settore che secondo gli […]

Qualcuno lo ha definito il new deal del settore alimentare per cani. Qualcun altro, citando John Maynard Keynes con un po’ di ironia, ha descritto gli imprenditori italiani che si muovono nell’ambito della pet economy gli “animal spirits” del capitalismo italiano. Forse non sarà così, forse l’enfasi è eccessiva per un settore che secondo gli analisti economici non è ancora maturo, né può immaginarsi di fare da traino all’economia. Ma è pur vero che le aziende italiane che producono cibo per animali sono solide, in crescita continua e, a differenza della maggior parte delle imprese, non risentono affatto degli effetti della crisi economica. Anzi, viaggiano a gonfie vele, e – sia pure con un peso relativo – contribuiscono a tamponare la crisi del largo consumo.

 

Cibo per animali e non solo: un mercato solido e in espansione

Un segnale in tal senso viene anche dall’editoria specializzata nella cura degli animali, che ha un bacino di lettori in crescita, e dall’impressionante presenza del mercato Pet sulla rete internet. Insomma, per gli imprenditori i cani non sono più soltanto bestie da tenere dietro i cancelli per fare la guardia alla fabbrica o alla villa, ma sono fonte di profitto e di utili. Se c’è un rimprovero da fare ai produttori di alimenti per animali è il prezzo dei loro prodotti di consumo o veterinari: chi possiede un animale domestico sa che per alimentare e curare seriamente un cane o un gatto sono necessari molti quattrini; e quando per disgrazia capita di dover sottoporre il proprio cane a un intervento chirurgico, per i comuni mortali è necessario accendere un fido bancario. Dunque sarebbe bene che gli uomini del marketing si occupassero anche di calmierare i prezzi da oligopolio fissati prevalentemente dalla grande distribuzione.

Ma torniamo al business. I dati di marketing parlano da soli. Secondo il rapporto Assalco Zoomark 2019 il mercato dei prodotti per l’alimentazione di cani e gatti, che nel 2018 aveva toccato un giro d’affari di 2.082 milioni di euro, nel 2019 sta registrando una crescita di 1,5% rispetto all’anno precedente. Un tasso di sviluppo superiore a quello del largo consumo: “La pet economy dunque è in crescita. Il mercato è in evoluzione. La comunicazione è sempre più digitale e si serve di progetti editoriali che raccontano i prodotti attraverso le esperienze degli influencer (macro e micro)”.

Queste in sintesi le tendenze emerse in occasione del Pet Marketing Day, la conferenza che si è tenuta a Milano i primi di ottobre sul mercato alimentare dedicato agli animali domestici. Abbiamo chiesto al CEO di Fattore Pet, Paolo Prestinari, il senso di questa iniziativa: “La seconda edizione del Pet Marketing Day ha evidenziato come il mercato sia sempre più orientato verso il digitale e verso una personalizzazione dei servizi e prodotti. Il mercato è in evoluzione. Siamo soddisfatti di essere stati l’evento di apertura di Pets in the City, la fiera che testimonia proprio una nuova sensibilità e un nuovo rapporto sempre più paritario tra uomini e animali”.

I pet – sosteneva un relatore della seconda edizione del Pet Marketing Day che si è tenuta a Milano – fanno ormai parte a pieno diritto delle famiglie italiane. Ne condizionano i comportamenti. Ne guidano i consumi. Si parla di un vero e proprio fenomeno di antropizzazione, tanto che i prodotti pet care sono influenzati da questa tendenza e diventano sempre più simili a quelli di baby-care. Ne replicano linee, colori e forme. E proprio come per il mercato del baby care il destinatario del prodotto non parla e chi compra non è colui che utilizza i prodotti e fruisce dei servizi”.

 

I numeri della pet economy: la popolazione dei pet è pari a quella degli italiani

A sollecitare l’interesse delle aziende è il fatto che il mercato del pet muove fatturato. La spesa delle famiglie per gli animali è quasi tre volte superiore a quella per i bambini. Il rapporto Assalco-Zoomarket, appena citato, propone un’analisi approfondita del fenomeno. Se si va a spulciare tra le cifre dei trend di questo mercato si scopre che a partire dal 2015 le vendite del mercato Pet sono passate da 1.920 milioni di euro a 2.082 milioni. Si dirà che siamo ancora a fatturati modesti, e in effetti è così, ma come spiegano bene i pubblicitari, assai interessati a questo mercato, la cosa importante è il trend di crescita, motivo per cui una serie di concessionarie stanno guardando con grande interesse a quanto sta succedendo.

Il cambio di passo ha messo in allerta anche il settore alberghiero, che fino a una decina di anni fa rifiutava di ospitare cani. Oggi è difficile trovare un albergo che rifiuti un cane. L’intuizione dei Benetton di permettere ai cani di entrare negli Autogrill ha costretto la concorrenza a fare la stessa cosa. D’altronde se si fa un confronto percentuale con il settore alimentare e al largo consumo si vede chiaramente che è un settore in netta espansione. Se si tiene conto della crisi dei consumi e degli investimenti che ancora domina la scena economica italiana si capisce perché nelle grandi e medie città si moltiplicano i negozi e gli store per animali.

Quali sono i canali di distribuzione di questo business? Il grocery canalizza il 55,3% del fatturato complessivo del mercato pet food per cani e gatti (ossia 1.151 milioni di Euro) e il 73,7% dei volumi (416.429 tonnellate). Le catene pet shop pesano per l’8,9% dei volumi e il 13,8% dei valori, per un totale di 50,6 tonnellate e 287,7 milioni di euro. I pet shop tradizionali (circa 4.960 punti vendita) rappresentano il principale canale del trade–non grocery in cui sono distribuiti i prodotti per animali da compagnia in Italia. Coprono il 17,4% dei volumi (che corrispondono a 98.143 tonnellate circa), ma generano il 30,9% dei valori (642,7 milioni di euro di fatturato).

In tutto ciò domina l’e-commerce. Se nel retail l’e-commerce continua la sua ascesa a due cifre, nell’acquisto di cibo per animali la cifra toccata è di 8,3 milioni di euro, con percentuali che anche in questo caso superano la media dei consumi. Nel volume degli acquisti vince comunque il gatto con il 54% contro il cane con il 45,4%. Questo dato – si legge nel rapporto – si riferisce a operatori della Grande Distribuzione Organizzata. Un dato sociologico interessante è che “in Italia è presente un pet per ogni italiano. Infatti Euromonitor stima per il 2018 la popolazione degli animali da compagnia in Italia in più di 60 milioni, approssimativamente lo stesso numero di residenti in Italia secondo l’Istat”. Sempre nel rapporto si legge che gli italiani che hanno un Pet in famiglia sono ligi al principio della Responsible Pet Ownership (a differenza ad esempio di Paesi come la Spagna, dove i Levrieri vengono impiccati quando non sono più utilizzabili per le corse). Che dire? Benvenuti tra noi.

 

 

Photo by Peter Plashkin on Unsplash

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