Le bugie di un modello cooperativo imposto dall’alto

La storia delle cooperative in Emilia-Romagna è una storia di emancipazione sociale. Partendo da una situazione di povertà e arretratezza che caratterizzava le campagne a cavallo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, cominciarono a nascere diverse forme di associazione tra contadini, allevatori e pescatori, che avevano in comune l’idea di “lavorare insieme […]

La storia delle cooperative in Emilia-Romagna è una storia di emancipazione sociale.

Partendo da una situazione di povertà e arretratezza che caratterizzava le campagne a cavallo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, cominciarono a nascere diverse forme di associazione tra contadini, allevatori e pescatori, che avevano in comune l’idea di “lavorare insieme per il bene di tutti”. Nasceva il modello cooperativo agro-alimentare, basato su principi mutualistici e su valori di solidarietà e democrazia. Questa scelta storica ha trasformato il tessuto economico-sociale di questa terra e l’ha fortemente caratterizzata dal punto di vista culturale e politico.

A distanza di più di un secolo, qual è la vera anima del mondo cooperativo? E come vengono percepite dal consumatore e dal tessuto sociale le imprese cooperative? Si distinguono ancora dalle altre imprese a scopo di lucro? Come cittadino emiliano sento che esiste una connotazionepolitica” che caratterizza il mondo delle cooperative rosse, che comunque non rappresentano tutto il sistema. Questa identificazione porta con sé sentimenti di amore o di odio, di appartenenza o di rifiuto, che sono pregiudiziali rispetto alla valutazione dei prodotti o dei servizi offerti dall’impresa cooperativa.

 

Modello cooperativo emiliano: dimmi dove compri e ti dirò chi sei

C’è chi va a fare la spesa alla Coop o all’Esselunga per ragioni ideologiche. Queste persone sono sicuramente una minoranza, ma la contrapposizione c’è, e non riguarda solo le cooperative di consumatori e la grande distribuzione. Il sistema cooperativo in Emilia rappresenta una forza economica con luci ed ombre, fattori positivi e negativi, ma i valori attuali di riferimento sono probabilmente più simili a quelli delle normali imprese con fine di lucro. E se dal punto di vista economico la crescita e lo sviluppo di questo modello ha contribuito a portare l’Emilia-Romagna a essere una delle regioni con il PIL pro capite più alto d’Europa, l’aumento di potere del sistema lo ha forse portato fuori dal percorso originario.

Ricordiamo che le cooperative sono società caratterizzate da alcuni elementi giuridici: intanto ogni socio ha diritto a un voto in assemblea (una testa = un voto), indipendentemente dalla quota di capitale sociale posseduta. Mentre il fine ultimo delle società di persone o di capitali è la realizzazione del lucro, con la ripartizione degli utili, ogni società cooperativa deve assicurare ai soci, a seconda del tipo di cooperativa, il lavoro, o beni di consumo, o servizi, a condizioni migliori di quelle che otterrebbero dal libero mercato.

Ma il sistema cooperativo pare non essere riuscito del tutto a evitare il coinvolgimento negli scandali finanziari, di corruzione e di collusione con le mafie che, purtroppo, ben rappresentano il cancro del nostro Paese. E dov’è oggi il modello cooperativo, rispetto a questa sfida? Vuole dire cura per l’ambiente, per il territorio, per le persone. Guardando anche oltre i muri del proprio stabilimento, oltre ai propri soci. Obiettivi concreti e reali, non solo per generare due grafici da mostrare nel bilancio sociale.

A questo proposito ho voluto sentire il parere di chi vive il mondo cooperativo dall’interno e che conosce bene il tessuto economico della regione: Simone Gamberini, Direttore Generale di Lega Coop Bologna, l’associazione che rappresenta e tutela gli interessi delle maggiori imprese cooperative del territorio.

 

 

Oggi per le imprese non si parla più “posizionamento” sul mercato, ma di “reputation” legata a un sistema di relazione con il consumatore, basato su precisi valori. Da questo punto di vista qual è la situazione delle più importanti imprese cooperative della regione?

C’è una complessità della struttura di imprese cooperative che dipende principalmente dalla lettura della tipologia di bisogni da soddisfare per cui sono state create. Molte cooperative si trovano a vivere in mercati più o meno competitivi, e questo può incidere sulla reputazione e sulla possibilità di mantenere alcune caratteristiche distintive. Però è molto importante fare una distinzione tra le cooperative e le false cooperative: spesso le cooperative che sono balzate agli onori delle cronache e hanno danneggiato l’immagine del mondo cooperativo erano false cooperative.

Che cosa si intende per false cooperative?

Spesso sono formalmente costituite anche da migliaia di soci, ma di fatto è ben chiaro di chi è la proprietà, che ha a disposizione la direzione aziendale; molta parte del settore della logistica e della movimentazione delle merci ha una presenza forte di false cooperative anche in territori come l’Emilia-Romagna. Oltre al danno reputazionale, i danni maggiori sono stati fatti sulla pelle delle persone coinvolte in crisi aziendali, con sequenze di fallimenti, liquidazioni e ricostituzioni in altre forme.

È chiaro che queste imprese utilizzano la forma cooperativa solo come veicolo.

