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Se i giornalisti sono Belve e l’Ordine tace
Striscia la Notizia attacca Francesca Fagnani, che indossa gioielli “prestati” durante la sua trasmissione: ma il “tg satirico” non è un esempio di condotta giornalistica esemplare. Ed è in buona compagnia, in un mondo dell’informazione che l’OdG fa sempre più fatica a gestire
Il giornalista “non può prestare il nome, la voce, l’immagine per iniziative pubblicitarie incompatibili con la tutela dell’autonomia professionale”. In sintesi, non può fare pubblicità se non per scopi di beneficenza. Questo assunto è messo nero su bianco nella Carta dei Doveri del giornalista, assimilabile al codice deontologico della categoria professionale. Il tutto a garanzia dell’imparzialità dell’informazione, in un Paese dove però è normalizzato che i giornali seguano linee editoriali di natura politica e dove gli stessi giornalisti possono appartenere a partiti.
È proprio facendo riferimento al divieto di fare pubblicità che Striscia la Notizia ha lanciato un attacco diretto alla giornalista fenomeno del momento, la conduttrice di Belve Francesca Fagnani.
Fagnani sarebbe rea, per il “tg satirico” (iniziamo a pesare le parole da questo punto in poi dell’articolo, capirete perché), di aver portato in onda gioielli costosissimi che, nello shooting per un noto magazine, venivano anche citati con tanto di azienda produttrice. Incalzata dalla brava Rajae Bezzaz, Fagnani poi ammette che abiti e accessori le vengono “prestati” (come tutte) con la tranquillità di chi non ritiene di avere nulla di cui doversi giustificare. Ma il sospetto di una condotta contraria ai principi dell’Ordine dei Giornalisti è bella che servita.
Giornalista o no, non c’è differenza: vero, Striscia?
Resta però da sottolineare che sono diverse le condotte che un giornalista iscritto all’Ordine (Ordine che dovrebbe professionalizzare il comparto e il relativo accesso, in Italia, al pari di come accade con medici e avvocati) non dovrebbe tenere nell’esercizio della sua funzione. Ad esempio, ha l’obbligo morale di presentarsi in quanto tale al suo interlocutore. Insomma, sarebbero deprecabili per l’Ordine cose come la telecamera nascosta o le imboscate di cui ad esempio Striscia la Notizia fa incetta. Ma per Ricci e staff questo è un non-problema, in quanto è meglio che gli inviati non siano iscritti all’Ordine.
Del resto, la stessa Striscia la notizia non rappresenta una testata giornalistica.
Questo non vieta a Striscia di accedere a un lessico per i suoi lavori come quello di “inchiesta”, “reportage” o così via. E, tra l’altro, vi sorprenderà sapere che l’interpretazione consueta dell’Articolo 21 della Costituzione (“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”) legittima tale possibilità. Oltre a qualche tirata d’orecchie, del resto, non mi risulta che l’Ordine abbia mai mosso censure a Striscia la Notizia per “esercizio abusivo della professione” (cosa che pure è nelle possibilità dell’OdG).
Insomma, conviene che in tv non ci vadano i giornalisti a fare quei siparietti che tanto share hanno registrato nei decenni in cui il “tg satirico” ha riscritto buona parte delle regole della tv italiana, con il suo Gabibbo e le sue Veline. Conviene loro, perché hanno maggiore libertà di movimento; e poco importa dei formalismi imposti da un ordinamento vetusto, perché non è l’appartenenza all’Ordine a permettere di diffondere informazione.
Giornalista, vuoi fare pubblicità? Basta uscire dall’ordine (e continuare a fare come prima)
Ma se da quell’Ordine a tutela dell’informazione, in fin dei conti, fosse meglio tenersi alla larga?
Sebbene ipocrita da parte di Striscia la Notizia fare le pulci alla condotta deontologica dei giornalisti quando schiera maghi, pupazzi, ciclisti, intrattenitori e comici in prima linea, va anche detto che Francesca Fagnani domani mattina potrebbe abbandonare l’Ordine dei Giornalisti, riprendere a fare esattamente ciò che fa (ossia la presentatrice) e indossare i monili che preferisce senza prestarsi ai rimproveri altrui.
Del resto, non si tratterebbe certo del primo caso in cui basta fare “ciao ciao” con la manina e la questione morale è risolta: si pensi a Fabio Fazio, che dopo una campagna pubblicitaria con Telecom si è visto in dovere di cancellarsi dall’elenco Pubblicisti della Liguria (se avete modo e tempo recuperate la lettera in cui l’OdG spiega come mai non ha potuto chiarire a Fazio in anticipo se era lecito per lui fare promo a Telecom o meno, è un piccolo capolavoro); meno concordata ma giunta allo stesso esito l’appartenenza all’Ordine della Campania di Caterina Balivo, sempre causa spot.
I casi, insomma, si sprecano, ma se proprio vogliamo incorniciare tale problema in tutta la sua vacuità non si può non citare quello che ha coinvolto Diletta Leotta. La “presentatrice” (l’Ordine suggerisce di non definirla giornalista), che certo non si è negata alla pubblicità, ha costretto l’OdG a intervenire con una nota che riporto pedissequamente:
Sono giunte al Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti numerose segnalazioni riguardanti la sign. Diletta Leotta che compare e viene citata in alcune pubblicità commerciali. Le segnalazioni riguardano l’incompatibilità fra la professione giornalistica e la partecipazione a spot e messaggi pubblicitari commerciali. A tal proposito il CNOG precisa che la sign.ra Leotta non risulta essere iscritta negli elenchi dell’Ordine dei Giornalisti e che, pertanto, non è soggetta agli obblighi della deontologia in base ai quali i giornalisti non possono fare pubblicità commerciale.
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti coglie inoltre l’occasione per ricordare ai colleghi, alle testate e a tutti i mezzi di comunicazione (anche social) di non definire “giornalista” chi non lo è, al fine di evitare equivoci e fraintendimenti nei confronti di coloro che svolgono questa professione.
Insomma, nonostante Diletta Leotta svolga e abbia svolto un ruolo notoriamente in capo a giornalisti e giornaliste, fintanto che non è iscritta all’Ordine può fare un po’ quello che le pare. Verrebbe però anche da chiedersi come l’imparzialità e la condotta della signora non-giornalista Leotta, in qualità di bordocampista nel commento sportivo, possano essere influenzate dalle collane, dagli orecchini e dalle scarpe che indossa.
Giornale sarà lei
Un bel caos, non c’è che dire, in cui però sembra emergere l’attuale insufficienza dell’Ordine nella sua difficoltà ad affrontare alcune sfide cruciali con un’informazione sempre più alle corde.
Ci vorrebbe una totale rivoluzione, anche di scopo, per continuare a esercitare con autorevolezza un ruolo nato in un’epoca in cui le rotative giravano, le notizie erano quasi solo su inchiostro e il web non era che un progetto di un’agenzia militare americana.
Perché, signori, quanto sopra citato è la punta di un iceberg. Sotto, nella giungla dell’informazione non di calibro nazionale, inizia a essere consigliabile non dire di essere un giornale anziché vantarsene. Non dire di fare informazione benché la si faccia. Cercare di restare sottotraccia per miscelare impunemente finalità commerciali e informative nello stesso prodotto (che basta non definire giornalistico). Sfide di un www sempre più insidioso con un branded che andrebbe gestito, piuttosto che stigmatizzato; sfide che l’organismo a tutela della categoria non può certo affrontare applicando gli stessi fallimentari paradigmi di cui si è appena detto.
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