Non va meglio per gli anni precedenti: secondo l’Eurostat, soltanto nel 2019 l’Italia ha registrato un dato sconfortante, 2,6 morti sul lavoro ogni 100.000 occupati.
Nel 2022 i morti sul lavoro sono stati 1.090, con un calo di 131 decessi rispetto al 2021, i cui dati, tuttavia, erano amplificati dalle morti per COVID-19 contratto sul lavoro. In questo dato c’è ulteriore spazio per l’elaborazione: a quanto riporta l’Osservatorio sulla sicurezza di Vega Engineering, ben 300 di quelle morti sono avvenute in itinere, il 21% in più dell’anno precedente, complice il minor ricorso allo smart working e il sempre più diffuso ritorno in ufficio.
Sempre nel 2022, la Regione con il più alto numero di morti è stata la Lombardia con 124 vittime. A seguire il Veneto (74) la Campania (70) il Lazio (70) e il Piemonte (63). Cattive notizie anche per gli stranieri, per i quali si contano 66,5 morti ogni milione di occupati contro i 31,5 italiani – più del doppio.
Le cause dei cosiddetti infortuni mortali sono molteplici, e variano a seconda del settore d’appartenenza: si va da macchinari malfunzionanti al mancato rispetto delle norme di sicurezza, fino alla poca esperienza. I settori più colpiti, nel nostro Paese, sono l’agricoltura (le stime raccontano che raccoglie il 30% di tutte le morti che avvengono per incidenti sul lavoro), poi l’edilizia con il 15% delle morti e l’autotrasporto con l’11%.
Il tema delle morti sul lavoro, che non senza una buona dose di malafede vengono definite “morti bianche”, occupa da sempre un posto di rilievo nel dibattito pubblico e politico; l’Italia, in questo, presenta un problema che non va sottovalutato. La tutela dei lavoratori, la loro sicurezza, dovrebbero essere il focus centrale sul quale accendere i riflettori per evitare che in futuro accadano ancora queste tragedie, le quali – giova ricordarlo – sono molto più prossime agli omicidi che ai semplici incidenti.