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Mario Cucinella: “In Italia il 60% delle scuole è inagibile e nessuno fa niente”
Il progettista intervistato da SenzaFiltro: “In Italia l’architettura è un accessorio secondario e da oltre 50 anni è esclusa dai tavoli politici”.
Lo ha ribadito più volte la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: il Green Deal europeo, annunciato dall’Ue prima dell’inizio dell’emergenza sanitaria, deve essere soprattutto un progetto culturale per il vecchio continente. “Lanciamo un nuovo movimento Bauhaus europeo”, è l’invito della von der Leyen; una chiamata alle armi per architetti, artisti, studenti, scienziati, ingegneri, designer.
Creatività al potere, dunque, per un cambiamento sistemico improrogabile che, sempre nelle parole della presidente della Commissione Ue, deve avere “un’impronta estetica distintiva”, che faccia convergere “stile e sostenibilità”. L’Ue rivendica quindi la centralità dell’architettura, ma in Italia la materia è ai margini dell’agenda decisionale. Eppure i temi e le criticità non mancano.
Abbiamo chiesto a Mario Cucinella, uno dei più affermati progettisti italiani a livello internazionale, di guidarci tra le piaghe strutturali del nostro Paese.
Si torna oggi a parlare del ruolo dell’architettura nella pianificazione, nella ridefinizione degli spazi di lavoro e di vita, nello sviluppo urbano post-COVID. Da anni è però trascurata nel nostro Paese, ignorando che si tratti di un bene comune, di un elemento fondamentale dell’identità culturale. Perché è accaduto?
In Italia siamo distratti da problemi totalmente futili. È da oltre 50 anni che si vive l’esclusione dell’architettura dai tavoli politici. Non è mai stata nell’agenda di un governo, eppure l’Italia è uno dei Paesi con le architetture più belle al mondo. Questo dà l’idea dell’indifferenza che c’è. L’Italia non ha nemmeno una formula univoca per organizzare concorsi pubblici, quando invece avremmo imprese straordinarie capaci di lavorare bene e velocemente. In Francia e in Germania si fanno bandi e concorsi, ci sono procedure veloci, ed è così che crescono le generazioni di architetti e di imprese. Se non si alza il livello dell’architettura in un Paese, è destinato a morire. In Italia l’architettura è un accessorio secondario. In Francia c’è una legge che dice “l’architettura è l’espressione della cultura di un Paese”. Lo Stato, quindi, si deve rappresentare attraverso le scuole, gli ospedali, i musei. In Italia il 60% delle scuole è inagibile e nessuno fa niente. Questo è un atto di una gravità enorme. Le dichiarazioni della presidente della Commissione europea von der Leyen sulla necessità di creare un nuovo Bauhaus europeo sono parole di straordinaria importanza, perché è proprio attraverso la creatività e le nuove visioni sull’ambiente che si potrà traghettare l’Europa in una nuova Era Ecologica.
La pandemia può rappresentare un’occasione per ripensare alla qualità del patrimonio edilizio di primaria importanza – scuole, ospedali – e alla rigenerazione urbana. Il Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, di cui è membro del Comitato scientifico, ha lanciato una piattaforma per raccogliere idee e contributi da sottoporre alle istituzioni. Su quali elementi è necessario intervenire con maggiore urgenza?
Purtroppo l’edilizia scolastica versava in condizioni drammatiche già da prima del COVID-19, e pertanto è necessaria un’azione di grande impatto per costruire una nuova generazione di edifici scolastici. Oltre a questo, però, dobbiamo mettere in agenda la trasmissione di nuovi modelli pedagogici che si occupino di educare anche alle pratiche ecologiche. Una scuola progettata con attenzione ai criteri ambientali di benessere migliora l’apprendimento, crea nuove modalità di insegnamento e di relazione tra insegnanti e studenti. La scuola del futuro sarà come un community center, aperta al quartiere e all’intera città. Il modello dovrà certamente superare lo studio prettamente frontale, creando la possibilità di avere spazi ibridi per laboratori e spazi ricreativi. Questo sarà fondamentale per le sfide umanistiche e scientifiche del futuro che l’Europa dovrà presto affrontare. Gli ospedali, come le scuole, sono luoghi di cura (sebbene in forma diversa), e necessitano di nuovi spazi, nuove tecnologie e nuove pratiche. Sotto questi aspetti oggi è in atto una trasformazione: l’ospedale deve infatti diventare un luogo accogliente, dove si viene curati ma nel quale gravitano anche migliaia di persone che hanno bisogno di luoghi di lavoro adeguati, piacevoli e sicuri.
