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La prossimità che cura
SenzaFiltro intervista il teorico del design Ezio Manzini, ideatore del concetto di “città di prossimità”: “Socializzare è un’azione fondamentale. Si possono progettare ambienti favorevoli alla nascita di nuove comunità”.
Spinte anche dalla pandemia, le città del mondo puntano a un rinnovamento culturale per aumentare qualità di vita e di cura, rigenerando il tessuto connettivo urbano. Non è una favola, ma servono azioni progettuali definite.
La città delle prossimità di Ezio Manzini
«Immaginiamo una città in cui tutto ciò che serve quotidianamente stia a pochi minuti a piedi da dove si abita. Ma non solo. Una città in cui a questa prossimità funzionale ne corrisponda una relazionale, grazie a cui le persone abbiano più opportunità di incontrarsi, sostenersi a vicenda, avere cura reciproca e dell’ambiente, collaborare per raggiungere assieme degli obiettivi. In definitiva, una città costruita a partire dalla vita dei cittadini e da un’idea di prossimità abitabile in cui essi possano trovare ciò che serve per vivere, e per farlo assieme ad altri».
Non è un’utopia, ma la visione di una “città delle prossimità” delineata da Ezio Manzini, uno dei massimi esperti al mondo di design per la sostenibilità e dei servizi e fondatore di Desis, network internazionale sul design per l’innovazione sociale. La citazione proviene dal suo ultimo lavoro, Abitare la prossimità – Idee per la città dei 15 minuti, edito da Egea. Il tema del libro è: possiamo costruire la città contemporanea a partire da quest’idea di prossimità? Per Ezio Manzini la risposta è sì, grazie alle innovazioni sociali degli ultimi vent’anni che hanno tracciato la strada da seguire. Ma non solo.
«Molte città nel mondo – sottolinea Manzini, che è anche professore emerito del Politecnico di Milano – hanno preso degli impegni e stanno facendo dei passi in questa stessa direzione proponendo delle concrete anticipazioni di ciò che questa città delle prossimità potrebbe essere: una città in cui innovazione sociale, cura, beni comuni, comunità di luogo e piattaforme digitali abilitanti diventano le parole-chiave di una nuova e diffusa progettualità sociale».
Parigi è la città in cui, con lo slogan della città dei 15 minuti, l’idea della prossimità ha avuto più risonanza mediatica, ma ci sono molte altre realtà e metropoli del mondo che si stanno muovendo sulla stessa direttrice: da Milano a Barcellona, da Shanghai a Melbourne, da Ottawa a Houston e Detroit.
Le nostre città sono in grado di curarci?
La pandemia ha reso evidenti le crepe esistenti nei nostri sistemi di cura, che vanno ridisegnati nel senso di un welfare collaborativo, perché non esiste cura senza prossimità. Ezio Manzini prende ad esempio la questione degli anziani in città.
«Immaginiamo un anziano che vive da solo, o in coppia, nel quartiere dove abita da tempo. Con i negozi e il bar che conosce (e che lo conoscono) all’angolo della strada. Con le persone che incontra spesso, che saluta e lo salutano. Con una farmacia e un ambulatorio vicini a casa. Con un centro sociale accogliente. Con una rete di professionisti che lo aiutano in tutti i momenti di difficoltà e che intervengono per fare quello che non può più fare da solo o con i suoi amici e vicini. E, ovviamente, che intervengono nei casi di emergenza.»
Queste scene di vita quotidiana non costituiscono dappertutto la “normalità”: appartengono a un passato prossimo, o ancora in parte al presente, di qualche quartiere, borgo o città di provincia. «Sebbene non sia una realtà diffusa, questa non è neppure un’utopia irrealizzabile. È invece una visione progettuale: qualcosa che non c’è, ma che ci potrebbe essere se si facessero le giuste mosse. Quelle che servono per creare una nuova città della cura».
Un esempio virtuoso è rappresentato dalle politiche sociali per la cura degli anziani adottate a Barcellona. L’idea di Lluís Torrens, responsabile dell’Area Diritti Sociali del Comune, è quella di creare in ogni quartiere una “residenza virtuale distribuita”, cioè una situazione in cui una persona nella propria casa riceve gli stessi servizi che riceverebbe in una residenza per anziani.
