La difficoltà del libero professionista davanti ai grandi nomi

Sono arrivata in Italia nel 2001, pochi mesi prima del passaggio all’Euro. La destinazione prescelta fu l’Umbria. Ero convinta che avrei trovato lavoro subito, il mio CV comprendeva una laurea del’98 ed esperienza in PMI e in multinazionali; parlavo l’italiano ed ero già cittadina italiana. Mi feci forza e affrontai con ottimismo la ricerca di […]

Sono arrivata in Italia nel 2001, pochi mesi prima del passaggio all’Euro. La destinazione prescelta fu l’Umbria. Ero convinta che avrei trovato lavoro subito, il mio CV comprendeva una laurea del’98 ed esperienza in PMI e in multinazionali; parlavo l’italiano ed ero già cittadina italiana. Mi feci forza e affrontai con ottimismo la ricerca di lavoro. Mi ricordo i primi colloqui ai quali ho partecipato. La prima domanda era: tu di chi sei figlia? La mia risposta era sempre la stessa: di nessuno. Non perché non avessi genitori, ma perché non erano di questa zona, motivo per il quale questo tipo di “referenza” non sarebbe servita a niente.

 

Consulenze: per chi lavori non indica quanto vali

Normalmente noi piccoli lavoriamo insieme alle PMI (che rappresentano il 92% delle imprese attive), dove la maggior parte delle volte abbiamo a che fare con la famiglia di chi ha iniziato l’attività. In queste realtà la scelta del consulente, come quella dei collaboratori, passa dalla relazione: un mio amico, mio cugino e così via.

In modo un po’ diverso questa domanda mi viene fatta ancora oggi, dopo circa vent’anni che lavoro in proprio: ma tu, per chi lavori? Lavoro per me stessa. In quel momento vedi la perplessità del tuo interlocutore.

È un paradosso, dato che l’86% delle imprese che si occupano di Management Consulting sono microimprese (non più di 2 persone); se aggiungiamo le piccole imprese (da 3 a 9 persone) arriviamo al 97% del totale. Tuttavia Pareto si fa sentire anche qui, perché il 66% del fatturato (2.7 su 4.1 miliardi di Euro) rimane in mano di quel 3% di società che hanno più di 9 addetti (fonte: Osservatorio 2018 Management Consulting in Italia – Assoconsult).

L’impressione è che lavorare per nomi conosciuti nel mondo della consulenza sia sinonimo di qualità e competenza. È come se avere quel nome nel biglietto da visita di fatto significhi avere competenza comprovata in quel determinato argomento, a prescindere dall’esperienza in campo. Se nel tuo biglietto c’è solo il tuo nome, invece, la competenza va dimostrata e il rispetto guadagnato, e comunque sei sempre in prova.

Molti grandi oggi vivono di rendita, nel senso che si sono costruiti il loro nome in anni e anni di lavoro sul mercato e si possono permettere di mandare il consulente junior della situazione perché alle spalle c’è il loro nome. Mi sono imbattuta in alcuni big dei quali rimane solo il nome: le attività di staff sono rimaste, ma il consulente che arriva è un libero professionista che lavora “anche” per loro. La mia esperienza mi ha portato a scegliere la libera professione perché quello che mi dava quella scatola vuota non giustificava la percentuale da loro richiesta, oppure perché non era in linea con il mio modus operandi.

 

Consulenti, le difficoltà dei “piccoli”

Le difficoltà per noi piccoli di questo settore sono diverse:

