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Manager nuovi per tempi nuovi
La nuova era dell’imprenditorialità richiede anche manager nuovi: gestori capaci e competenti, che non siano soltanto alla caccia di uno stipendio più alto.
Hans Swaroswky, geniale direttore d’orchestra, ripeteva spesso: “Il 70% dei conduttori abbassa il livello di qualità dell’orchestra, il 20% mantiene il livello esistente, e solo il 10% è in grado di portarlo a un altro livello”.
Sostituiamo la parola “manager”a “direttore d’orchestra” e avremo un quadro estremamente fedele di quanto accade oggi nel mondo aziendale. Pochissimi riescono a fare la differenza; tutti gli altri si limitano a mantenere le cose come stanno – o addirittura peggiorarle.
Altra cosa sintomatica è che, secondo uno studio, solo una persona su dieci ha il talento e l’attitudine del manager.
Dunque le aziende commettono, su larga scala e continuamente, pessime scelte.
Il 10% delle volte in cui la persona giusta si trova al posto giusto potrebbe
allora essere la situazione in cui si elevano le performance, proprio come con
il direttore di orchestra e i musicisti. Il restante 90% delle volte,
generalizzando, le prestazioni scadono e il clima diventa un pericoloso
focolaio di insoddisfazione, tensione e, in un conosciutissimo circolo vizioso,
improduttività.
Manager sbagliati o al posto sbagliato determinano produttività sotto la media, turnover, stress, burnout e altri grandi problemi nel mondo del lavoro D’altra parte, però, non c’è un unico antidoto a questi problemi. C’è bisogno di un generale ripensamento della figura del manager, partendo da come si diventa tali e per quale motivo per poi arrivare alle attitudini e le mansioni da considerarsi davvero fondamentali.
I manager per il motivo sbagliato
La meta che molti sognavamo di raggiungere agli inizi del nostro percorso
lavorativo era diventare manager. Giravano con autisti e in macchine di lusso,
viaggiavano tutta la settimana da una parte all’altra del mondo. Ma soprattutto
godevano di una reverenza dovuta al
fatto che si sapeva fossero quelli che
detenevano il potere e prendevano decisioni. Oggi forse il manager ha perso
parte di questo appeal, ma per molti rappresenta ancora la meta ideale, almeno
in termini economici – e tanto basta. Questo è un primo grande problema.
Il sistema di impresa è ancora oggi centrato sulla remunerazione delle responsabilità e non delle competenze, un
sistema che vede nella crescita manageriale l’unica possibile risposta alle
ambizioni di crescita economica, e in taluni casi di prestigio e riconoscimento
sociale. Molte persone scelgono quindi di intraprendere la carriera manageriale per il motivo sbagliato, e vengono spesso
scelte dalle aziende per il motivo sbagliato.
Da parte delle aziende, invece, succede che quella di manager sia la qualifica con la quale si paga e ricompensa un certo tempo di lavoro o certi risultati sul campo, senza domandarsi troppo che cosa accadrà una volta che la persona si ritroverà dall’altra parte. Riprendendo i dati e lo studio Gallup, il 90% delle volte il manager è una persona capacissima in qualcos’altro, ma non nella gestione delle persone.
In che cosa deve essere bravo un manager
Altro sistema avverso è quello per il quale si tende a promuovere persone che sono molto brave nel fare ciò che fanno: il
miglior venditore diventa capo delle vendite, il miglior tecnico il capo dei
tecnici, e così via, all’interno di un sistema che si basa sul principio del
“trasferimento del sapere” da un lato e del “premio” dall’altro. Non è sempre
vero, ma tendenzialmente chi è “il migliore” a fare qualcosa tenderà a
interferire molto nel lavoro dei suoi collaboratori, frenando la loro crescita,
non delegando e lasciando poco spazio agli errori.
Volendo sintetizzare, il risultato è che il nuovo manager e le persone che dovrebbe aiutare a crescere diventano insospettabili concorrenti, e che le competenze non vengono mai davvero distribuite e alimentate proprio perché, presumibilmente, quando crescono le persone viene messo in discussione il posto di “capo”.
