Che cosa resterà di tutto questo smart working? Si va verso una diminuzione degli orari di ufficio: i luoghi di lavoro comune resteranno, ma le aziende sono già pronte a riprogettarli.
Paese mio che stai sulla miniera
Il reportage di SenzaFiltro da Castelnuovo in Avane, paese vincitore del Bando borghi per la Regione Toscana, sfollato per far posto a una miniera e sulla via della rinascita nel segno della produzione di energia pulita. Le testimonianze del sindaco di Cavriglia Leonardo degl’Innocenti o Sanni e della direttrice del museo MINE Paola Bertoncini.
Esistono paesi che vivono solo sulla carta e che non sono più vissuti, paesi a cui viene dato del fantasma. O c’è passata la guerra o c’è passata qualche altra disgrazia o miseria per svuotarli: a Castelnuovo in Avane, la provincia è quella di Arezzo e Castelnuovo dei Sabbioni è il nome con cui da queste parti ci si capisce meglio, c’è passata l’una e l’altra perché sullo stesso mucchio di case – che oggi hanno ancora i tetti sfondati, le transenne di sicurezza belle in vista e le stanze interne con ancora addosso le ferite della storia e del sacrificio di dover lasciare tutto – ci è arrivato prima l’eccidio nazifascista nel luglio del ’44 e poi lo spostamento in blocco della gente del paese per fare spazio alle miniere, cedendo al miracolo del lavoro e al bisogno di strutture più sicure.
La mattina del 4 luglio 1944 i soldati tedeschi rastrellarono 74 ostaggi, compreso il parroco don Ferrante Bagiardi che si era offerto per barattare la liberazione dei compaesani, ma nulla fece cambiare idea al destino e al comandante e tutti i prigionieri furono portati davanti alla chiesa e fucilati. L’unica mossa che fu concessa al prete fu di dare un ultimo conforto ai cittadini: salendo a Castelnuovo c’è sul muro una targa a firma di Aldo Dini, ancora oggi l’unico sopravvissuto all’eccidio, suo padre fu fucilato in piazza: “Mi salvai perché andando verso il muro dalla parte sinistra vidi il portone del palazzo attiguo semi aperto”. Dopo Civitella, Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto, il quarto eccidio nazionale porta il nome di queste zone.
Castelnuovo in Avane e la lignite: una maledizione redditizia
In mezzo all’antico nucleo di case, che poggia ancora in cima alla roccia, oggi c’è solo il MINE – Museo delle Miniere e del Territorio, che sta attaccato alla chiesa di San Martino e testimonia che si può resistere alla guerra, alle disgrazie e alle miserie, ma soprattutto resistere alla storia.
Qui gli abitanti nel ’63 cominciarono progressivamente ad abbandonare tutto per via delle escavazioni di lignite che avevano compromesso la stabilità del promontorio. Si trasferirono nella vicina località Camonti, una frazione realizzata da zero per fare fronte ai problemi creati dall’attività mineraria. Arrivare oggi alla vecchia Castelnuovo in Avane, su cui il ministero della Cultura ha scelto di far arrivare i venti milioni di euro di finanziamento dalla Linea A del PNRR dedicato al discusso “Bando borghi” per ripopolare zone d’Italia abbandonate o quasi, fa davvero effetto, con le macerie del paese ancora in alto e il lago di San Cipriano sotto – un bacino artificiale nato in seguito alla costruzione dell’omonima diga all’inizio degli anni Cinquanta e sfruttato per raffreddare le torri della vicina centrale di Santa Barbara firmata ENEL, con quelle due torri gemelle che segnano lo sguardo da lontano.
Qui la gente fu spostata in blocco ad altra zona più sicura rispetto al rischio di crollo del paese a cui gli scavi avevano tolto un po’ alla volta la schiena, la pancia e le gambe. Qui le miniere di lignite hanno ridisegnato e trasformato profondamente la mappa geografica del territorio e dei destini di generazioni intere.
