Il 2020 ci ha ricordato che cos’è la paura e la sensazione disarmante è che non riusciamo ancora a farne a meno. Soltanto andandola a vedere da vicino si spera di dare un nome, un contesto, un perché, un dopo. SenzaFiltro viaggia stavolta a Nord per indagare dietro le quinte delle sue preoccupazioni dopo lo […]
C’era un volta il Nord Est del mobile
C’era una volta il Nord Est. Una favola economica che aveva per protagonista una miriade di floride piccole e medie imprese, prevalentemente a conduzione famigliare e i cui pochi dipendenti erano comunque “di casa”. Si concentravano tra l’altro nel settore del mobile e operavano a Treviso, Padova e Verona. Producevano da sole un terzo del […]
C’era una volta il Nord Est. Una favola economica che aveva per protagonista una miriade di floride piccole e medie imprese, prevalentemente a conduzione famigliare e i cui pochi dipendenti erano comunque “di casa”. Si concentravano tra l’altro nel settore del mobile e operavano a Treviso, Padova e Verona. Producevano da sole un terzo del Pil del Paese, senza bisogno di dar retta a quanti lanciavano il menagramo della mancata innovazione, dell’assenza di investimenti per la ricerca, di un mondo che sarebbe capitolato sotto i colpi della globalizzazione.
Questo finché a Padova arrivò l’Ikea. Al suo seguito una piccola rivoluzione dei costumi. I mobili improvvisamente si potevano comprare a prezzi irrisori, smontati, per essere composti a casa, secondo il principio del fai da te, che scavalca un concetto chiamato “competenza”. Quella delle mani sapienti degli artigiani, che avevano imparato il mestiere dal papà per tramandarlo ai figli. Attenti nell’intagliare con responsabilità quel legno che sarebbe rimasto per anni nelle case delle altre famiglie, senza mai traballare.
Nel 2008, poi, la crisi piombò nel settore come un macigno. Di quella favola però non è andato tutto perduto, come testimoniano tra memoria del passato ed entusiasmo per il futuro i protagonisti odierni di quel mondo fatto di lavoratori implacabili, il cui unico incentivo era sempre stato la certezza che, dedicando alla bottega anche quindici ore al giorno, avrebbero raggiunto gli obiettivi prefissati. Proprio questa abnegazione è costata l’azienda a quanti non hanno capito che la quantità, anche se di qualità, non bastava più.
Andrea Bissacco: “L’artigianato veneto scimmiotta il suo stesso sistema”
Andrea Bissacco, titolare di un mobilificio di Cartura, in provincia di Padova, ci spiega come lavorano qui gli artigiani del settore, e gli errori commessi nella lotta al lupo cattivo. “Noi abbiamo scelto di concentrarci su due mondi dell’arredare – dice – la casa, a 360°, e il food, la ristorazione. In entrambi i casi facciamo progettazione su misura, ponendo l’attenzione sul prezzo e sul design del prodotto. Sul modo di costruire, sulla tecnica che poi, a seconda della firma, fa il prezzo. Il problema è che il nostro artigianato medio veneto, per reggere ai costi e alla concorrenza dopo l’arrivo di Ikea e del sistema dei colossi, ha modificato il modo di produrre. Ha cominciato a usare truciolato, laminato, lamina melamminica. A scimmiottare il suo stesso sistema, pur di accontentare il cliente tenendo il prezzo basso. Non è stata questa, invece, la mia strategia. Penso che se per un periodo rinunci al cliente, prima o poi quello capirà che il mio prodotto è diverso. È qualità. È italiano. Se abbasso il prezzo, in ogni caso, non potrò mai reggere alla concorrenza dell’economia di scala”.
Potremmo dire che questi giganti della produzione siano stati gli “strozzini” dell’artigianato?
Esattamente. A questo si aggiunge il fatto che i costumi sono cambiati, come i sociologi spiegano. Possiamo fare la Ferrari degli arredi, ma oggi le persone con possibilità economiche tendono a investire su altre cose, come auto, orologi. Cose da mostrare sempre e a tutti. Ecco il perché della nostra scelta di esportare, coprendo grandi aree nel mondo a esclusione dell’Arabia.
La forza di quel Veneto locomotiva del Nord Est era tutta nella piccola-media impresa, quasi sempre a gestione famigliare, con pochi dipendenti che diventavano come figli. Esiste ancora questa realtà?
C’è ancora sicuramente la bottega con sei, otto dipendenti, e c’è ancora questo clima da family–feelings, cioè il luogo di lavoro dove prima viene l’umanità e poi la produzione. Al mattino, come prima cosa, si scherza con il dipendente, come pure prima del saluto della chiusura serale ci si saluta con una battuta. Ricordo anche il grande senso di umiltà anagrafica che ci è stata insegnata. Quando si tratta di prendere decisioni che ricadono su dipendenti più anziani, lo si fa con grande rispetto, e non con toni impositivi. Quello che manca completamente oggi invece è il ricambio generazionale nell’artigianato del legno. Per fare un esempio, da cinque mesi cerco un falegname.
Che cosa potrebbe riportare tra i giovani la passione per questi mestieri?
Sicuramente un’operazione da parte dello Stato, che dovrebbe supportarci. Servono incentivi per le giovani imprese, invece ci troviamo di fronte a una detassazione ridicola e una burocrazia infinita.