Questione di inclinazione
Anche i direttori sono musicisti. E bravi. Non credo però che nessun
professionista degno di questo nome si sia mai astenuto dal cercare in tutti i
modi di elevare le performance di ogni singolo artista della sua orchestra. Anche
solo per questo, il mondo manageriale può
trarre importanti insegnamenti dalla musica.
Ho avuto modo di parlarne di recente con Daniele Agiman, tra i più attivi direttori di orchestra a livello nazionale
e internazionale. Devo a lui la citazione con la quale ho aperto questo
articolo, e un aneddoto, riferito a Herbert von Karajan, con il quale amava
spiegare il segreto della direzione di un’orchestra.
«Come battere il tempo e tutte le questioni tecniche si imparano in fretta e
non sono così importanti. L’unica cosa che mi ha davvero aperto gli occhi è
un’esperienza che feci da giovane ad Aquisgrana, imparando a cavalcare. Dopo
solo poche lezioni, i miei istruttori mi dissero di puntare l’ostacolo e
saltarlo. Alla mia incredulità si misero a ridere e dissero: “No, non devi
saltare tu. Sarà il cavallo a farti saltare l’ostacolo, ma tu dovrai dargli l’inclinazione giusta affinché il
cavallo salti in modo naturale e con eleganza”.»
In realtà la grande difficoltà e il lavoro sta tutto in quella parola, inclinazione. Una parola che, come dice
Daniele, vuol dire tutto e niente, perché non ci sono regole scritte e dipende
sempre dal contesto.
Tutto perfettamente riportabile in azienda e alla figura del manager.
L’inclinazione con la quale si può avere
un impatto sulle persone non è qualcosa che si può leggere nei manuali; è
invece una sensibilità straordinaria,
e quindi non comune a tutti, che deriva dall’insieme di altrettante doti e
attitudini straordinarie. Ognuno ha i suoi talenti, qualcosa in cui riesce a
esprimere davvero tutto il suo potenziale.
Se vogliamo seguire la teoria, si tratta solitamente di equilibrio, capacità di motivazione, assertività, responsabilità, capacità di relazionarsi, capacità decisionale. Nella pratica, però, è davvero difficile capire in cosa consista l’abilità di dare inclinazione. Di sicuro, come abbiamo detto, non è da tutti. Non è necessariamente dei più anziani o dei più bravi sul campo.
Manager o leader
Anche l’inclinazione può però portare problemi. L’altra faccia della
medaglia è pensare si tratti solo di questo – che si tratti solo di leadership.
Sono tempi nuovi, più complessi, più veloci. Assistiamo ad una profonda trasformazione del lavoro e
degli stili di vita, la tecnologia ci permette già di lavorare al di fuori dei
perimetri fisici delle nostre aziende, il confine tra lavoro e vita privata si
è ridotto fino a scomparire.
In questo nuovo contesto il manager è chiamato a sfide completamente nuove: la perdita della prossimità nel caso del
lavoro remoto, passare da un modello di valutazione basato sul risultato e non
sul tempo. Così come alle persone chiediamo da anni cose che vanno oltre la
semplice attività lavorativa: gli chiediamo di essere non solo attivi, ma
proattivi; di sposare i valori e farsi testimonial e ambassador del brand.
Al crescere della complessità deve a mio avviso corrispondere una pari complessità
della figura del manager. Non più solo supervisore attento, non più solo leader. Management e leadership non dovranno
essere più visti come due aspetti separati e spesso contrapposti; dovranno bensì
essere integrati.
Un manager dovrà essere in grado di gestire
la complessità attraverso il potere formale, ma nello stesso tempo dovrà
essere anche un leader in grado di ispirare e guidare il cambiamento, di
allineare le persone e motivarle attraverso la informal dependence.
La leadership e il management non sono un percorso obbligato, ma una vera
vocazione. Non sono una destinazione, ma un viaggio. Sono un insieme di
abilità, atteggiamenti e comportamenti che devono essere praticati, affinati e
controllati. Come buoni direttori, i manager dovrebbero avere un solo obiettivo:
portare la loro orchestra a un altro livello, non abbassarlo. Quel 10% di
successo è un dato troppo basso, che non ci fa onore. E sul quale c’è davvero molto da fare.
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