Già nel 1500 Girolamo di Ludovico Capponi inviava una supplica al Granduca perché da tempo lì bruciava un fuoco il cui fumo “appuzzava i vini” – miei amici e compaesani della zona mi raccontavano pochi giorni fa che la lignite ha segnato per decenni il sapore e l’odore del vino e dell’olio da queste parti e che i contadini se la vedevano affiorare continuamente dai campi – e, giusto per dare coordinate nel tempo e nello spazio, nel 1872 esce L’uomo e la natura, ossia la superficie terrestre modificata per opera dell’uomo: l’autore è George Perkins Marsh, politico e ambasciatore statunitense, una delle maggiori figure intellettuali degli Stati Uniti nel XIX secolo e considerato il primo ecologista americano. Aveva soggiornato a Vallombrosa, luogo poco distante da Castelnuovo e che è tuttora sia località che riserva naturale. Intanto, sempre a fine Ottocento, a Firenze si costituiva la Società per l’Industria del Ferro e nel 1873 entrava in funzione la ferriera di San Giovanni Valdarno che bruciava lignite: San Giovanni e Castelnuovo sono tuttora a pochi chilometri.
Qui in Valdarno da fine Ottocento l’energia si faceva con la lignite.
Dentro il MINE per recuperare legami col territorio
Qui Alessandro Benvenuti scelse di girarci Ivo il tardivo, il famoso film sul quarantenne appena uscito dal manicomio che torna nella natia Cavriglia, lui così appassionato di rebus, di pittura e di murales da riempirci il fedele taccuino e le mura di strada. Paola Bertoncini, abile direttrice del MINE che da dieci anni ha improntato il museo a traccia umana e che oggi lavora fortemente con le scolaresche sul messaggio legato all’energia e al legame tra uomo e natura, mi racconta che lei non ci andò a fare il casting come comparsa per il film, ma che la vecchia Castelnuovo, per quelle riprese del ‘95, era tornata un po’ a vivere.
“Benvenuti poi è tornato più volte a Castelnuovo, anche lo scorso anno è stato qui da noi a presentare il suo ultimo libro. Qui a Castelnuovo senza il lavoro di Emilio Polverini, che per decenni ha tenuto traccia e archiviato migliaia di foto e materiali, non avremmo avuto niente adesso. Lo spopolamento definitivo è arrivato nell’83 quando se ne è andata l’ultima famiglia, quindi è durato quasi vent’anni e da più di quaranta non ci vive più nessuno. Per ridare parola a questi luoghi ho pensato anche di sfruttare i nuovi linguaggi multimediali e quindi siamo anche sulla piattaforma Loquis, in cui vogliamo tracciare i nostri luoghi ritenuti invisibili ma che invece hanno tanto da dire. Facciamo anche un grande lavoro di comunicazione sui canali social”.
Molte delle storie del paese vecchio sono allestite in queste settimane nella mostra H-ABITARE, a cura del fotografo Luca Masucci. Il ministro Franceschini dovrebbe venirla a vedere coi suoi funzionari del ministero della Cultura per capire da dove bisogna ripartire per dare una seconda possibilità ai paesi che da soli non ce l’hanno fatta a reggere i colpi: storie, foto, QR code con mini interviste di un minuto, fili che partono dalle miniere raccontate da Emilio Polverini, fino ai ricordi di chi ha vissuto la nuova Castelnuovo in cui furono trasferite le generazioni successive, e che si chiama Castelnuovo dei Sabbioni. Storie di lavoro.
Il sindaco di Cavriglia: “Abbiamo un legame con la produzione di energia. Così abbiamo ricomprato il Comune da ENEL”
Riprendo il filo con il sindaco di Cavriglia Leonardo degl’Innocenti o Sanni, secondo mandato e una dimestichezza pulita con la politica fatta in prima linea da quando era ragazzo: sarà la sua amministrazione, infatti, a gestire i venti milioni di euro perché Castelnuovo in Avane è una frazione di sua competenza ed è suo, e dei suoi collaboratori, il progetto che Regione Toscana e ministero della Cultura hanno ritenuto migliore rispetto alle 44 proposte pervenute solo in Toscana alla manifestazione di interesse.
