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“Non la chiederà nessuno”: l’indennità di discontinuità scontenta lo Spettacolo
“La discontinuità per i lavoratori dello spettacolo è fisiologica, ma la trattano come disoccupazione”; “è un’incompetenza tecnica e politica”; “gli altri sussidi sono più convenienti”. Le critiche feroci delle associazioni di categoria, che chiedevano un nuovo modello di welfare
Il 28 agosto scorso il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, ha approvato in esame preliminare un decreto legislativo relativo al riordino e alla revisione degli ammortizzatori e delle indennità, e all’introduzione di un’indennità di discontinuità per i lavoratori del settore dello spettacolo.
La misura, che è un’attuazione della legge delega del 15 luglio 2022 n. 106, entrerà in vigore a partire dal 1 gennaio 2024 e sostituirà l’ALAS (ossia l’indennità disoccupazione lavoratori autonomi dello spettacolo) ad oggi in vigore.
Che cos’è l’indennità di discontinuità approvata dal Governo
La nuova norma ha l’obiettivo dichiarato – per lo meno sulla carta – di compensare gli effetti negativi subiti dagli operatori del settore, caratterizzato da alti livelli precariato e discontinuità lavorativa, con l’introduzione di un’indennità che tuteli la categoria nei periodi di inattività, studio o formazione professionale.
Per il provvedimento è stata prevista una copertura finanziaria di 100 milioni di euro per il 2023, 46 milioni per il 2024, 48 milioni per il 2025 e 40 milioni a decorrere dal 2026. Queste cifre saranno incrementate dagli oneri contributivi a carico dei datori di lavoro (pari all’1% dell’imponibile contributivo); dal contributo di solidarietà a carico dei lavoratori iscritti al Fondo pensione lavoratori dello spettacolo (pari allo 0,50% della retribuzione); dalla revisione e dal riordino degli ammortizzatori sociali e delle indennità.
L’indennità è pari al 60% del valore calcolato sulla media delle retribuzioni imponibili relative all’anno precedente alla presentazione della domanda, e viene erogata in un’unica soluzione.
Il contributo, inoltre, non è cumulabile con altre prestazioni di sostegno al reddito, come NASpl, malattia, infortunio, indennità di maternità. Secondo quanto stabilito dal decreto, il sostegno spetta ai lavoratori con reddito inferiore ai 25.000 euro annui. Una platea che, secondo le stime, sarebbe composta da circa 21.000 lavoratori.
Tra le figure che potranno beneficiare di questa misura rientrano i lavoratori dello spettacolo autonomi, co.co.co, subordinati a tempo determinato o indeterminato, se con contratto di lavoro “intermittente”, come artisti, interpreti, autisti e operatori di cabine di sale cinematografiche, impiegati amministrativi, tecnici dipendenti dagli enti e dalle imprese esercenti pubblici spettacoli, dalle imprese radiofoniche, televisive o di audiovisivi, dalle imprese della produzione cinematografica, del doppiaggio e dello sviluppo e stampa, ma anche maschere, custodi, guardarobieri, addetti alle pulizie e al facchinaggio, nonché impiegati e operai dipendenti dalle imprese di spettacoli viaggianti e lavoratori dipendenti dalle imprese esercenti il noleggio e la distribuzione dei film. Questo si legge sul sito del ministero della Cultura.
“Il mondo dello spettacolo lo chiedeva da decenni e finalmente noi siamo riusciti a realizzarlo in un tempo relativamente breve”, ha dichiarato il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano durante la presentazione del decreto legislativo in conferenza stampa.
“Quanto deliberato nella riunione di oggi del Consiglio dei ministri è un chiaro segnale dell’attenzione che il Governo ripone nei confronti dei lavoratori dello spettacolo, ed è una grande conquista per tutti noi. (…) Il giusto riconoscimento per tutti coloro i quali con talento, creatività e responsabilità rendono grande l’Italia nel mondo”. Così il sottosegretario di Stato al ministero della Cultura Lucia Borgonzoni a proposito dell’adozione del decreto legislativo da parte del Governo.
Non sono della stessa idea le associazioni di categoria e i sindacati, che hanno criticato con forza la misura, perché offrirebbe condizioni peggiorative rispetto ad altri ammortizzatori sociali esistenti e tradirebbe un’ignoranza delle dinamiche del settore da parte dei rappresentanti politici.
