Se non vi è mai capitato in prima persona, fidatevi di psicologi e psichiatri che lo confermano: quando sogniamo oggetti o persone fuori misura rispetto alle dimensioni reali, l’inconscio ci sta dicendo di guardare proprio lì. Quasi sempre è il segnale definitivo, è la spia interiore che avvisa di tutti i segnali finora trascurati: ci […]
Musei online: se gli uccelli migratori del Mar Giallo sono più seguiti degli Uffizi
L’Italia è il Paese con il maggior numero di siti Patrimonio dell’Umanità Unesco al mondo, con ben 55 luoghi di interesse archeologico, naturalistico o culturale. Questo è quanto ci siamo ripetuti per anni, come un vanto, anche se tecnicamente la Cina è a pari numero grazie alle new entry del 2019: le rovine archeologiche della […]
L’Italia è il Paese con il maggior numero di siti Patrimonio dell’Umanità Unesco al mondo, con ben 55 luoghi di interesse archeologico, naturalistico o culturale. Questo è quanto ci siamo ripetuti per anni, come un vanto, anche se tecnicamente la Cina è a pari numero grazie alle new entry del 2019: le rovine archeologiche della città di Liangzhu e il Santuario degli uccelli migratori (!) lungo il litorale del mar Giallo e del Golfo di Bohai. Sarà forse per non perdere questo primato che l’Italia ha gioito della recente inclusione fra i siti Unesco delle colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene?
Dall’altra parte, è innegabile che in Italia la concentrazione di siti Unesco in un territorio così piccolo, se paragonato a quello cinese, sia la più elevata al mondo. In altre parole: a una persona che volesse visitare il maggior numero possibile di musei, siti archeologici e città d’arte, in Italia basterebbe selezionare un’area ristretta di 3-400 km per vederne una quantità più che sufficiente.
Ma il problema è un altro. Molti di questi siti sono sconosciuti ai più, soprattutto a chi viene dall’estero. I turisti stranieri spesso ne conoscono una minima parte, per lo più allineati sull’asse Venezia-Firenze-Roma.
Com’è percepito il patrimonio culturale italiano?
Se noi italiani ci vantiamo del fatto che il patrimonio culturale del nostro Bel Paese non è secondo a nessuno, per i turisti che ogni anno vorrebbero venire a visitarci la percezione è ben diversa. Ce lo ha raccontato per anni Google Italia intervenendo in alcune edizioni della BTO, la fiera dedicata al turismo online che si svolge a Firenze da più di dieci anni. Dalle ricerche effettuate nei loro database a livello mondiale si sono infatti accorti che, a fronte di milioni di ricerche sull’Italia, i turisti decidono poi di prenotare in Francia, Spagna e Grecia (questa perdita venne stimata in 13 milioni di turisti persi ogni anno).
Perché le persone interessate all’Italia poi vanno altrove? Perché spesso quelle destinazioni hanno una maggior copertura online, con siti web tradotti in lingua inglese, oltre che nelle lingue dei vari Paesi target, e ottimizzati per essere più visibili sui motori di ricerca (in Italia la SEO è pressoché sconosciuta); perché quelle destinazioni utilizzano maggiormente i social network, e in generale perché sono più tempestive nella comunicazione, senza attendere l’ultimo momento per lanciare eventi, iniziative e mostre.
Sarà possibile che il programma delle iniziative culturali previste per Natale e Capodanno venga comunicato intorno al 20 dicembre? o che ogni anno non si sappia se i musei più importanti sono aperti il lunedì di Pasquetta?
Sempre Google qualche anno fa finanziò uno studio, pubblicato da Oxford Economics, sull’impatto dei contenuti online sul turismo culturale. Da tale studio emerse che la cultura è una motivazione chiave per i viaggi in Europa, ed è il terzo fattore in ordine di importanza per i viaggi di piacere, dopo sole/mare e natura, escludendo visite ad amici e parenti. Ma lo stesso studio svelava che la percezione di quello che emerge dal web ci colloca dopo la Francia, e spesso dopo Paesi come Spagna, Grecia e Turchia.
