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Il Lato A di Dan Peterson
Scarica il podcast della puntata. Qualche giorno fa ho avuto il piacere e l’onore di intervistare Daniel Lowell Peterson, detto Dan, il coach per eccellenza che dall’alto dei suoi splendidi 82 anni e della sua immutata verve mi ha condotto in un viaggio mirabolante sino alle radici del rock. Della sua storia personale e professionale sappiamo tutto […]
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Qualche giorno fa ho avuto il piacere e l’onore di intervistare Daniel Lowell Peterson, detto Dan, il coach per eccellenza che dall’alto dei suoi splendidi 82 anni e della sua immutata verve mi ha condotto in un viaggio mirabolante sino alle radici del rock.
Della sua storia personale e professionale sappiamo tutto o quasi, abbracciando circa quattro generazioni nelle sue esperienze di coach, commentatore televisivo e opinionista.
La premessa della nostra chiacchierata è una autentica meraviglia. Dan mi confessa la sua difficoltà a parlare di musica facendo parte della generazione che ha visto la nascita del rock’n’roll nei primi anni ’50.
Non può parlare di canzoni che hanno segnato la sua infanzia o la prima fase dell’adolescenza perché si sente troppo legato a quel periodo ed è quasi impossibile spiegare cosa ci fosse prima del R’N’R. E’ stato come un fulmine: si è passati da zero a cento in 24 ore. Mi racconta che sono andati a dormire una sera che non c’era niente, si sono svegliati e c’era il rock’n’roll.
Oggi qualunque novità è “solo” un pezzetto in più di una cosa che già esiste e proprio per questo sorride quando sente definire gli anni ’50 The Silent Generation: ci fu invece più rumore lì che in qualunque altro decennio.
Billy Haley and the Comets, Elvis, Chuck Berry, poi i primi slow; ogni momento era perfetto per imbracciare una chitarra ed emulare i pionieri del rock.
Poi arrivarono gli anni ’60 con i primi grandi figli degli eroi dei fifties: Rolling Stones, Beatles, Bob Dylan, Ma anche loro non sarebbero esistiti senza il big bang del Rock.
Oggi la magia della musica continua sotto molteplici aspetti, basta guardare gli studenti sull’autobus, le persone che camminano per strada, i giocatori che si riscaldano sul parquet prima di un match. Hanno tutti le cuffie nelle orecchie perché la musica gli da’ qualcosa: carica, tranquillità, la forza di non pensare, la concentrazione. La gente, senza la musica, non ci sa stare.
Il paradosso è che oggi basta essere numero uno in classifica e subito gli viene chiesto un parere sulla situazione in Medio Oriente o sul riscaldamento globale. Altra cosa è chiederlo a band e artisti che hanno girato il mondo, che hanno fatto strada in ogni senso, hanno vissuto, visto, conosciuto culture diverse e magari hanno contribuito a trasformazioni storiche importanti.
Ma non c’era solo rock c’era il blues, il folk, il country. Tra le grandi passioni di Dan, un posto speciale è riservato al Bluegrass.
La musica ha anche avvicinato mondi che parevano distantissimi. Dan mi racconta che il bluegrass è uno degli stili più amati, diffusi e imitati in Giappone. Alcune band giapponesi suonano imitando (e bene) i grandi maestri di Nashville, invitando i grandi artisti US in Giappone a partecipare a seguitissimi festival.
La musica è ponte tra i popoli, capace di regalare emozioni uniche. Negli anni ’70, Dan era in Cile ad allenare la nazionale. Viveva la realtà del paese intensamente e intanto ascoltava molta musica locale. Ancora oggi sia lui che i suoi figli ricordano un brano che meglio di tutti racconta quel periodo sudamericano. Tormenta cantava Adios, Chico de Mi Barrio.
Dan è ormai italiano di adozione e anche in Italia ci sono artisti che ammira. Canzoni come Chi se ne importa di Morandi o Vita spericolata di Vasco sono canzoni che dicono qualcosa e si capisce subito che non sono canzoni come le altre.
Poi, su suggerimento fuori campo, Dan aggiunge alla carrellata un ricordo di Modugno, raccontandomi di come, sia pur molto conosciuto in Italia, in US fosse una specie di gigante, un mito assoluto.
“Volare” come tutti la chiamano in US fu un vero e proprio smash che rimase in testa alle classifiche per un sacco di tempo tanto da far partecipare Modugno all’Ed Sullivan Show in onda sulla CBS: era lo show degli show e quando arrivavi lì avevi raggiungo il punto più alto della tua celebrità.
La musica è stata una costante nel corso della sua vita in giro per il mondo. Oggi suona molto di rado ma ha sempre in casa la sua chitarra, una Gibson particolare con alcuni inserti speciali che la rendono unica. Questa amica speciale è il suo termometro. Ogni tanto strimpella un po’ e quando la prende sa già di che umore è, perché altrimenti non hai nemmeno voglia di suonare.
Prima di salutarci gli chiedo conferma di un aneddoto che lo riguarda su una famosa partita di circa 30 anni fa: in dieci secondi mi racconta come andò davvero con tanto di punteggi, percentuali al tiro, punti realizzati da un giocatore, naturalmente per andata e ritorno. Incredibile.
Il coach è sempre il coach e, come nella celebre pubblicità, adesso finalmente posso dire anch’io con convinzione “Grazie Coach! Per me è sempre un Numero Uno”.
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