Le associazioni di categoria del settore spettacolo: “Serviva un nuovo modello di welfare, non un altro ammortizzatore”
L’attrice Francesca Romana De Martini di UNITA, associazione di categoria che tutela gli interpreti del teatro dell’audiovisivo, contattata da SenzaFiltro, aveva già definito questa indennità un “bonus”, esprimendo tutta la delusione per questo decreto, che, secondo lei, “dev’essere cancellato e riscritto da capo”.
De Martini non è però l’unica a essere contraria a questa misura e ad aver espresso perplessità in merito. Anche C.Re.S.Co. (Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea) e ACTA, l’associazione dei freelance, hanno manifestato il loro disappunto.
“Lo strumento dell’indennità adottato dal Governo con lo schema di decreto legislativo non risponde appieno alle esigenze del settore. Non serve un ulteriore ammortizzatore sovrapponibile alla NASpI, ma un nuovo modello di welfare”, ha dichiarato Francesca D’Ippolito, presidente di C.Re.S.Co.
Secondo Giulio Stumpo, presidente di ACTA, “a fronte di una esigua indennità forfettaria e una tantum, che non affronta il problema strutturale della discontinuità lavorativa, tutti i lavoratori dello spettacolo, anche autonomi, vedono ridursi il proprio compenso netto. Così il costo del lavoro sarà più oneroso anche per le imprese.”
C.Re.S.Co. e ACTA: “Serve uno Statuto speciale per i lavoratori dello spettacolo”
C.Re.S.Co. e ACTA hanno individuato alcuni elementi di particolare criticità in questo decreto. In primis, per le due associazioni le modalità di erogazione dell’indennità appaiono tardive, poiché vengono erogate nell’anno successivo a quando “la discontinuità lavorativa” si sarebbe verificata. In secondo luogo il calcolo degli importi dell’indennità, un terzo delle giornate lavorate nell’anno precedente, con il tetto del 60% dell’indennità giornaliera, viene giudicato basso rispetto al numero di giornate minime richieste per l’accesso.
A queste considerazioni si aggiunge la critica riguardo l’interpretazione, secondo loro errata, della discontinuità lavorativa tipica dei lavoratori dello spettacolo, che viene considerata come alternanza di periodi di occupazione e disoccupazione e non come modalità atipica di lavoro. La natura di ammortizzatore sociale di tale indennità viene poi confermata dalla sua non cumulabilità con altre indennità come malattia, genitorialità o NASpI, peraltro percepite in un periodo diverso da quello nel quale la discontinuità lavorativa si è verificata.
Infine, per C.Re.S.Co. e ACTA, il costo dell’indennità finirà per gravare, a partire dal prossimo anno, su imprese e lavoratori, non tenendo conto del già alto costo del lavoro per le imprese, soprattutto quelle più fragili, e delle ritenute per i lavoratori. Le due associazioni suggeriscono invece di far ricadere il costo dell’indennità sulla fiscalità generale, prevedendo negli anni successivi una copertura attraverso una coerente riformulazione delle aliquote.
Al fine di migliorare il testo, le due realtà hanno proposto l’apertura di un tavolo di confronto: “Auspichiamo un ripensamento della norma affinché possa rispondere più efficacemente alle esigenze peculiari delle persone che lavorano nel settore e possa essere l’occasione per la definizione, nel Codice dello Spettacolo, di uno Statuto speciale per le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo”.
Autorganizzati dello Spettacolo: “1.500 euro una tantum, misura insufficiente e irrispettosa. È incompetenza tecnica e politica”
David Ghollasi è un elettricista di palcoscenico e fa degli “Autorganizzati dello Spettacolo Roma”, un collettivo nato nel 2020, durante lo scoppio della pandemia globale di COVID-19, composto da lavoratori e lavoratrici dello spettacolo di Roma che raggruppa tecnici, attori, registi, coreografi, formatori, ecc. Ghollasi la definisce “una vera e propria assemblea aperta e assolutamente non corporativista”. Assieme alle CLAP (Camere del Lavoro Autonomo e Precario, giovane sindacato indipendente con base a Roma), ADL Cobas e SICobas, hanno deciso di costruire un soggetto intersindacale con l’intento di coprire l’intero territorio nazionale e coinvolgere tutti i lavoratori dello spettacolo.
Il collettivo, racconta Ghollasi, si è costituito durante la pandemia, quando “si parlava di riaperture, e noi abbiamo colto l’occasione per dire che bisognava tornare a lavorare con condizioni diverse rispetto a quelle di prima”.