Facciamo un passo indietro. Come abbiamo detto la maggior parte delle scuole in Italia non è agibile e nemmeno antisismica. Come si può affrontare il tema dell’edilizia scolastica?
In generale, l’adeguamento antisismico non è una novità da affrontare. Abbiamo una legge dal 1978. Il terremoto non è una fatalità, sappiamo che può succedere. Non c’è, quindi, da discutere: una scuola che non è antisismica non va aperta. Poi si può dibattere su come intervenire. Sono appena iniziati i lavori di una scuola all’avanguardia a Pacentro (L’Aquila), il cui progetto è nato cinque anni fa con il coinvolgimento della comunità colpita dal sisma del 2009, la partecipazione di studenti e insegnanti, e grazie alla collaborazione di ActionAid. È un progetto di ricostruzione che diventa un’architettura di comunità costruita dal basso, intercettando i bisogni delle persone, ma che vuole anche essere un esempio di scuola innovativa e sicura, basata sulla teoria del learning landscape, con ambienti interni visibili e strutturati per l’apprendimento, flessibili e trasparenti, con aree di apprendimento svincolate dal tradizionale concetto di aula.
A che punto è l’Italia sul fronte del green building, di cui lei è pioniere? La pandemia accelererà un approccio costruttivo consapevole?
La pandemia e i cambiamenti che abbiamo potuto vedere nelle nostre città hanno fatto riflettere su un tema, che però era di fatto già presente. Mi pongo in maniera realista. Costruire non è mai un’azione sostenibile, perché comunque si trasforma materia; ci sono processi industriali importanti e impattanti. Ciò che possiamo fare è costruire meglio, consumando meno e pensando alle performance degli edifici, lavorando su due livelli: uno tecnico, perché il progetto è fatto di prestazioni, e uno estetico. Abbiamo preso coscienza del fatto che si possa costruire meglio; il passo successivo è trovare linguaggi architettonici coerenti. Non abbiamo altra scelta, le risorse ambientali non ci permettono di avere un pensiero diverso da questo: col tempo ritroveremo i linguaggi corretti per i territori e i luoghi in cui il progetto sorge. Come tutte le cose, i cambiamenti sono processi lunghi da maturare, e quello culturale necessita di più tempo e sedimentazione. Le nuove generazioni sono attente e consapevoli, questo mi fa ben sperare verso un mutamento positivo.
Nel 2015 ha fondato la SOS – School of Sustainability. Se la sostenibilità è il futuro, come si formano gli architetti che daranno forma agli spazi di domani?
La scuola è nata da un’esigenza e da un senso di responsabilità sociale. Abbiamo sviluppato molto know-how nel corso della nostra esperienza, ed è giusto che questo sapere sia condiviso con i giovani neolaureati, in modo che siano preparati ad affrontare i cambiamenti in corso. La scuola è divisa in una parte di formazione teorica, molto tecnica, dove gli studenti imparano a comprendere quali siano le grandi sfide sulla sostenibilità e poi di fatto a usare gli strumenti per le analisi ambientali. Sviluppiamo poi progetti molto concreti. Abbiamo di recente inaugurato KABOOM, un’installazione sull’economia circolare in piazza dell’Unità a Bologna, per ragionare sul tema della plastica non come rifiuto, ma come risorsa. Gli studenti sono sempre coinvolti in progetti complessi, reali, e devono essere in grado di parlare con amministrazioni e committenze. È un percorso che insegna loro quanto sia articolato questo mestiere. Fare l’architetto oggi richiede trasversalità e conoscenza, perché le sfide sono sempre più complesse.
In copertina Mario Cuccinella, foto di Amedeo Turello
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