Meridione, non basta un ponte per avvicinarlo al Nord

La ripresa post pandemica aveva illuso su un possibile riavvicinamento tra Sud e Nord, ma la guerra e la crisi energetica hanno riaperto la forbice. L’assenza di investimenti nel Mezzogiorno costituirà un’ulteriore frattura.

Illusioni perdute. Potrebbe essere questo il titolo della diagnosi sul rapporto Nord-Sud che si è sviluppato dopo la pandemia.

Il divario tra Mezzogiorno e Nord è una piaga secolare che ha funestato il nostro Paese dall’Unità d’Italia, passando per il fascismo, fino ai nostri giorni. Decine di governi, prima e dopo la nascita della Repubblica, hanno scritto nei loro programmi ricette per superare quel vuoto spinto che ci fa parlare di due Italie, ma nessuno è riuscito a mettere in campo strategie economiche e politiche per alleggerire il dualismo italiano; nessuno è riuscito a sanare questa piaga, magari valorizzando risorse, cultura e investimenti al Sud, come suggeriva Gaetano Salvemini.

L’inversione di tendenza tra Sud e Nord durante la pandemia

Oggi, ancora una volta, dobbiamo constatare che nulla è cambiato: quel divario è ancora la zavorra che impedisce all’Italia di crescere. Non a caso il sommario del rapporto SVIMEZ 2022 titola in modo eloquente: Dalla partecipazione del Sud al “rimbalzo” del 2021 alla riapertura del differenziale di crescita Nord-Sud nel 2022.

Scrive Luca Bianchi, direttore dello SVIMEZ: “Dopo lo shock della pandemia, l’Italia ha conosciuto una ripartenza pressoché uniforme tra macroaree. Il ‘rimbalzo’ del PIL nel 2021, +6,6% a livello Paese, è stato sostenuto dalla ripresa degli investimenti, soprattutto quelli in costruzioni, e dalla domanda estera. Il Mezzogiorno ha però partecipato alla ripartenza”, come non era accaduto in altre fasi cicliche. 

Poi le cose sono cambiate. In apertura di articolo abbiamo parlato di illusioni perdute perché durante la pandemia c’erano stati segnali ben visibili di una possibile inversione di tendenza, cosa su cui SenzaFiltro si è interrogato in modo serio: La tragedia del COVID-19 muterà le geografie del lavoro in Italia e in Europa? I flussi migratori vedranno un’inversione dei poli tra Nord e Sud? Assisteremo al ritorno degli emigranti italiani nei loro Paesi d’origine, e riusciremo a gestire in modo diverso l’immigrazione?

Parla lo SVIMEZ: al Sud serve un nuovo modello di sviluppo, e il Nord non è più in grado di fare da traino

Qualche debole segnale ci aveva creato l’illusione che non si ripetesse il motto gattopardesco, “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. La regolarizzazione dei lavoratori immigrati che lavorano nelle campagne del Mezzogiorno, i dati di un rapporto ANCI confezionato dal Cerved che definivano la decrescita dell’economia del Sud dovuta alla pandemia come minore rispetto a quella del Nord Italia – per la prima volta da decenni, la crescita della domanda di lavoro al Sud di quegli emigrati tornati a casa per il COVID-19, ci facevano pensare a un potenziale riequilibrio del divario tra Nord e Sud.

Ma tutto ciò non è avvenuto, e il presidente dello SVIMEZ Adriano Giannola ci spiegò con molto anticipo che quegli scenari assai suggestivi, per realizzarsi, avrebbero avuto bisogno di un cambiamento radicale, o comunque di una trasformazione del modello di sviluppo sul quale si è fondato il nostro Paese negli ultimi cent’anni.

“Abbiamo notato anche noi – ci disse Giannola – che soprattutto durante il lockdown c’era una voglia di tornare al proprio paese, di tornare nella propria famiglia di origine. Non soltanto una fuga dalla pandemia che aveva invaso il Nord, ma una voglia di tornare a casa e poi di rimanerci.”