«Per muoversi in questa direzione occorre riorganizzare il sistema dei servizi adottando un’architettura distribuita, indicando piccole aree ben definite cui corrisponda un altrettanto definito gruppo di residenti con necessità di assistenza, e di operatori sociali a essi dedicati. Occorre inoltre che questi operatori possano organizzarsi in modo rapido e flessibile, per seguire l’evoluzione giornaliera delle necessità. Infine, occorre che al centro di quella stessa area vi sia una base operativa alla quale gli operatori possano appoggiarsi per le loro attività quotidiane».
Progettare la prossimità in cinque azioni
Per rendere possibile il passaggio dal nostro punto di partenza – le città delle distanze – al punto di arrivo – la città delle prossimità – occorre progettare infrastrutture tecniche e sociali coerenti con l’idea di prossimità abitabile, dove intervengano anche stimolatori e attrattori.
Nel suo libro Ezio Manzini descrive un’attività progettuale che deve includere cinque mosse fondamentali: localizzare (portare servizi e attività vicino ai cittadini); socializzare (favorire la costruzione di comunità utilizzando i servizi localizzati come stimolo e supporto); includere (estendere la rete degli attori coinvolti); diversificare (coinvolgere attori inizialmente non previsti); coordinare (connettere orizzontalmente diverse aree di intervento).
«Queste cinque azioni, che troviamo in tutti i casi di innovazione sociale urbana matura, non vanno considerate come fasi successive di un processo, ma come componenti necessarie, per quanto non necessariamente presenti nello stesso modo e nello stesso ordine in ogni progetto. Pur essendo tutte necessarie, l’azione di socializzare, intesa nel senso di favorire la costruzione di comunità, è quella cruciale; quella che, se manca o è insufficiente, rende vane tutte le altre».
Le comunità, gli incontri, le relazioni e le conversazioni non sono direttamente progettabili, ma possono essere stimolati rendendo più favorevole l’ecosistema in cui si opera. Un caso operativo è quello del quartiere Nolo di Milano. Diverse sono le iniziative progettate dai cittadini del quartiere con il supporto di team di esperti: la riduzione del traffico automobilistico, la creazione di spazi per il gioco dei bambini, la dinamizzazione del mercato rionale, fino alla promozione di attività culturali. Ciascuna di queste iniziative ha catalizzato una micro-comunità dedicata a uno specifico progetto.
Tutto questo sta producendo una nuova e dinamica comunità locale, spiega il designer: «Questo ci conferma che la comunità emerge da una molteplicità di eventi ed è fatta di relazioni umane. E queste, per fortuna, non possono essere progettate. Quello che però si può fare è creare un ambiente adatto e, se necessario, produrre degli stimoli che portino generare incontri e avviare conversazioni da cui possano nascere nuove comunità. Per me il concetto di prossimità sintetizza i caratteri che dovrebbe avere un ambiente favorevole alla creazione di comunità. Ciò che, in concreto, va progettato e realizzato è questa condizione di prossimità».
Come cambia Milano con la pandemia
Per Ezio Manzini la pandemia ha messo in crisi la Milano dei grandi eventi e delle grandi concentrazioni di uffici, cioè quella più visibile e attrattiva per turisti e studenti stranieri.
«Tutto ciò pone certamente dei seri problemi, a cui occorrerà trovare soluzioni. Ma la pandemia ha mostrato anche un’altra realtà: essa ha riportato un po’ di vita nei quartieri dormitorio, ha generato nuove attività nei negozi di quartiere e spinto più persone a frequentare il verde pubblico vicino a casa. C’è stata insomma una spontanea riscoperta del valore della prossimità.»
Non c’è solo la Milano delle grandi fiere e dei grattacieli, quindi. C’è una metropoli che porta avanti progetti di innovazione sociale: al futuro si guarda con un modello di attività distribuite in grado di produrre qualità della vita; un modello condotto da una governance capace di stimolare e sostenere energie sociali diffuse.
«A Milano – conclude Ezio Manzini – ci sono interessanti programmi attivi che convergono in questa direzione: da quelli sulla mobilità ai servizi sociali distribuiti di WeMi; dal sostegno delle attività commerciali e produttive di prossimità al bellissimo progetto “La Scuola dei quartieri”, che aiuta le persone a far nascere progetti e servizi di prossimità. Ora occorre dar loro una maggiore integrazione, a partire dal livello locale. E il concetto di città della prossimità potrebbe essere una guida per l’azione.»
In copertina un anziano passeggia per San Ginesio, borgo marchigiano in provincia di Macerata e colpito dal terremoto. Foto di Giulio Di meo
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