“Crisi finanziarie, crisi industriali, crisi aziendali ma alla fine, come vedi, nulla è cambiato rispetto al passato, a lasciarci le penne sono sempre i lavoratori e le loro famiglie. I manager che hanno sbagliato se ne vanno a casa con liquidazioni miliardarie, i politici passano e gli unici che restano con il cerino in mano […]
Imprese zombie. La notte dei morti insolventi
In Italia ce ne sono più di 20.000, ma è un fenomeno diffuso anche altrove: si tratta di aziende che sopravvivono solo grazie a bonus, sussidi e allocamenti di credito generosi, ma che zavorrano il sistema produttivo. Ne parliamo con l’investitore professionale Mario Seminerio
La prima osservazione del fenomeno viene fatta risalire al Giappone, dove negli anni Novanta si era verificata una grave recessione.
“Il collasso del mercato azionario e immobiliare nipponico ha portato alla comparsa di un malessere nell’economia del Paese che ha minato e compromesso drammaticamente la salute delle banche giapponesi, da cui tutt’oggi fanno fatica a uscire fuori”, scriveva nella sua tesi di laurea magistrale in Ingegneria gestionale al Politecnico di Torino – anno accademico 2019-2020 – Federico Sessa. “Tra i vari risultati venuti alla luce nel corso del tempo, molti hanno portato all’osservazione di comportamenti anomali ed economicamente dannosi da parte di banche e imprese. Le banche hanno dato vita a un ripetuto e duraturo fenomeno di errata allocazione del credito alle imprese negli anni antecedenti la crisi. Le imprese più deboli e in difficoltà, caratterizzate da alte probabilità di insolvenza o addirittura naviganti già da tempo in regime d’insolvenza, hanno continuato a beneficiare delle linee di credito a loro disposizione, nonostante il pericolo d’insolvenza gravante sull’istituto bancario e il fatto che queste imprese non avessero più i requisiti per continuare a sopravvivere sul mercato”.
Mario Seminerio, economista: “Le imprese zombie, un cortocircuito di banche e politica”
Ben arrivati nel mondo delle imprese zombie, che secondo l’ultima analisi del Cerved, stilata in base ai bilanci 2021, in Italia sono 23.362. Ma che cosa si deve intendere di preciso con questa definizione? Abbiamo rivolto questa e altre domande a Mario Seminerio, investitore professionale, editorialista e blogger (phastidio.net). Il suo primo libro, sulla crisi finanziaria e i suoi effetti sulla società italiana, è La cura letale (RCS-BUR, ottobre 2012).
Partiamo dalle basi: qual è la corretta definizione di impresa zombie?
Le aziende zombie sono quelle che guadagnano in misura sufficiente solo a continuare l’attività e servire il debito pagandone gli interessi, ma non sono in grado di ridurlo. Spesso non hanno capitale neppure per finanziare la crescita. Sono tipicamente soggette a costi di debito più elevati e possono essere molto vicine all’insolvenza in caso di un trimestre di conti negativi o di improvvisi eventi avversi di mercato. Per i finanziamenti dipendono dalle banche, che le tengono in vita in un rapporto non sano, visto che tentano di rinviare la resa dei conti di un’insolvenza per evitare di registrare il credito a sofferenza.
In che modo la loro presenza impatta sul sistema produttivo?
Rallenta la “distruzione creatrice” o, detto in termini meno astratti, l’efficiente allocazione di capitale in attività che generano valore aggiunto.
Per quale motivo vengono tenute in vita?
Queste aziende sono rimaste in vita, e sono aumentate di numero, soprattutto durante i periodi di tassi a zero o negativi. In altri casi, sono tenute in vita dalla pressione politica per evitarne il fallimento.
Alitalia, ILVA, Embraco, MPS possono essere considerati esempi di aziende zombie?
Dipende dai singoli casi. MPS è stata ristrutturata ma con un costo elevatissimo per la collettività, che forse in altri contesti avrebbe giustificato la sua ordinata dissoluzione. Alitalia è un caso di accanimento della politica e del sindacato. ILVA non sarebbe uno zombie, se da molti anni non vi fosse una sorta di campionato per ucciderla condotto da molte entità. Embraco era in un settore a basso valore aggiunto e in via di consolidamento verso Paesi a minor costo del lavoro. Tenerla in vita non era possibile.
Sussidi e bonus: che ruolo svolgono le politiche assistenziali dello Stato?
Dipende: alcuni sussidi, tipicamente nel contesto degli aiuti di Stato, possono favorire la permanenza in vita di aziende che sono in condizioni di dissesto non recuperabile. Non tutti gli aiuti di Stato producono aziende zombie, ma la tentazione della politica di sussidiare aziende zombie è molto forte. Storicamente questo è accaduto in Italia, e la nascita del mercato unico europeo – che ha fortemente limitato gli aiuti di stato ammissibili – ha messo in evidenza la condizione di zombie di molte nostre realtà aziendali, soprattutto ma non esclusivamente pubbliche.