Senza nulla togliere a queste Nazioni, che ugualmente vantano un ricco passato con importanti siti archeologici, ci fa un po’ sorridere – o arrabbiare – il fatto che non siamo al primo posto nell’immaginario collettivo in questo ambito. Come dire: se a un americano, un giapponese o un australiano dici “Italia”, quello magari pensa alla pizza, al gelato e al bel clima, ma non ci associa subito ai musei da visitare.
La colpa? È della scarsa vocazione alla tecnologia che da sempre caratterizza le nostre aziende, museali e non. Nel report in questione c’erano interi paragrafi dedicati all’Italia, nei quali si invitavano tutti gli operatori ed enti pubblici, le piccole e le grandi realtà, a raccontare meglio ciò che abbiamo sul web, tramite siti, blog, social network e portali dedicati.
Quasi 5000 musei distribuiti sul territorio
Secondo i dati Istat pubblicati a gennaio 2019, in Italia ci sono 4.889 musei e istituti similari, pubblici e privati, aperti al pubblico. Di questi 4.026 sono musei, gallerie o collezioni, 293 aree e parchi archeologici, e 570 monumenti e complessi monumentali.
Questo patrimonio è distribuito su tutta la penisola. Sono 2.371, uno su tre, i comuni italiani che ospitano almeno una struttura a carattere museale. C’è un museo ogni 100 chilometri quadrati e circa ogni 12.000 abitanti. Se le regioni con più musei sono, nell’ordine, Toscana (528), Emilia-Romagna (482) e Lombardia (409), nel Sud Italia abbiamo la concentrazione di oltre la metà delle aree archeologiche, con più del 30% in Sicilia e Sardegna. Solo a Roma e Firenze si contano quasi 200 tra musei, aree e monumenti! Eppure tutti conoscono e visitano sempre e solo Colosseo, Uffizi, Musei Vaticani.
Il grosso del movimento artistico-culturale si concentra in una ventina di luoghi. Togliendo quelli a ingresso gratuito come il Pantheon, fra i primi 10 musei, siti e monumenti visitati in Italia troviamo il Colosseo con oltre 7 milioni visitatori l’anno (si parla tra i 7,4 e i 7,6), seguito dai Musei Vaticani con circa 6,5 milioni; gli Scavi di Pompei superano i 3 milioni, la Galleria degli Uffizi supera i 2 milioni, Castel Sant’Angelo (stessa cosa del Colosseo: all’interno si visita il museo) supera 1 milione di visitatori, come la Galleria dell’Accademia di Firenze. Dietro ci sono il Museo Egizio di Torino, la Galleria Borghese di Roma, il Museo del Bargello di Firenze, il Museo Archeologico di Napoli. E poi ancora il Museo di Capodimonte a Napoli, il Palazzo Ducale a Venezia, la Venaria Reale, i monumenti e musei di Pisa, Verona, Siena e Agrigento (ringraziamo http://www.italy-travels.it/ per la condivisione dei dati).
Ma tutto questo rappresenta meno dell’1% delle istituzioni censite. Eppure è qui che si concentra più di un terzo (36,3%) del pubblico dei visitatori (dati Istat 2019, I musei, le aree archeologiche e i monumenti in Italia).
Ed eccoci al punto: la top ten dei musei più frequentati di persona non sempre coincide con quelli visitati online, né con quelli con maggiori interazioni sui social. E si arriva al paradosso che il Colosseo non ha un sito web dedicato e la Galleria dell’Accademia di Firenze non è presente su Instagram. Forse le destinazioni e attrazioni più piccole hanno più da guadagnare da una maggiore esposizione online?
Solo un museo su due ha un sito web responsive
Abbiamo detto che in Italia ci sono poco meno di 5000 fra musei e aree di interesse archeologico. Di questi, fino a poco tempo fa, la metà non aveva il sito web, e la metà di quelli che avevano il sito non lo avevano in lingua inglese.
