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Non è dottore, non è imprenditore. Bonomi è “solo” un Presidente
Da ieri Carlo Bonomi non è più “dottore” secondo Wikipedia, ma solo “presidente”. Incarico che ricopre brillantemente in numerosi CdA
Da ieri, Carlo Bonomi non è più “dottore” ed è un po’ più “Carletto”, come lo chiamano gli amici. In realtà dottore non lo è mai stato, ma nessuno ha mai ritenuto opportuno verificare, nonostante la carica di presidente di Confindustria da quattro anni che “di diritto” gli varrà per planare automaticamente alla presidenza della LUISS, una delle università più influenti dal punto di vista politico e culturale.
Sui social molti fanno notare che non è necessaria una laurea per ricoprire il ruolo di “industriale”, né tantomeno per quello di presidente di Confindustria. Anzi, “molti sono gli esempi di imprenditori illuminati senza laurea“. Ma una cosa è non avere la laurea ed essere “imprenditori illuminati”, e un’altra è millantare una laurea e non avere nemmeno un’impresa da illuminare.
Fra le tante cose poco chiare di Bonomi nel suo pellegrinaggio confindustriale, sono molti gli omissis e altrettante le cariche presidenziali raccolte nel corso di una carriera le cui informazioni vanno reperite nei cunicoli delle visure camerali visto che la letteratura industriale, i vari “giornali d’impresa” e le principali testate giornalistiche del nostro Paese ben si guardano di fare qualche domanda in più che inficerebbe sui proventi pubblicitari delle grandi aziende (quasi tutte iscritte all’Associazione degli Imprenditori).
Ultimo in lista il Corriere della Sera, che neanche pochi giorni fa pubblicava un virgolettato del “dottor Bonomi” riguardo al vaticinio di una prossima crisi d’autunno.
L'importante è barare
Dunque da ieri, in seguito allo scoop del Fatto Quotidiano, sulla pagina Wilkipedia di Carlo Bonomi, il “dott.” è sostituito da un più modesto “sig.“. Anche se a onor del vero in nessuno degli ambienti frequentati da Bonomi qualcuno lo ha mai appellato “dottore”, visto che in Synopo, alla Fiera di Milano, in Confindustria stessa e – ci è mancato un pelo – anche alla Lega Calcio, il titolo ufficiale è quello di “presidente“, incarico che Bonomi colleziona come gli asciugamani per il mare con i punti del supermercato, come spiego più avanti.
E dunque, nell’ecosistema imprenditoriale, quello in cui i “figli di” erogano lezioni di merito ai loro coetanei dalle pagine di Forbes, o i cui imprenditori calpestano i palchi dei World Business Forum o i divanetti del Forum Ambrosetti cianciando di “sfide” e di “competitività” spellando le mani del pubblico pagante, il buon esempio non è un valore assoluto e il messaggio che viene trasmesso da queste antenne che regolano la vita di fabbriche e Persone è che “l’importante è barare”.
Synopo: un'azienda o una matrioska?
Partiamo dal presupposto che Carlo Bonomi non ha un’impresa, intesa in senso tradizionale, di uno che la mattina si reca in un posto fisico.
La “non più sua” Synopo è una società che commercializza (non produce nulla) forniture biomedicali, con meno di 15 dipendenti (qualcuno dice otto), e Bonomi non ricopre alcun ruolo operativo. Un sistema che qualcuno ha definito di “scatole cinesi” in cui Synopo ha venduto a Sidam, di cui Bonomi è socio con una quota intorno al 4% tramite la Marsupium S.R.L., di cui Bonomi è (manco a dirlo) presidente con il 40% del capitale tramite un’altra società, la Ocean S.R.L. Della Ocean, Bonomi è ancora una volta presidente con un terzo del capitale.
La restante quota di maggioranza di Sidam è stata venduta a settembre 2020 al fondo Mandarin Capital di quell’Alberto Forchielli spesso imitato da Crozza, a cui piace apparire in boxer e giacca nera sui bordi delle piscine o stravaccato su un divano a rilasciare interviste in qualità di “esperto di mercati cinesi”. Esperto che ha patteggiato un’ingente somma in seguito ad accusa di evasione fiscale.
New Horizon, Medtech, BtC Medical Europe e infine Emotec (indovinate chi è il presidente?) sono altre scatole in cui Bonomi travasa perdite ed estrae utili, di cui se volete sapere di più c’è un ottimo lavoro di dettaglio della giornalista Giovanna Faggionato per il quotidiano Domani.
