La Gig economy dalla voce di un politico

La transizione digitale sta rapidamente trasformando tanti aspetti della nostra vita quotidiana: dalla comunicazione all’educazione, dalla memoria all’organizzazione del lavoro. Mentre si moltiplicano le iniziative e i convegni sul futuro dell’economia digitale, il rischio è quello di non riuscire a cogliere l’attimo sul presente del mondo del lavoro. Gig economy, uno sguardo dalla città È […]

La transizione digitale sta rapidamente trasformando tanti aspetti della nostra vita quotidiana: dalla comunicazione all’educazione, dalla memoria all’organizzazione del lavoro. Mentre si moltiplicano le iniziative e i convegni sul futuro dell’economia digitale, il rischio è quello di non riuscire a cogliere l’attimo sul presente del mondo del lavoro.

Gig economy, uno sguardo dalla città

È un dato di fatto che la crescita della sharing economy stia determinando un incremento considerevole di nuove forme di lavoro non standardizzate. In questo contesto, forse la prospettiva delle aree urbane può aiutare a cogliere i mutamenti della realtà in atto meglio dei semplici dati. Perché se è vero che attraverso gli algoritmi le piattaforme digitali stanno modellando il nuovo modo di lavorare, è altrettanto vero che le strade delle nostre città rimangono le piattaforme reali dove poi il lavoro viene esercitato.

A molti di voi sarà sicuramente capitato di veder sfrecciare rider delle principali piattaforme di delivery food (Foodora, Deliveroo, JustEat, Glovo, solo per citare qualche esempio) sulle strade cittadine per recapitare nelle nostre case una consegna a domicilio, ma forse a pochi sarà capitato di fermarsi a pensare alle loro condizioni di lavoro. Perché oltre a essere ciclisti, i rider sono lavoratori.

In effetti, quando chiamiamo la nostra pizzeria preferita per una pizza a domicilio siamo portati a pensare che chi ci consegna la pizza sia un dipendente della pizzeria. Non è più così. Il nostro ordine dalla pizzeria rimbalza alle società di delivery food, che attivano i rider per la consegna a domicilio.

Le piattaforme digitali si inseriscono nella negoziazione pur non avendo alcun rapporto negoziale diretto con il cliente finale. Questo le rende invisibili. Il primo sciopero dei rider durante le festività natalizie e la costituzione degli Union Riders di Bologna hanno squarciato il velo sul tema delle condizioni lavorative nel settore del delivery food. Il Comune di Bologna ha avviato un percorso di dialogo e di ascolto con i rider, le piattaforme digitali e le organizzazioni sindacali, nella convinzione che fosse necessario da un lato intervenire per favorire la crescita sostenibile dell’economia collaborativa senza abbassare le tutele dei lavoratori vulnerabili, e dall’altro aprire una riflessione più generale sulla cultura del lavoro digitale, per evitare che l’attività imprenditoriale si scarichi sugli esercizi commerciali o sui lavoratori digitali.

La tutela dei nuovi lavoratori

La sharing economy non è solo un’opportunità: è una sfida per il mondo del lavoro nel suo insieme. Riguarda le imprese, i lavoratori, le organizzazioni sindacali, gli enti territoriali e la politica italiana, molto concentrata sul politic e poco preparata a confrontarsi nel merito delle policies industriali e delle politiche attive per il lavoro. Quelli che noi indistintamente chiamiamo “lavoretti” da gig economy per qualcuno sono lavori a tempo pieno. Per molti giovani sono la prima vera occasione di contatto con il mondo del lavoro.

In attesa di una legislazione adeguata al nuovo fenomeno, sia a livello europeo (dove attualmente è in discussione una proposta di direttiva) sia a livello nazionale, non volendo aspettare un caso di morte sul lavoro prima di agire, il Comune di Bologna, dopo aver ascoltato le parti, ha proposto una Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano. Il documento prescrive standard minimi di tutela in materia di salute e sicurezza, con coperture assicurative in caso di danni ai lavoratori e a terzi, in materia di obblighi informativi sul rapporto di lavoro, sulla retribuzione, sulle indennità integrative in caso di esercizio della prestazione in condizioni di particolare avversità, in materia di privacy, portabilità dei meccanismi reputazionali (rating) e diritto alla disconnessione.

Non vogliamo che incidenti sul lavoro a tutti gli effetti vengano derubricati a “sinistri stradali”. Non possiamo accettare che sulle strade delle nostre città siano messe a repentaglio le vite dei lavoratori e dei cittadini. Il nostro auspicio è che la Carta di Bologna possa essere sottoscritta dai diversi attori dell’economia digitale nella nostra area metropolitana, e che possa trovare una prima applicazione sperimentale nel settore del delivery food attraverso la firma dei rider, delle piattaforme digitali e delle organizzazioni sindacali.

La nostra speranza è che possa estendersi come buona pratica alle principali aree metropolitane italiane e possa portare un contributo di riflessione sulla cultura del lavoro digitale. Forse è il caso che tutti i principali attori dell’economia collaborativa comincino a collaborare sul serio per garantire il rispetto della legalità e della sicurezza sul lavoro. Per farlo non c’è bisogno di aspettare un intervento legislativo o la sentenza di un giudice sulla qualificazione giuridica di un rapporto.

 

Photo by fiordirisorse [CC BY-NC-ND 2.0] via Flickr. Photographer: Felicita Russo

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