  • Politiche: anche se qualcosa è cambiato dal JobsAct, ancora oggi siamo sotto torchio. Le nostre tutele ce le dobbiamo guadagnare e la pressione fiscale che sopportiamo è altissima. Non mi dilungo su questo punto, Senza Filtro ha già affrontato l’argomento in passato.
  • Funzioni di staff: ci troviamo a doverci occupare di tutti gli aspetti legati alla normale operatività dell’attività, dall’amministrazione alla promozione e vendita dei servizi, fino alla loro erogazione. Diventiamo “quasi esperti” in materia contabile, marketing, telemarketing e tecniche di vendita, per riuscire a mettere a frutto i servizi nei quali siamo bravi. Dobbiamo studiare norme e leggi, imparare le tecniche di comunicazione nei social network, la grafica e quant’altro, perché non sempre possiamo permetterci di contrattare qualcuno che lo faccia per noi.
  • Gli alti e bassi: soffriamo gli alti e bassi dell’economia in modo più forte dei nostri competitor più strutturati. Se non lavoriamo, non fatturiamo. Se non fatturiamo, non incassiamo. Di solito non abbiamo un collega che possa fare le nostre veci se stiamo male o se abbiamo i bambini malati. Se un cliente non paga, a soffrire non è solo l’attività ma anche il budget famigliare. Una buona parte di noi vive nell’incertezza economica perché non riesce a ricavare “uno stipendio” mensile tutti i mesi.
  • Grandi nomi: non è lo stesso arrivare in azienda avendo alle spalle il nome di uno dei big, rispetto ad arrivare dicendo: sono io, e queste sono le mie competenze. Già prendere un appuntamento essendo “solo io” è difficile, figuriamoci tutto il resto. Competere con loro a volte è impossibile, anche perché entrare in una guerra di prezzi ci farebbe uscire molto male. Lavoriamo sul personal branding, ma solo con fatica possiamo avvicinarci al loro status.
  • Gli altri piccoli: eh sì, perché dobbiamo competere con altri di quell’86%. Dobbiamo mettere in atto una strategia che ci differenzi dagli altri, che ci permetta di crearci la nostra nicchia di mercato.
  • Il rischio: a ogni decisione ci stiamo giocando la nostra attività, si diventa imprenditore di sé stessi. Tutto dipende da noi; possiamo chiedere consiglio, ma alla fine siamo soli davanti alle decisioni da prendere.
  • La solitudine: legata al punto precedente, troviamo la solitudine. Le giornate in cui non sono dai clienti le passo in ufficio da sola. Questo sicuramente aiuta la concentrazione, ma lascia una sensazione di lontananza dal resto del mondo. La pausa caffè è con noi stessi, non c’è quella sensazione di far parte di una rete sociale. Infatti veniamo anche chiamati lupi solitari.

 

I vantaggi della libera professione

Ma non tutto è negativo. Ci sono anche dei vantaggi che ci portano a scegliere questa strada:

  • Il network: i “grandi” hanno un team interno che può supportare il cliente in diversi ambiti legati alla consulenza. Noi piccoli no (a meno di non essere tuttologi, ma ne parleremo in un’altra occasione). La nostra forza sta nel network, nel collaborare con altre persone che ne sanno più di noi su alcuni argomenti. Se siamo bravi a costruire la nostra rete, saremo in grado di soddisfare le diverse esigenze del nostro cliente e di stupirlo presentando persone e soluzioni di altissimo livello. Inoltre questo aspetto ci aiuta a sentirci meno soli e, se troviamo il network giusto, a sentirci parte di una community.
  • Rapidità di risposta ai cambiamenti: come in tutte le realtà, il piccolo si muove più velocemente, riuscendo a cambiare rotta per adattarsi ai cambiamenti del mercato. In questo mondo VUCA è un bel vantaggio. Riusciamo a mettere in piedi nuovi servizi velocemente, perché non dobbiamo trattare con i nostri colleghi; la valutazione del vantaggio passa solo da noi.
  • Fidelizzazione del cliente: il cliente non compra solo il nostro servizio. Con lui si crea un rapporto vero, basato sulla fiducia e sul rispetto reciproco. I nostri servizi sono su misura, sono personalizzati, perché conosciamo lui. I grandi entrano più facilmente; noi riusciamo a creare un rapporto proprio perché siamo noi a fare tutte le attività (dalla vendita alla consegna).
  • Gestione del tempo: diventiamo esperti nella gestione del tempo e delle risorse a disposizione. Ho scelto la libera professione proprio per poter gestire il mio tempo; all’inizio è stata una necessità, oggi è una scelta. La mia agenda è un tetris tra famiglia, lavoro e tempo libero. La mia macchina è il mio ufficio ambulante, dove oltre al computer si trovano anche libro e appunti dell’argomento di approfondimento di turno, insieme ai pennarelli e quaderni per colorare di mia figlia più piccola e il borsone di pallavolo di quella più grande.
  • Padroni di noi stessi: non c’è un datore di lavoro che ci dice che cosa fare e quando, non ci sono collaboratori che fanno le attività al posto nostro e non c’è un collega con il quale suddividere il lavoro. Il nostro destino lavorativo dipende da noi, e questo ci motiva a migliorare, a dare sempre il meglio e a rimanere sempre aggiornati. Ci costruiamo la nostra attività intorno a noi, e sono le nostre azioni a portarci il risultato. Questo lo trovo meraviglioso!

Ci sono diversi fattori che possono motivare la scelta della libera professione in ambito consulenziale. Secondo me alla base c’è la convinzione che con il nostro potenziale e talento possiamo raggiungere il nostro obiettivo e superare le difficoltà.

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