In effetti la ricetta del Governo per sostenere l’occupazione giovanile, il recupero dei NEET o il lavoro femminile è ancora una volta farcita di agevolazioni alle imprese. Basti pensare alla riforma fiscale di fine 2023, che prevede la possibilità – nel 2025 – di dedurre da IRPEF e IRES il costo del personale relativo ai neoassunti, maggiorato del 20% o, addirittura, del 30% per lavoratori con particolari condizioni di criticità. In pratica non solo si recupera quanto speso per la risorsa assunta, ma ci si guadagna pure.
Una deduzione che si applica sul valore minore tra il costo sostenuto nel 2024 per i nuovi lavoratori assunti e l’incremento delle spese per il personale intervenuto tra il 2023 e il 2024. Spiegazione piuttosto generica, che necessita, al di là della bontà o meno dell’intervento, di diversi chiarimenti attuativi di natura tecnica. Il punto che qui si vuole approfondire è un altro: ne vale la pena? Magari non nel contesto odierno, dove da tempo si sbandierano record occupazionali, purtroppo contrapposti a una situazione salariale ferma a trent’anni fa e da un tema forte legato alla mancanza di competenze. Senza contare le annose questioni su precarietà e sicurezza.
Tutti argomenti che meritavano un diverso grado di approfondimento e che sono stati sacrificati sull’altare degli incentivi alle organizzazioni. Tant’è.
Nel decreto-legge del 7 maggio scorso (cosiddetto Coesione) compare inoltre un bonus giovani che, come spiega il sito del ministero, riconosce ai datori di lavoro privati l’esonero dal versamento del 100% dei complessivi contributi previdenziali a carico, nel limite massimo di 500 euro su base mensile per ciascun lavoratore under 35 assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato. Sgravio di 24 mesi e periodo di assunzione dal primo settembre 2024, fino al 31 dicembre 2025.
Spazio anche al bonus donne, con un esonero per 24 mesi del 100% dei contributi previdenziali, nel limite massimo di 650 euro su base mensile per ciascuna lavoratrice, sempre dal primo settembre al 31 dicembre 2025.
Infine un bonus ZES, specifico per il Mezzogiorno, sempre per lo stesso periodo e durata, sempre per il 100% e anche in questo caso per un massimo di 650 euro mensili a lavoratore.
Insomma: bonus, bonus, bonus. E per i lavoratori? Un bonus, ovvio: un’elargizione una tantum di cento euro spostata per mancanza di fondi a gennaio 2025. Il fantomatico bonus tredicesima, qualche spiccio di mancia e nulla più. Non un gran modo per rimettere le persone al centro, nel mercato del lavoro.
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