L’uomo delle stellette

[…] Il quarto pianeta era abitato da un uomo d’affari. Questo uomo era così occupato che non alzò neppure la testa all’arrivo del piccolo principe. […] “Cinquecento e un milione seicentoventiduemilasettecentotrentuno. Sono un uomo serio io, sono un uomo preciso” “E che te ne fai di queste stelle?” “Che cosa me ne faccio?” “Si” “Niente. […]

[…] Il quarto pianeta era abitato da un uomo d’affari. Questo uomo era così occupato che non alzò neppure la testa all’arrivo del piccolo principe. […] “Cinquecento e un milione seicentoventiduemilasettecentotrentuno. Sono un uomo serio io, sono un uomo preciso” “E che te ne fai di queste stelle?” “Che cosa me ne faccio?” “Si” “Niente. Le possiedo io” “Tu possiedi le stelle?” “Si” […] “E a che ti serve possedere le stelle?” “Mi serve ad essere ricco” “E a che ti serve essere ricco?” “A comperare delle altre stelle, se qualcuno ne trova”. […]

Le leggere pennellate poetiche di Antoine de Saint-Exupéry, nella propria disincantata fanciullesca semplicità, sono drammaticamente precise e puntuali nello descrivere alcuni degli aspetti più irrazionali della folle razionalità di tanti adulti. E ciò è tanto più vero quanto ci si avvicina ai luoghi del potere, alle figure di responsabilità, in ogni ambito. Si pensi alla politica, si pensi alla gestioni degli enti pubblici, si pensi al management delle nostre imprese. A quante persone, attorno a noi, vivono per accumulare stelle e stellette a prescindere, a quanti ancora sono ancorati ai gradi per affermare la propria autorità, confondendola con l’autorevolezza.

Per provare a dare qualche risposta, con particolare riferimento al “mondo azienda”, abbiamo voluto raccogliere una voce quanto più possibile imparziale, a metà tra accademia e impresa, quella di Paolo Gubitta, professore ordinario di Organizzazione Aziendale e presidente della Laurea Triennale in Economia all’Università di Padova, ma anche direttore scientifico dell’area Imprenditorialità presso il CUOA Business School di Altavilla Vicentina.

“Il manager della vecchia scuola, di ispirazione “fordista”, che mette in primo piano la posizione formale ed il ruolo di potere sta passo passo svanendo – spiega Gubitta – Si tratta di una figura ormai anacronistica, che davvero nulla ha a che fare con le imprese di oggi, strutture altamente dinamiche che hanno bisogno di equilibri di gestione altrettanto flessibili”.

In effetti siamo ben lontani dai concetti che determinarono il successo della catena di montaggio d’inizio ‘900, vivendo noi tutti all’interno della “società liquida” già teorizzata dal sociologo Zygmunt Bauman, in un mondo dai delicati equilibri instabili. Peraltro un mondo sovrabbondante di informazioni e notizie, in cui ciascuno può farsi una propria idea, più o meno condita di pseudo-verità.

“In tale contesto sociale di transizione permanente oggi è impensabile ipotizzare strutture organizzative con posizioni fisse di potere, a prescindere dalla situazione – continua Gubitta – piuttosto è fondamentale che vi siano molteplici “poli” a cui dare delega di decisione in base alla competenza ed al contesto. Solo attraverso una gestione dinamica delle responsabilità, infatti, è possibile raggiungere un adeguato equilibrio e soprattutto un’efficienza gestionale. Esattamente come avviene, da sempre, nelle startup”.

Pensandoci bene probabilmente proprio il modello delle micro-realtà-imprenditoriali, spesso basate su tematiche digitali, può aiutarci a capire meglio la nota affermazione dell’economista Dennis Robertson che descriveva le imprese quali “isole di potere cosciente in questo oceano di cooperazione incosciente”. Perché proprio spostando il livello decisionale da figure apicali statiche a più polarità dinamiche è possibile creare un sistema di leadership condivisa che metta al centro le vere priorità dei gruppi di lavoro. “Nelle startup i ruoli sono bene definiti sulla base delle competenze e ciascuno interviene nel momento giusto quando è chiamato a dare il proprio massimo contributo. Poi è chiaro che esiste un leader, naturale, come in ogni gruppo. Ma tutto ciò che viene realizzato è sempre frutto di un lavoro collettivo – prosegue Gubitta – E non è un caso, ad esempio, che proprio questi micro-imprenditori in ogni occasione parlino a nome di un “noi” e mai di un “Io” individuale”.

Come sempre, in azienda, è piuttosto facile essere consapevoli di quanto sia fondamentale essere autorevoli e non autoritari, ovvero leader carismatici che condividono la propria competenza con i collaboratori, con l’obiettivo di farli crescere. Perché il bravo manager d’esperienza sa cosa è davvero importante per la propria struttura e soprattutto è conscio di essere una spanna sopra, per aver accumulato più sapere rispetto agli altri. Facile la teoria. Meno facile la realtà.

Soprattutto se oggi è richiesta una “leadership collettiva”, autogestita in base al momento ed alle opportunità di essere maggiormente efficaci. Un esempio emblematico di tale approccio è rappresentato, da oltre 30 anni dalla Orpheus Chamber Orchestra di New York, una formazione di artisti che si cimenta in repertori classici complessi pur senza avere un direttore. In una sorta di gestione democratica auto-gestita.

“Si tenga infine conto – conclude Gubitta – che solo le aziende in grado di vivere davvero questa nuova dimensione dinamica del potere, nella logica pluri-polare, possono risultare interessanti ed attrattive per nuovo capitale umano. Si tratta dunque di una necessità organizzativa non banale, che peraltro può determinare l’isolamento delle figure manageriali che non si adattano. Ma la strada è solo una se si vuole puntare davvero su un’efficienza dei processi interni basata su di una vera leadership”
Non è più tempo, dunque, di strutture organizzative ingessate nel vetero-management, e le stellette non sono più cucite addosso ma applicate con un metaforico velcro, per consentirne il passaggio a chi è opportuno che le indossi di volta in volta.

[…] L’uomo d’affari aprì la bocca ma non trovò niente da rispondere e il piccolo principe se ne andò […]

 

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