Davide Lunardi: “Investire in formazione per uscire dalla crisi”
Davide Lunardi, anch’egli titolare di un mobilificio nel padovano, a Maserà, si è invece concentrato sui mobili da bagno, che esporta in tutta l’EU e nel sudest asiatico, direttamente o per conto terzi. “Le PMI sono ancora una realtà in Italia. Un terzo del distretto è ancora in sofferenza e continua a cercare di risollevarsi dalla fase depressiva. La difficoltà sta nel saper rivalorizzare il mercato mettendosi in discussione, perché non basta più il ‘saper fare’; si è reso necessario sapersi rigenerare fuori dalla crisi per seguire il mercato. Ci sono state aziende che hanno saputo investire nel verso giusto, modernizzarsi, capire gli sbocchi possibili, e altre invece che non hanno saputo leggere la richiesta”.
Quanto ha inciso per lei l’arrivo del colosso svedese?
Non abbiamo assolutamente sentito la concorrenza di Ikea, che certamente ha il merito di aver introdotto l’idea del design minimal, di aver capito che il prodotto pesante non va più. Ma non va neanche più il prodotto spazzatura, sulla cui coda è nata una controtendenza, quella del “chi più spende meno spende”, come ci hanno insegnato i nonni. Oggi il cliente ne è consapevole, ha esperienza e al mobile usa e getta fa ricorso solo per le emergenze.
Il suo antidoto alla crisi?
Non lasciare mai che la propria azienda diventi obsoleta: investire, investire, investire. Questa è la cosa che tanti non hanno capito. Nei momenti di crisi bisogna accendere una lampadina in più anziché una in meno, per protezionismo. Bisogna tener sempre l’orecchio teso ad ascoltare il mercato che cambia, precorrere i tempi per non farsi trovare impreparati al dopo-crisi.
Verona e il declino delle aziende del mobile
C’è poi lo sguardo di Pierluigi Zanini, presidente della Categoria Legno ed Arredo di Confartigianato Verona.
“Oggi nel veronese la presenza di PMI si è molto ridotta”, dice. “C’è, io stesso ho un’azienda che vive da quarant’anni e il mio collaboratore è mio cognato, ma molte sono le imprese che se ne sono andate. Avevano sempre lavorato per prodotti di qualità e in primis sulla formazione continua. Poche aziende sono state lungimiranti purtroppo, pochissime quelle capaci di capire l’importanza di investire sulla professione del commerciale, di quanti cioè si occupano esclusivamente di vendere, con professionalità. Fino a sette-otto anni fa nel settore, nel veronese, andava forte il lavoro per terzi, tutti grandi marchi. Oggi queste aziende sono sparite. Alcune sono rimaste senza mercato perché non si sono evolute. Altre sono state inghiottite dalla crisi. Altre ancora si sono riciclate, entrando a far parte di grandi aziende e specializzandosi in prodotti di nicchia, soprattutto realizzati su misura. Molte sono sparite per mancanza di cultura imprenditoriale, ad esempio nella Bassa Veronese”.
“Un tempo si stava in bottega anche dodici ore al giorno. Dovevamo fare una consegna per la Germania? Bene, dovevamo fare grandi numeri e si facevano. La quantità, i costi e i ricavi dovevano tornare e tornavano. Non si può pensare funzioni ancora così. Io oggi non sono più in produzione, lavoro al commerciale e quindi sono sempre fuori sede, in cerca di nuovi clienti. C’è poi chi cura la comunicazione, altro investimento (e non costo) importante, perché i prodotti vanno spiegati e con coerenza. Le bugie hanno le gambe corte. Appena dieci anni fa, un sito internet non era minimamente contemplato da un artigiano. Oggi ce l’ha, e bada che sia prima di tutto facile da consultare. Il lavoro oggi non può e non deve essere solo sporco e polvere”.
Il successo dei mobilifici trevigiani
Il successo a pieni voti lo ha raggiunto la provincia italiana in testa alle classifiche nazionali per l’export: Treviso. “Qui il settore costituisce una parte importante della ripresa del Paese”, spiega Vendemiano Sartor, presidente Confartigianato Imprese Marca Trevigiana. “Va precisato che il mobile, oltre che alla crisi economica, ha subito anche un’autentica trasformazione strutturale. Qualsiasi prodotto, infatti, cambia perché cambia il mercato, che a sua volta cambia perché la società si è trasformata. Pensiamo al cosiddetto ceto medio: non esiste più. Così il prodotto si è polarizzato verso l’alto o verso il basso, e questo fenomeno è iniziato ben prima della crisi congiunturale, che ha richiesto un’accelerazione nel processo di riorganizzazione”.
“Ed ecco che gli artigiani hanno dovuto fare una scelta. Chi ha deciso di cambiare target, lavorando per uno dei due poli, senza per questo abbassare la qualità; chi è riuscito a fare rete commerciale per l’export, sulla scia dei Comuni veronesi di Cerea e Bovolone; chi ha cambiato mercato producendo per l’estero; chi, come gli artigiani friulani di Sacile e Pordenone, hanno scelto di produrre per Ikea e sono riusciti ad avere un grandissimo successo di numeri ed occupazione”.
Sartor conclude ricordando: “Altri due elementi che hanno inciso profondamente sul nostro territorio: l’uso della tecnologia nella realizzazione dei mobili, che Treviso ha saputo acquisire velocemente, e la traccia culturale sulle nuove generazioni che ha lasciato l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, i cui corsi triennali sono stati tenuti per un periodo a Treviso. Qui i ragazzi si sono formati imparando a introdurre nuovi materiali, come il vetro e le sue trasparenze, e un nuovo gusto estetico i cui effetti benefici sono tuttora preziosi”.
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