Ora la situazione è un po’ migliorata, ma non di molto. Se è vero che all’uscita di questo articolo l’85% dei musei ha un sito web, in realtà solo il 47% ha un sito relativo alla propria istituzione culturale; negli altri casi si tratta di una presenza all’interno di altri siti web/portali. Lo rivela l’analisi svolta quest’anno dall’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali su un campione rappresentativo di musei italiani, monitorati per il terzo anno consecutivo: il 41% di questi siti è disponibile solo in lingua italiana e il 48% non è compatibile con i dispositivi mobile. Che vuoi che sia, in un contesto in cui il 67% della popolazione mondiale possiede uno smartphone (ma la penetrazione del mobile in USA e Europa ha superato il 100%) e nel quale Google ha dichiarato “mobile first”!
Se non comunichiamo online, come pretendiamo che vengano conosciuti i musei minori? Non meravigliamoci che i turisti poi vogliano andare sempre e solo agli Uffizi o ai Musei Vaticani.
Come complicare la vita del navigatore web
Del resto anche quando il sito c’è – e il brand pure – ce la mettiamo tutta per depistare il povero utente. Fino all’arrivo dell’attuale direttore Eike Schmidt, il sito degli Uffizi era “nascosto” sotto il dominio http://www.polomuseale.firenze.it/. Impossibile da trovare o da comprendere per uno straniero. Non c’era da meravigliarsi se nei primi risultati di Google, alla ricerca “Museo degli Uffizi” o “Uffizi Gallery” comparivano siti terzi di rivenditori di biglietti e non il sito ufficiale; e c’era persino chi si arrabbiava se al primo posto su Google compariva il sito www.uffizi.org, realizzato da un privato amante dell’arte. Ma nessuno dice che era un sito molto ben fatto, ricco di contenuti utili, interessanti, scritti pensando all’utente, ottimizzato per Google (il creatore del sito era un SEO), visibile sui dispositivi mobili e con ottime traduzioni.
Per fortuna degli Uffizi poi è arrivato il direttore Schmidt, che ha dirottato la comunicazione sul dominio uffizi.it e nel 2016 ha finalmente aperto il profilo Twitter e l’account Instagram, che in breve tempo è diventato il museo con più followers in Italia. Stiamo parlando di uno dei musei più importanti in Italia, fra i più visitati, eppure anche in questo caso non dobbiamo mai dare niente per scontato. Bastano due chiacchere con il personale del bookshop per farsi raccontare aneddoti esilaranti:
“Dove si trova il Colosseo/la Torre di Pisa/il mare?”
“Ma il David di Donatello allora non era solo un premio cinematografico?”
“Ma Giotto è il dipendente del mese?”.
E, fra le domande più gettonate: “Scusi, ma dov’è il David di Michelangelo? Perché non è qui?”
Perché i turisti non sanno che il grande gigante bianco si trova alla Galleria dell’Accademia, un museo distante 15/20 minuti a piedi. E infatti nel nuovo logo dell’Accademia, lanciato pochi giorni fa, è stato deciso di inserire la testa del David fra la G e la A, così da farlo capire a tutti in quale museo è conservato!
A proposito di nomi. Il sistema museale fiorentino, MUSE, ha il nome identico a un altro museo trentino molto attivo sul web (il nuovo Museo delle Scienze progettato da Renzo Piano), oltre che di un famoso gruppo musicale. Potete immaginare la confusione nella testa delle persone che cercano informazioni su Internet? E chi è il fortunato che si accalappia il dominio migliore, o che prende per primo il nome dell’account su Instagram? Forse non sanno che sui social non possono esserci due nomi identici. Magari, quando si fa un’azione di re-branding, prima di scegliere un nome sarebbe bene fare un check online su ciò che è libero a livello di domini e account social.
I social network
Veniamo ora all’utilizzo dei social network. Secondo l’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali il 69% dei musei è presente su almeno un canale social (erano il 57% nel 2018), soprattutto su Facebook (dal 54% all’attuale 67%) e Instagram (che sale dal 23% al 26%).
Prima che qualcuno obietti che il Social Media Marketing è un’attività superflua e incapace di generare ROI, ricordiamo che il 45% della popolazione mondiale li utilizza (lo testimonia il Digital Report We Are Social, in collaborazione con HootSuite). Qualcosa come 3,5 miliardi di persone passa fino a due ore al giorno a postare foto e video, baloccarsi, ma anche cercare informazioni per il proprio tempo libero. E se i Millennials sono cresciuti con l’arrivo delle nuove tecnologie, ora stanno diventando maturi anche quelli nati dal 2000 in poi, la cosiddetta Generazione Z, che all’affacciarsi dei loro 20 anni saranno i prossimi consumatori.