Più ci parlo e più capisco che non avrà i problemi della maggior parte dei sindaci italiani assegnatari che dovranno far fronte a competenze articolate, dimestichezza coi bandi e coi numeri, burocrazie, beghe di vario genere per usare bene entro il 2026 tutti i milioni fino all’ultimo centesimo, rendicontando costantemente, non disperdendo nulla, ridando un futuro nuovo al passato. Siamo nel Comune col più grande impianto fotovoltaico pubblico d’Italia, da sempre un Comune minerario e industriale.
“Dal 1861 a Cavriglia iniziarono le coltivazioni di questa lignite povera, un carbone da quattro milioni di anni, quando un gruppo di imprenditori fiorentini scelse di investire su Cavriglia per estrarla. All’inizio veniva usata soprattutto come fonte di riscaldamento data la facilità con cui si incendiava per autocombustione. Sul nostro territorio abbiamo da sempre questo legame forte con la produzione di energia e io già dal 2010 posi la questione di come produrre energia pulita legata a fonti rinnovabili. Appena uscì il primo Conto Energia progettammo e realizzammo con partner privati i nostri impianti: furono immediate le soddisfazioni non solo dei cittadini per il valore ambientale, ma anche per il ritorno economico se si pensa che quell’impianto rende ogni anno al nostro Comune circa un milione di euro grazie alla royalty sulla produzione di energia elettrica e ai canoni concessori. Da lì poi abbiamo iniziato a efficientare e alimentare con impianti fotovoltaici tutti gli edifici pubblici: municipio, teatro, centro servizi, incubatore di imprese, scuole, pubblica illuminazione. Il salto non era solo di interrogarsi su quale contributo dare per l’energia rinnovabile, ma come conservarla, e quindi facciamo da quattro anni ormai efficientamento energetico.”
“Noi dal 2022 al 2024 inizieremo a investire fino a duecento milioni di euro di progetti su Cavriglia e sui suoi territori, tra cui certamente anche l’area di Castelnuovo in Avane. Solo un dato per dare la misura: la nostra area mineraria, che per due terzi è nostra e per un terzo ricade nella provincia di Firenze, si estende per una superficie più ampia della grandezza media di un comune italiano di 20 km2. ENEL Produzione ha concluso l’estrazione della lignite e ha chiuso il bacino nel 1992, con obbligo di riqualificare l’area e, da parte loro, con l’intento di spenderci meno soldi possibile. Troppi anni invece sono passati senza interventi, e come farglielo fare fu una trattativa lunghissima.”
“Proprio un mese fa è arrivato il via libera di ottemperanza da parte di un osservatorio ministeriale a rinaturalizzare quell’area realizzando laghi, sponde balneabili, torrenti, infrastrutture nell’arco di sei anni: a bilancio Enel ha messo tra gli ottanta e i cento milioni di euro, ma io per precauzione ne considero ottanta. La storia di Castelnuovo in Avane è una storia di legame ferito tra la sua gente, costretta ad andarsene perché le case franavano, il paese scivolò giù dove adesso c’è il lago. Un legame affettivo poi rimasto per sempre sospeso. ENEL con trattative private comprò tutte quelle case, in pratica comprò il paese, ma noi come Comune decidemmo qualche anno fa di ricomprare tutto da ENEL vedendo il suo immobilismo.”
