Lo smart working può avere enormi influssi positivi sulle province, stabilendo nuovi legami e modelli produttivi: così le aziende possono contribuire allo sviluppo di territori distanti.
Fabriano, saltano anche le cartiere: le Marche non sanno più cos’è l’industria
“Qui le multinazionali chiudono con conti in ordine e dividendi importanti”: la fine della storica cartiera Giano, a Fabriano, è il simbolo del lavoro che abbandona l’entroterra marchigiano. La tenuta del tessuto sociale e industriale è a rischio. Ne parliamo con Rocco Gravina, sindacalista CISL
Sedici acquisizioni completate negli ultimi quattro anni, con il consolidamento internazionale in atto, e conti in ordine, ma il gruppo Fedrigoni ha comunque chiuso la controllata Giano di Fabriano, che produceva carta per fotocopie e stampanti.
La macchina continua F3, che era in funzione ininterrottamente dal lontano 1976, si è fermata per sempre il giorno 11 dicembre per l’ultima risma di carta Fabriano copy due; i dipendenti l’hanno firmata, sarà conservata al museo della carta e filigrana di Fabriano. Dal 1 gennaio è scattata la cassa integrazione per i 173 dipendenti Giano, mentre a 15 interinali non sarà rinnovato il contratto.
Fedrigoni, il gruppo dietro la chiusura della storica cartiera Giano di Fabriano, gode di ottima salute
La presenza del gruppo Fedrigoni nelle Marche si inserisce nel cuore del cratere sisma 2016, con i tre principali stabilimenti a Fabriano e, nel maceratese, a Pioraco e Castelraimondo. La città della famiglia Merloni vanta una lunga tradizione cartaria prima con le cartiere Miliani, poi passate appunto sotto il controllo dei veronesi Fedrigoni; ora il gruppo che porta il nome della famiglia non vede più nessuno dei suoi componenti farne parte, la proprietà è passata nel 2017 al fondo di investimenti americano Bain Capital, a cui si è aggiunto nel 2022 l’inglese BC Partners. Non è la prima volta che succede: anche nel 2015 la Teuco di Recanati, nota per la produzione di vasche idromassaggio e docce, passò sotto il controllo del fondo tedesco Certina, fino a quando non è stato dichiarato fallito dal tribunale di Macerata, nel 2018.
La decisione di cedere la controllata Giano S.r.l. viene rivelata già dai documenti aziendali alla fine del 2023, con l’ipotesi di cessione che si sarebbe dovuta concludere entro il 2024. Gli stessi documenti parlano di performance finanziarie robuste per il gruppo, che ha chiuso il primo semestre del 2024 con indicatori in crescita e la posizione di liquidità attestata a 236,7 milioni di euro. Il gruppo cartario, leader nella produzione di carte speciali per packaging di lusso ed etichette autoadesive, sempre nei primi sei mesi del 2024 ha avuto ricavi per 957,1 milioni di euro, con una crescita del 6,4% rispetto allo stesso periodo del 2023. L’EBITDA rettificato ha raggiunto i 160 milioni di euro, con una crescita dell’8, 2% e un’espansione del margine al 16,7%.
Giano è ormai chiusa, ma nel primo semestre del 2024 sono state perfezionate quattro operazioni, tra cui l’acquisizione di Ariowiggins China e di alcuni asset di Moahawk tramite Fedrigoni special Papers North America; non a caso, l’unità produttiva Luxury Packaging e Creative Solutions ha registrato ricavi per 380 milioni di euro (+9,2%) grazie anche al contributo delle recenti acquisizioni. Il segmento Self Adhesives ha raggiunto i 577,1 milioni di euro di ricavi (+4,7%) con una crescita in America Latina.
Per ridurre gli oneri finanziari di circa 33 milioni di euro annui è stato attuato un rifinanziamento dell’intera struttura del capitale. Questa operazione e gli investimenti in fusioni e acquisizioni hanno portato l’indebitamento finanziario netto a 1.316,2 milioni di euro, mentre la generazione di cassa operativa normalizzata nel semestre è rimasta positiva per 28,2 milioni di euro.
Rocco Gravina, CISL: “Le multinazionali chiudono stabilimenti con i conti in ordine e dividendi importanti”
Questa vicenda riaccende i riflettori sulla gestione delle aziende da parte dei fondi di investimento nel territorio marchigiano, tema che ha visto proprio nell’entroterra maceratese il teatro delle vicende negative della Villeroy & Boch e della già citata Teuco, cedute al fondo tedesco Certina. Epilogo: la chiusura degli stabilimenti.