Questi ragazzi sono abituati a consultare quotidianamente il proprio feed in cerca di ispirazione per i vestiti, la musica, lo sport e le mete da visitare. In particolare su Instagram, che ha un tasso di engagement dieci volte superiore a qualsiasi altra piattaforma, e per tale ragione merita un’analisi della situazione più puntuale.
Il mondo di Instagram
Instagram è il social network più di tendenza in questo momento: la crescita pare inarrestabile, con oltre un miliardo di utenti registrati. I musei ci sono?
Il museo più seguito in Italia è la Galleria degli Uffizi di Firenze, che ha superato i 300.000 followers. Prima di essere troppo entusiasti pensiamo al Prado, seguito da 500.000 followers. E sono numeri ancora bassissimi rispetto ai 4,3 milioni del MoMA, ai 3 milioni del Louvre e del MET di New York, ai (quasi) 3 della Tate. Anche il Victoria e Albert Museum e il British Museum hanno superato entrambi il milione di followers. E ancora la Galleria dell’Accademia non è presente su Instagram.
In compenso il Palazzo Ducale di Venezia ha aperto l’account, ma non ha postato niente (forse voleva solo mettere una bandierina?), e nonostante ciò 624 persone hanno voluto dargli fiducia, iniziando a seguirlo.
I Musei Vaticani hanno 11.000 followers; il Colosseo 9000. Ribadiamo che sono fra i dieci musei/monumenti più visitati in Italia. Molto meglio il Museo Egizio con 48.000 followers e la Reggia di Caserta con quasi 43.000. Entrambi utilizzano correttamente le stories e i contenuti in evidenza, e hanno mosso anche i primi passi su IG TV (per chi non sapesse cosa sia: è il canale video di Instagram, aperto un anno fa come risposta a YouTube). Bene anche la Galleria Borghese con 58.000 followers. Il Grande Museo del Duomo di Firenze è seguito da più di 35.000 persone, anche grazie a iniziative intelligenti come #emptymuseum.
Si muovono un po’ meglio i musei di arte contemporanea: il Museo del ‘900 di Milano ha superato i 100.000 followers.
Il Maxxi di Roma viaggia sugli 88.000 followers; il Mart di Rovereto, che li presidia praticamente tutti incluso Pinterest e Twitter, è seguito da 28.000 followers, che ribadiamo, sono più dei follower dei Musei Vaticani. Tutti e tre si muovono bene fra stories, contenuti in evidenza e #repost.
Certo, qualcuno potrebbe obiettare che Instagram non è tutto, però è vero che le nuove generazioni passano da qui. E la comunicazione che viene usata su questa piattaforma – stories, video corti e ritmati, dirette live, abuso di hashtag – sta imponendo uno standard linguistico e visivo che si riversa su tutti gli altri settori.
Biglietti online, app, CRM, questi sconosciuti
Concludiamo la nostra carrellata su musei e tecnologia parlando di servizi per il cliente e di strumenti di gestione, che possono migliorare la fruizione del museo, ma anche la relazione con l’utente.
Se è vero che circa il 78% dei musei dichiara di avere un sistema di biglietteria – ma ricordiamo che in molti musei ad accesso gratuito manca, così come il controllo degli accessi – solo il 20% consente l’acquisto online del biglietto. Inoltre, solo l’8% delle istituzioni consente di effettuare l’ingresso senza dover stampare il biglietto su carta. Alla faccia della sensibilità ambientale. I dati sugli incassi da biglietteria ci confermano che la maggior parte degli acquisti è ancora in loco e in media solo il 4% dell’incasso da biglietteria proviene dal sito web proprietario, e l’1% da altri canali online. Le attività culturali sono inoltre acquistate principalmente in loco (73%) e facendo uso di contanti (66%). Solo il 17% delle istituzioni culturali ha dichiarato di avere un’app.