Stiamo parlando di un settore in cui in media, secondo i dati INPS, si percepiscono 10.000 euro di reddito lordo annuo. “È chiaro che questi numeri nascondono molto lavoro grigio e nero, e in generale lavoro che possiamo definire povero. La verità è che questi professionisti impiegano molto più tempo di quello che viene conteggiato nel monte ore ufficiale. I nostri problemi infatti – specifica – non sono nati col COVID-19, c’erano già da prima e riguardano gli altissimi livelli di sfruttamento e di precarietà nel settore”.
Uno cavalli di battaglia degli Autorganizzati dello Spettacolo è stato proprio la richiesta del riconoscimento in Italia, come già avviene in altri Paesi del mondo, della discontinuità di questo tipo di lavoro. Nella vicina Francia, ad esempio, esiste già la cosiddetta “indennità di intermittenza”, basata sulla media dei compensi percepiti nell’anno precedente. In pratica, al superamento delle 507 ore lavorative standard (in Francia la contribuzione si stabilisce sulle ore e non sulle giornate di lavoro), viene erogata l’indennità nei primi dieci mesi dell’anno successivo.
Il lavoro nel mondo dello spettacolo prevede infatti momenti fisiologici di studio, ricerca o formazione, che però in Italia non vengono ancora pagati né riconosciuti. “Noi chiediamo l’introduzione di una misura universale, a sostegno del reddito di base, che vada a sostenere i lavoratori nei momenti di non produttività, così come intesi dalla legge”, spiega Ghollasi.
“Questo decreto – continua – restituisce un terzo delle giornate lavorate, pagate al 60% dell’importo medio lordo, fino a un massimale INPS giornaliero che corrisponde a 53,96 euro al giorno. Questo vuol dire che il più fortunato tra noi, che lavora il massimo dei giorni previsti in un anno, ossia 312, può percepire al massimo 5.000 euro. Calcolando che la media di quello che viene dichiarato è pari a 10.000 euro lordi all’anno, la maggior parte di questi lavoratori può aspirare a ricevere circa 1.500 euro una tantum”.
Per Ghollasi si tratta di “Una misura assolutamente insufficiente, irrispettosa verso i lavoratori dello spettacolo, frutto dell’incompetenza tecnica e politica sul tema. È una paghetta, più che un’indennità”.
Tiziano Trobia, coordinatore CLAP: “Nessuno userà l’indennità di discontinuità. Gli altri sussidi sono più convenienti”
Per Tiziano Trobia, coordinatore delle CLAP, questa indennità “distorce del tutto la natura dei momenti di ‘inattività’ dei lavoratori dello spettacolo, equiparandoli a momenti di disoccupazione”.
I punti più problematici per le CLAP sono essenzialmente tre: “Il primo riguarda la poca lungimiranza e conoscenza di questo mondo”, spiega Trobia. “Già un anno e mezzo fa, quando a seguito delle mobilitazioni dei lavoratori il Governo ha adottato misure emergenziali, i fondi stanziati erano del tutto insufficienti, sia per la platea potenzialmente interessata sia in generale, per immaginare uno strumento più efficace. Le aspettative, anche stavolta, erano quindi molto basse”.
“Il secondo punto, che è quello centrale, è l’incomprensione del concetto di discontinuità per i lavoratori dello spettacolo: non si tratta di un momento in cui non si fa niente, ma piuttosto, di una fase strutturale. Questo è un lavoro che inizia e si interrompe in continuazione. L’indennità non doveva essere una misura per i momenti di ‘non lavoro’, ma per riconoscere uno statuto particolare a questo tipo di mansione. “
“Il terzo problema”, conclude Trobia, “è la non cumulabilità dell’indennità con l’ALAS o con la NASpI, con l’aggiunta che i soldi che si prendono in questo caso sono anche molti meno. Per questo motivo prevediamo che alla fine nessuno utilizzerà questa misura, perché è più conveniente usare gli altri sussidi già esistenti”.
Per le CLAP è necessario un deciso cambio di prospettiva di mentalità sulla natura particolare di questo settore. “A nostro avviso il mondo dello spettacolo, da laboratorio di precarietà, può diventare invece un laboratorio di nuovi diritti, di sperimentazioni, di misure di welfare adeguate rispetto al mondo del lavoro in generale. Se allarghiamo lo sguardo, ci accorgiamo infatti che il lavoro tout court sta divenendo un lavoro intermittente. Molto spesso quella che viene definita disoccupazione è in realtà un momento di pausa, o di interruzione, tra un lavoro e un altro”.
Viste le numerose critiche e la delusione delle associazioni di categoria rispetto a questo decreto, la speranza è che il Governo ci ripensi e decida di rimetterci mano prima che venga convertito definitivamente in legge.
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