Quello delle imprese zombie non è solo un fenomeno italiano?
No, ma da noi si sono prodotti negli anni casi di autentica patologia, nel tentativo di far restare in vita aziende decotte o con prospettive di rilancio inesistenti, anche a causa di cambiamenti tecnologici o errori di posizionamento di mercato.
Nel 2018 l’Ocse aveva fatto un appello agli Stati affinché eliminassero questo genere di attività improduttive. Ma i numeri ci dicono che le misure eventualmente adottate non hanno funzionato: per quale motivo?
La lunga fase di tassi a zero e negativi ha favorito il mantenimento di molte aziende in pre-dissesto, rendendo sostenibile l’esborso per il servizio del debito. In questo senso, con la normalizzazione dei tassi d’interesse, molte aziende sono destinate a entrare in una fase di crisi difficilmente recuperabile. Il rialzo dei tassi è atteso uccidere molte aziende zombie.
Gli effetti delle imprese zombie sull’economia
Per Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved, “la presenza di imprese zombie pesa sul sistema produttivo, perché distrae capitali che potrebbero garantire rendimenti più alti e maggiore produttività altrove, rende difficile l’accesso al credito a imprese sane e startup, contribuisce alla stagnazione e disincentiva l’ingresso di nuovi operatori, aumenta il costo del denaro ed espone maggiormente il sistema alla trasmissione di shock finanziari. La crisi generata dal COVID-19 è stata gestita con aiuti e prestiti. Ora però servono interventi mirati, basati su strumenti, dati e tecnologie che permettono di fare uno screening corretto delle imprese su cui investire”.
“Nel biennio 2020-21, a ricevere finanziamenti è stato il 28,8% (8.102) delle aziende considerate zombie nel 2019 e ben il 69,6% di esse (contro il 43,1% di quelle non finanziate) è riuscito a rimettersi in sesto grazie a 3,1 miliardi di euro di sovvenzioni”, spiega il Cerved nel suo studio Anatomia delle imprese zombie pubblicato nell’aprile 2023. “Tuttavia, il restante 30,4% è uscito dal mercato o è tuttora zombie, portando con sé 1,3 miliardi di finanziamenti andati perduti. In totale, nel biennio 2020-21 le aziende zombie risanate hanno superato le 40.000 unità”.
Alcuni settori sono più coinvolti di altri nel fenomeno: lavorazione dei metalli, logistica e trasporti, chimica e farmaceutica, servizi assicurativi, finanziari e non finanziari, largo consumo, elettromeccanica e sistema casa sono tra quelli più coinvolti, ma anche tra quelli che con più velocità si sono risanati, mentre sembra più complicato rientrare per il sistema moda, i mezzi di trasporto, le costruzioni, i carburanti, l’energia e le utility, l’elettrotecnica e l’informatica (tra 43,5% e 47,9%).
Un ruolo importante è quello giocato dal Fondo di garanzia, che facilita l’accesso al credito delle PMI e dei professionisti, istituito presso il ministero delle Imprese: secondo il Cerved, è da lì che provengono i 3,1 miliardi con cui si sono riprese sette zombie su dieci (69,6%, contro il 43,1% delle non finanziate) rientrando a pieno titolo nel mercato. Sempre dal Fondo provengono gli 1,3 miliardi andati persi.
Ricostruendo l’evoluzione delle imprese zombie in Italia negli ultimi dieci anni, e integrando le serie storiche dei bilanci di tutte le società di capitale italiane, gli score di rischio (Cerved Group Score) e le chiusure di impresa, i dati evidenziano grande mobilità in entrata e in uscita dal perimetro delle imprese zombie.
Più della metà delle zombie 2019 risultano “sanate” nel 2020 (14.566). Nel 2021 la ripresa economica spinge fuori dal perimetro ben 27.763 imprese, ma allo stesso tempo se ne registrano 10.806 di nuove. In totale, come già affermato nel rapporto Cerved, nel biennio 2020-21 le aziende zombie risanate hanno superato le 40.000 unità. Partendo dalle imprese zombie del 2019 e seguendo il loro ciclo di vita, emerge che nel 2021 oltre il 50% (14.264) risulta sanato. Le zombie del 2019 uscite dal mercato a seguito di una procedura grave (2.865) o non più attive (3.496) sono 6.361 (il 22,6%). Il 26,6% delle zombie 2019 (7.474) si trova nella stessa condizione nel 2021, alle quali se ne aggiungono 15.788 di nuove rispetto al 2019.
Photo credits: teem.com
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