Forse mancano i soldi per gli investimenti, ma ci potrebbero essere modi per ripagare questi costi. Chi di noi ha visitato un bookshop di un museo sa quanto siano graziosi i gadget a tema museale. Se però voleste acquistarli una volta rientrati a casa, scordatevelo! Appena l’8% dei musei italiani ha un e-commerce. Siamo anni luce distanti da realtà come la Tate, che nel 2016-2017 ha dichiarato 2.8 milioni di sterline di profitti grazie a tutto ciò che ruota intorno a negozio, caffetteria, editoria del gruppo. Fra i prodotti di punta questo foulard realizzato da Grayson Perry espressamente per la Tate Modern.
I musei italiani sono poco digitalizzati anche per tutte le attività di back office. Il 32% non dispone di alcun sistema informatizzato di supporto alle attività amministrative. Appena il 36% ha un software di CRM (customer relationship management). Fra quelli che usano la newsletter per comunicare le novità ai propri interlocutori, solo il 14% personalizza i messaggi in base alla tipologia di clienti. Della serie: viene inviata la stessa identica mail, che tu sia un utente alla prima visita o un loyal customer, magari anche nella stessa lingua e con gli stessi contenuti, sia a un italiano con famiglia al seguito sia a una giovane coppia di stranieri che sa poco e niente dell’Italia.
E la digitalizzazione delle opere? Il 68% dei musei dichiara di avere un sistema informatizzato per questa attività, ma il catalogo cartaceo è ancora diffusissimo (il 53% dei musei ha più della metà della collezione schedata così).
Qualche buon esempio di musei online
Chiudiamo con una carrellata di esempi virtuosi ai quali ispirarsi, ovviamente non Made in Italy.
Il Rijksmusem nei Paesi Bassi ha reso disponibili immagini ad alta risoluzione online gratuitamente, e gli utenti sono stati incoraggiati a modificarle, ritagliarle e stamparle. Questa è stata una parte della strategia del museo per mantenere vivo l’interesse del pubblico durante la ristrutturazione delle sale. Dopo i lavori di ristrutturazione, alla riapertura nel 2013, le visite sono aumentate in maniera notevole.
Ben fatta anche l’area Press sul sito, con tante belle foto da scaricare. Mi sono sorpresa di trovare, in un museo olandese, la pagina delle indicazioni utili persino in italiano!
La Tate, che in realtà racchiude quattro gallerie fra cui la Tate Modern e la Tate Britain, ha una grande percentuale di visitatori online, grazie a un sito ricco di contenuti e ben fatto, con una raccolta online ricercabile, un e-commerce ben avviato e una presenza massiccia e incisiva sui social media: oltre al già citato Instagram con quasi 3 milioni di follower, vanta un milione di fan su Facebook e quasi 5 milioni di follower su Twitter.
La città di Linz dieci anni fa è stata Capitale Europea della Cultura. Per l’occasione hanno voluto riposizionare il brand della cittadina austriaca, cercando di attirare famiglie e bambini: più di 7.700 eventi culturali e 5.000 artisti ospitati, che hanno portato a una partecipazione di oltre 3.4 milioni di persone, superando ogni aspettativa. Un mix di eventi di qualità, buona comunicazione e altri fattori, come ben raccontato sul sito web, che ha portato a un aumento del turismo del +9,5%, in assoluta controtendenza rispetto alle altre città austriache (ricordiamo che il 2009 per il turismo mondiale fu un anno faticoso).
E tutti i musei di Linz hanno vissuto un record di visitatori: l’Ars Electronica ha totalizzato 230.000 visitatori, il percorso HÖHENRAUSCH ha attirato più di 270.000 visitatori – un numero che non ha eguali in nessun’altra mostra o iniziativa di arte contemporanea in Austria –, l’Upper Austria Landesmuseen ha registrato 233.000 visitatori nel 2009, pari a un aumento del 150% rispetto all’anno precedente.
La cosa che colpisce di più è l’ottimo sito web creato nel 2005 (ovvero quattro anni prima!), visitato 3.9 milioni di volte; pur con la grafica e il layout un po’ vintage di quel periodo, testimonia gli ottimi risultati ottenuti online e offline.
Chissà se a Matera riusciranno a fare lo stesso?
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