In pratica, il presidente degli industriali decide vita, morte e miracoli delle industrie, influenza la politica del nostro Paese, impone la presenza dell’Associazione ai tavoli di lavoro nell’epoca della più grande crisi aziendale degli ultimi anni (come se non fosse bastata la disattenzione e la scarsa capacità degli ultimi governi), senza avere mai avuto un ruolo operativo.
Confindustria avrebbe potuto dimostrare un po’ di rispetto nei confronti dei “past president” degli ultimi anni, che sebbene inquisiti (Marcegaglia) o bancarottieri (Boccia), potevano quantomeno dimostrare di avercela, un’industria. Almeno per continuità col passato, di cui Confindustria è una fan accanita (del passato, non certo della continuità).
Spedito verso la LUISS
Mi chiedo che cosa ne penserà Oscar Giannino, che per aver millantato un corso di laurea a San Francisco ha perso qualche dozzina di lavori, fra cui una importante e seguitissima trasmissione proprio nella radio della Confindustria, e comunque nulla di istituzionale o di rilevante dal punto di vista politico. Considerando oltretutto che le competenze di Giannino sono indiscutibili e messe a disposizione in qualità di opinionista e nient’altro.
Una curiosa regola ai fini della “buona manutenzione” dei propri presidenti prevede che una volta terminato il mandato in Associazione, questi possano sedere alla presidenza della LUISS, l’Università privata di Confindustria. E anche Bonomi sembra avviato in questa direzione.
Almeno fino a ieri, visto che il decreto legge numero 13 del 24 febbraio scorso, quello per l’attuazione del PNRR, al comma 9 dell’articolo 26 introduce quale requisito per la carica di presidente di un’università il possesso di un titolo di studio non inferiore alla laurea. Confindustria può adottare la filosofia del marchese del Grillo o – per una volta – cercare di dimostrare rispetto: per le regole, per chi non è associato e le regole le deve rispettare giocoforza, e non ultimo per la propria reputazione in generale.
La reputazione sofferente di Confindustria sotto la gestione Bonomi
Non è mai piacevole né elegante tirare le somme col senno di poi. La cronaca ha già detto e scritto molto sulla posizione degli industriali ai tempi della pandemia, la (non) gestione delle zone rosse e certe dichiarazioni a favore delle aperture e del profitto a tutti i costi, proprio nelle aree più devastate (straordinario il vice di Assolombarda, Bonometti, che diede la colpa dei contagi allo spostamento delle vacche).
Il nostro giornale in diverse occasioni aveva anche analizzato la correttezza dei dati dichiarati da Bonomi in alcune presentazioni pubbliche. Nel caso di un incontro tenutosi a Napoli nel 2021, per esempio, avevamo avuto modo di far commentare a un giovane economista – Alessandro Guerriero – i numeri presentati da Bonomi a supporto di tesi del tutto personali sul Reddito di Cittadinanza, e il risultato fu un vero e proprio disastro.
Per non parlare di quella che in gergo si chiama “intelligenza sociale“, ovvero la capacità di contestualizzare ciò che si dice, quando si dice, nel posto in cui si dice. Anche qui Bonomi non ha brillato per grande sensibilità.
Mi riferisco a due occasioni in particolare. Entrambe (per qualche congiunzione astrale o per pura sfiga) riguardano la cerimonia di chiusura dell’Assemblea annuale di Confindustria, quella tenutasi lo scorso anno alla presenza del Papa e quella di quest’anno alla presenza del Presidente della Repubblica, in cui l’Associazione di Categoria è stata gentilmente invitata (l’anno scorso dal Papa) a “far crescere i denari del samaritano anziché quelli di Giuda”, e (quest’anno dal Presidente della Repubblica) “a non praticare un’economia di rapina”.
Incurante della sollecitazione del Capo dello Stato, due giorni fa Bonomi risponde con un panegirico a favore dei Contratti Collettivi Nazionali rimarcando la sua avversione nei confronti del salario minimo, nonostante gli ultimi scandali nei settori della logistica e della sicurezza.
Ma sull’irrilevanza di Confindustria sotto la gestione Bonomi non esprimo un’opinione personale. Per citare due articoli a supporto, di chiese profondamente diverse, se ne parla su Lettera43 e sul blog di Nicola Porro.
Un bel riconoscimento per la reputazione di un’Associazione che dovrebbe rappresentare la crema dell’industria del nostro Paese.
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