“L’entroterra della regione sta pagando un conto particolarmente salato,” afferma Rocco Gravina, storico sindacalista CISL e testimone delle crisi industriali degli ultimi vent’anni. “Spopolamento e invecchiamento demografico stanno impoverendo le aree interne. È crollata quella cultura d’impresa che per anni ha avuto come obiettivo non solo il profitto immediato: tutte le chiusure delle multinazionali avvengono con conti in ordine, anzi con dividendi importanti per i propri amministratori, mentre si taglia sul costo del lavoro”.
La situazione è aggravata dalla precarietà del tessuto produttivo locale. “A livello occupazionale siamo drogati, in questo periodo, per la ricostruzione c’è un settore edile molto attivo,” spiega Gravina, che però avverte: “Siamo preoccupati anche per questo settore, le varie modifiche del 110% stanno sollevando delle preoccupazioni. L’edilizia, che tutti sanno essere il traino di una serie di attività collaterali, potrebbe essere falsata dalla ricostruzione post terremoto. I lavori sono partiti a distanza di otto anni e ne avremo per i prossimi dieci, quindici anni, ma anche qui ci sono delle incertezze”.
Il sindacalista porta esempi concreti delle difficoltà del territorio: “La situazione che colpisce è quella dell’azienda Padav di Esanatoglia (MC), dove i lavoratori sono senza stipendio da circa tre mesi e stanno dando le dimissioni per giusta causa. Anche lì una realtà di 30-40 famiglie, con la crisi di Beko, è praticamente chiusa. Per un territorio come il nostro una perdita importante”.
Lavoratori al capolinea: se le Marche non sanno riassumerli
Questa realtà si interseca con le dinamiche occupazionali del territorio marchigiano, dove le previsioni del sistema informativo Excelsior per il quinquennio 2024-2028 delineano un fabbisogno di circa 85.000 unità, di cui solo 7.000 nuove posizioni, mentre 78.000 saranno destinati al ricambio generazionale.
“Alle varie crisi non corrisponde una riqualificazione dei lavoratori perché siano pronti sul mercato del lavoro,” sottolinea Gravina. “Questo è uno scotto che paghiamo in tutte le Marche, quindi tutte le aree interne sono in forte difficoltà”.
La trasformazione industriale si riflette nella composizione della domanda di lavoro regionale: il 37% del fabbisogno riguarderà dirigenti specialisti e tecnici, il 32% sarà destinato a impiegati e professioni commerciali e dei servizi, mentre operai specializzati e conduttori di impianti rappresenteranno solo il 24 % della domanda. Si evidenzia anche un forte skill mismatch: il 34,6% del fabbisogno richiederà una formazione universitaria, mentre il 54,2% necessiterà di una formazione secondaria di secondo grado.
“Non c’è alternativa al modello manifatturiero, al momento,” ribadisce Gravina, “bisogna avere politiche lungimiranti, essere accoglienti, ci vogliono infrastrutture fisiche e tecnologiche. Ci vogliono i tempi, ma bisogna trovare un sistema per dare risposta a questi lavoratori, se no non resta che trovare altro da altre parti. Si ritorna un po’ alla vecchia migrazione degli anni Quaranta, perché solo il paesaggio e la qualità della vita garantiti dai territori interni non bastano”.
La situazione è particolarmente critica per i lavoratori più anziani: “Uno che ha una certa età ha fatto sempre lo stesso lavoro; non ci sono più grandi aziende in grado di assorbire le eccedenze di manodopera. Tutti parlano di ripopolare le aree interne, ma se non si porta lavoro di qualità questa grande missione diventa impossibile. Bisogna che si attuino politiche vere a tutti livelli, investendo risorse importanti per dare opportunità alla manodopera qualificata di avere un ruolo decisivo all’interno delle aziende. Per questo come sindacato abbiamo avanzato una proposta di legge che favorisca la partecipazione dei lavoratori, in modo da risolvere tutti insieme i problemi delle aziende”.
Con 16 acquisizioni completate negli ultimi quattro anni, Fedrigoni si dimostra un gruppo consolidato a livello internazionale, capace di puntare su segmenti di mercato ad alto valore aggiunto e sulla diversificazione produttiva per aree geografiche. Eppure, a Fabriano ha deciso di chiudere. La sfida per le Marche passa proprio da qui: trovare le risorse per preservarsi un tessuto sociale e industriale, in un equilibrio difficile tra capitali internazionali e sviluppo territoriale sostenibile.
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