Ma erano segnali troppo deboli per creare un’inversione di tendenza. L’idea che SVIMEZ coltiva da decenni è che i finanziamenti a pioggia nel Mezzogiorno non servono a nulla, così come non sono servite le cattedrali nel deserto costruite negli anni dall’IRI. Ci sarebbe stato bisogno di un modello di sviluppo che valorizzasse le zone potenzialmente produttive, i porti italiani e tratti di ferrovia, come i collegamenti tra Napoli e Bari, tra il mare Adriatico e il mar Tirreno, ancora scoperti nei punti strategici tra le Regioni.

Già nel corso della pandemia Confindustria adottò una ricetta del tutto opposta: “Confindustria – commentava ancora Giannola – propone un modello che ha già mostrato tutta la sua fragilità. L’idea è di rafforzare Milano e il Nord, sperando che l’industria faccia da traino anche per il Sud”. Un’ipotesi, questa, subito smentita dalle statistiche, che danno una Lombardia crollata al ventesimo posto delle classifiche europee e un Piemonte in decadenza totale. Altro che traino.

Guerra, crisi energetica e zero progettualità: il Meridione torna in recessione (e ci resterà)

Sulla carta il PNRR avrebbe forse potuto colmare il secolare divario Nord-Sud in termini di reddito e di occupazione. Il Governo Draghi aveva predisposto una quota del 40% del piano verso il Mezzogiorno, ma non aveva fatto i conti con Vladimir Putin: le illusioni di un’inversione di tendenza tra Nord e Sud sono sprofondate in modo definitivo il 24 febbraio di quest’anno, quando Vladimir Putin ha dato ordine all’esercito russo di invadere l’Ucraina.

“Lo shock Ucraina – scrive il direttore di SVIMEZ Luca Bianchi nel rapporto del 28 novembre di quest’anno – ha cambiato il segno delle dinamiche in corso (rallentamento della ripresa globale; comparsa di nuove emergenze sociali; nuovi rischi operativi per le imprese) interrompendo la ripartenza relativamente coesa tra Nord e Sud del Paese”. La diagnosi di Bianchi è rivolta soprattutto al nuovo governo presieduto da Giorgia Meloni: “Gli effetti territorialmente asimmetrici dello shock energetico intervenuto in corso d’anno, penalizzando soprattutto le famiglie e le imprese meridionali, dovrebbero riaprire la forbice di crescita del PIL tra Nord e Sud”.

Secondo le stime SVIMEZ, il PIL dovrebbe crescere del +3,8% a scala nazionale nel 2022, con il Mezzogiorno (+2,9%) distanziato di oltre un punto percentuale dal Centro-Nord (+4,0%). Le previsioni SVIMEZ segnalano per il 2023 il rischio di una contrazione del PIL nel Mezzogiorno dello 0,4%, un peggioramento della congiuntura determinata dalla contrazione della spesa delle famiglie in consumi, a fronte della continuazione del ciclo espansivo, sia pure in forte rallentamento, nel Centro-Nord (+0,8%). Insomma, quei timidi tentativi di imprimere una svolta alla questione meridionale sono sfumati sotto i colpi della guerra e dei suoi effetti sulle materie prime.

Le speranze che il Meridione tornasse al centro delle politiche economiche con il nuovo governo sono sfumate dopo che Giorgia Meloni ci ha comunicato i tratti essenziali del suo programma: non c’è traccia di investimenti strategici e sostenibili al Sud in grado di colmare il divario. L’unica proposta – finanziariamente insostenibile – arriva da Matteo Salvini, che ha resuscitato il progetto-fantasma del ponte sullo stretto di Messina.

Temiamo quindi che la questione meridionale resterà ancora a lungo una nobile riflessione di illustri pensatori come Gramsci o Salvemini. Niente di più.

Leggi gli altri articoli a tema Geografie del lavoro.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


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