Questo nell’immaginario collettivo però è cooperazione, ed è un problema. Noi in questi anni abbiamo lavorato, cercando di sostenere di fronte al legislatore la necessità di strumenti per combattere questo fenomeno, e tra i soci dell’Emilia-Romagna abbiamo raccolto quasi 100.000 firme per una proposta di legge a iniziativa popolare che andasse a definire normative più stringerti contro le false cooperative. Oggi la proposta di legge ha iniziato la sua discussione in Senato, anche se spesso è stata bloccata perché ci sono interessi economici che spingono per avere un sistema con meno controlli e un certo tipo di flessibilità del lavoro e dei contratti. Negli ultimi dieci anni il fenomeno delle false cooperative è esploso. Sono soggetti che non sono iscritti ad alcuna associazione d’impresa; così non devono sottostare alla revisione delle centrali cooperative, ma solo alla revisione ministeriale, che per vari motivi è meno approfondita, o magari verifica alcuni indici economici, ma non controlla, ad esempio, l’effettiva esistenza dello scambio mutualistico. A questo si è aggiunto il fatto che alcune cooperative vere, per competere sul mercato, soprattutto a partire dagli anni 2000 hanno assunto comportamenti più vicini a quelli dellimpresa privata, non sempre con risultati positivi, e questo ha prodotto anche percorsi di rientro. Inoltre alcune vicende – penso a Mafia Capitale – hanno pesato sulla reputazione del sistema cooperativo, ma anche in quel caso approfondendo i fatti si può vedere che si tratta di un coinvolgimento di soggetti singoli e non dell’impresa. Però il processo mediatico ha sicuramente prodotto un certo danno reputazionale anche a causa dei meccanismi odierni della comunicazione, molto veloce e superficiale.

E per quanto riguarda il futuro del modello cooperativo?

Noi abbiamo lanciato lo slogan: “La cooperazione è un’idea giovane”. C’è una tensione delle persone, specie sul nostro territorio, ad auto-organizzarsi per rispondere ai loro bisogni, anche in forma cooperativa. Noi questo fenomeno lo chiamiamo una sorta di “Neo mutualismo post liberista”. Nasce soprattutto nella generazione precedente a quella dei Millenials; una risposta a bisogni che non riesce più a soddisfare individualmente per una diminuzione generale dei redditi e del potere d’acquisto.

Oggi i bisogni sono diversi.

I GAS che sono nati negli ultimi anni nel nostro territorio sono partiti da una condivisione di valori come la filiera corta, sostegno al territorio, attenzione alla qualità (elementi che caratterizzavano anche il messaggio di Coop) e si sono evoluti in nuove forme (sempre sotto il modello cooperativo): ad esempio ci si auto-organizza anche nella gestione e nel lavoro in un supermercato dove distribuire i prodotti del Gruppo d’Acquisto (cooperativa Camilla). Oppure uno sviluppo verso il lavoro di “produzione”, coltivando lotti di terreno come nel caso della cooperativa che ha vinto il bando di gestione del Comune di Bologna (Arvaia, 400 soci). Oppure stiamo vedendo, specie nella generazione dei Millenials, un pensiero “disruptive” rispetto all’economia di piattaforma. I big di quel settore hanno proposto un’idea di sharing che è una specie di traduzione edulcorata del modello capitalista di assorbimento del valore; questi giovani invece stanno proponendo di costituirsi in cooperativa, e nella logica di piattaforma rispondono a determinati bisogni. Ad esempio Fairbnb (in risposta ad Airbnb): di questa cooperativa sono soci sia coloro che hanno costituito la piattaforma, sia tutti gli host, sia tutti i clienti. E la fee che andrebbe alla piattaforma (che Airbnb trasforma in valore per gli investitori) viene riversata sul territorio e su progetti condivisi tra gli associati. Come utente oltre a prenotare divento socio, e posso orientare i progetti e i servizi della piattaforma stessa. Altro esempio: le cooperative dei tassisti rispondono in modo diverso alla “uberizzazione” del mercato. Alcune rispondono in modo più conservativo, cercando di mettere barriere; altre, come la cooperativa COTABO di Bologna, hanno realizzato una nuova piattaforma proprietaria dove diventano soci anche gli utenti, e hanno la loro app Taxi Click, già utilizzata in mezza Europa, con un’utenza integrata nell’impresa. Quindi il modello cooperativo è ancora vivo, e non vive solo nella cooperazione sociale o nella cooperazione di comunità.

Ma quali sono gli elementi distintivi, oggi?

La proprietà, la finalità mutualistica, una testa un voto, il patrimonio intergenerazionale, o anche ad esempio la trasparenza della filiera per una precisa scelta dei soci di Granarolo e di Coop. Questi rimangono punti fermi che differenziano parecchio rispetto all’impresa privata. Quando abbiamo lanciato il percorso di “Startup Cooperativa” lo abbiamo fatto utilizzando un termine che nell’immaginario collettivo stava dentro al modello stile Silicon Valley: obiettivo produrre valore e vendere l’impresa. Noi invece diciamo: costituiamo la startup cooperativa con l’obiettivo di crescere, costruire un patrimonio intergenerazionale e provare a svilupparsi, espandersi in nuovi mercati e dare risposte a nuovi bisogni. I soci devono essere consapevoli di questo: non basta avere una bella idea o avere voglia di fare impresa, ci vuole anche la volontà di crescere a lungo termine.

Ma l’Emilia-Romagna è ancora il principale territorio per la nascita di questi nuovi modelli?

Non solo. Sicuramente sì, in quanto è un’area di alta densità cooperativa con una struttura associativa di supporto. Dove c’è una bassa intensità di imprese cooperative possono nascere modelli vincenti di cooperazione di comunità; ad esempio, al Sud ci sono interessanti casi di cooperative che nascono da un insieme di bisogni sociali, di servizi e di manutenzione del territorio. In generale, per le nuove generazioni si pone il tema: come faccio a mantenere un certo stile di vita, per me e per i miei figli, e per recuperare quel potere d’acquisto più basso della generazione precedente? Condividendo e collaborando riduco il costo di accesso. Il modello cooperativo diventa una soluzione possibile.

 

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