“Questa mossa, riletta oggi anche rispetto al Bando borghi, ci offre un vantaggio enorme sulla disponibilità diretta degli edifici: immagino i problemi che si troveranno a gestire i miei colleghi sindaci nel ricostruire i passaggi di proprietà di immobili secolari rimasti abbandonati e senza interesse da parte degli eredi. Credo che il nostro progetto abbia vinto perché offriva soluzioni già concrete di ripopolamento, progetti non chiusi nel cassetto o solo teorici, ma ricalati in un contesto territoriale che da decenni lavora sulla crescita delle comunità e sulla valorizzazione dell’ambiente. Su Castelnuovo abbiamo previsto la realizzazione di un albergo diffuso, di un secondo museo legato alla memoria oltre al MINE, un social housing, una casa per gli artisti che possono farsi ospitare tutto l’anno e produrre opere d’arte (nel 2022 a Cavriglia organizzeremo il terzo simposio di scultura monumentale), due ristoranti, botteghe artigianali.”
“Il lavoro è al centro del progetto, dentro una nuova filiera di sviluppo”
Ma è sul crinale del lavoro che porto il sindaco: il Comune che ruolo gli ha dato nel progetto?
“Non solo per Castelnuovo, ma per tutte le attività che riguardano i progetti di Cavriglia, la prima cosa che chiediamo ai nostri interlocutori è creare posti di lavoro. Tornando al PNRR, il bando stesso prevedeva che il borgo venisse ripopolato anche attraverso posti di lavoro, insomma era un obiettivo centrale, e noi abbiamo ripensato al ripopolamento col social housing tramite un accordo con Arezzo Casa, ente che gestisce le case popolari, per potergli dare in gestione le case che ristruttureremo. Sarà facile riuscire a ripopolarlo, perché a soli sei chilometri sei già alla stazione ferroviaria di San Giovanni Valdarno, non è isolato.”
“Il borgo al momento non ha servizi ma è vicino ai servizi, il prossimo passo sarà proprio renderlo più autonomo. Proprio oggi ho fatto un incontro con Telecom perché vorrei diventasse una piccola cittadella smart, cioè non solo servita di rete e Wi-Fi, ma anche in grado di accompagnare le startup nei primi due o tre anni di avvio; io intanto ho chiesto a Telecom di propormi un catalogo di servizi” – compresi ologrammi per guidare i turisti, anche se io resto dell’idea che abbiamo più bisogno di guide umane per le strade che non di proiezioni digitali – “e di quotarli, poi decideremo. Da quando è girata la notizia della vittoria del bando, siamo stati invasi da telefonate di chi chiedeva se adesso potesse ricomprarsi casa ma la risposta ovviamente è no perché adesso quelle case sono integrate in un disegno comune di progetto ma certo potranno partecipare al discorso del social housing se avranno i requisiti.”
”Le scadenze del bando comunque sono chiare: entro giugno 2026 ogni Comune dovrà aver finito i lavori e aver insediato le attività. La nostra strada è portarci attività e laboratori artigianali, due ristoranti, una gelateria, insomma lavoro vero e proprio ma dentro una nuova filiera di sviluppo che sintetizzo in ambiente, sport e turismo. Dico sport perché nel territorio sta per nascere una enorme Cittadella dello Sport, al momento non ne esistono in Italia, che ha come obiettivo di portare ogni anno tra le 500.000 e le 600.000 presenze, considerando che coi dati pre-pandemia gli agriturismi e le strutture ricettive della zona avevano circa 130.000 accessi l’anno”.
Il sindaco è convinto di quello che sta per accadere a Cavriglia e a Castelnuovo, mentre ne parla già lo vede. Ma soprattutto è tranquillo. Non sente di aver vinto alla lotteria del “Bando Borghi” e non ha la minima paura di gestire quella che per altri può esser sembrata solo la Dea fortuna. Sente di essere con naturalezza dentro una continuità.
Prima le miniere, l’eccidio, il dolore, il crollo, gli abitanti mossi come un gregge.
Ora è tempo di rimettersi al tavolo con la storia e di rifare i conti.
Leggi gli altri articoli a tema Geografie del lavoro.
Leggi il mensile 111, “Non chiamateli borghi“, e il reportage “Aziende sull’orlo di una crisi di nervi“.
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Foto di copertina: credits MINE – Museo delle Miniere e del Territorio a Cavriglia (AR)
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