La storia in pillole della più recente vicenda milanese è questa. Invece la questione che riguarda i rider, e in senso più ampio i lavoratori della gig economy, richiederebbe un discorso a sé. Tuttavia anche solo concentrandosi sulle vicende legali che negli ultimi anni hanno coinvolto Uber e i suoi dipendenti, dichiarati e non, se ne può tracciare un quadro efficace.
I guai per la società fondata da Travis Kalanick sono cominciati in California nel 2015 con il pronunciamento della Commissione per il Lavoro locale a favore dell’autista Barbara Ann Berwick: è stata la prima volta in cui un’istituzione ha messo nero su bianco che i “gig worker” erano lavoratori dipendenti, non autonomi. Cinque anni dopo, nell’agosto 2020, Uber e Lyft hanno perso un’altra causa dello stesso tipo, sempre in California, cosa che ha condotto le aziende a presentare un referendum con una proposta di legge per “tutelare l’autonomia” dei loro collaboratori, la “Proposition 22”. Dopo un esborso di 200 milioni di dollari in campagna elettorale, le due aziende hanno incassato una vittoria che gli ha dato un po’ di respiro; poi la Proposition 22 è stata dichiarata illegale, per poi essere riabilitata nel 2023 dalla Corte d’Appello californiana.
Ma si tratta di una vittoria isolata, perché Uber e il suo modello imprenditoriale hanno perso pezzi in tutto il resto del mondo, negli anni seguenti. Gli autisti dell’azienda sono stati considerati dipendenti dalle corti di Paesi come Francia (2020), Inghilterra e Olanda (2021), Svizzera e Nuova Zelanda (2022). Negli ultimi tempi lo stesso discorso ha preso piede con i rider, anche in Italia: nel febbraio 2022 i magistrati milanesi hanno disposto l’obbligo di assunzione per 60.000 di loro, con ammende per 733 milioni di euro, per poi ribadire il concetto definendoli dipendenti da assumere con CCNL del terziario in una sentenza di aprile dello stesso anno. La stessa Uber Eats era stata posta sotto amministrazione giudiziaria per le mancate tutele ai suoi rider, nel 2020, provvedimento poi revocato nell’anno successivo. L’azienda mantiene ancora il record di denunce per caporalato nel suo settore.
Il cerchio si chiude con l’accordo raggiunto dai 27 Paesi membri dell’UE nel giugno 2023 riguardo i 28 milioni di lavoratori della gig economy (un terzo dei quali fa il rider), che avrebbe imposto l’obbligo di assunzione a molte società di food delivery attive sul continente. Una decisione che ha generato scoramento in tutte le piattaforme, con la soddisfazione nominale della sola Just Eat.
Altro che “crescita non in linea con le aspettative”, insomma: Uber Eats, come tante sue pari, è partita in quarta per scappare dalle sue responsabilità imprenditoriali. Stavolta, però, senza autisti.
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