A fronte di perdite di circa cento milioni di euro l’anno nell’ultimo biennio dello stabilimento sulcitano, per l’inizio del 2023 la multinazionale svizzera aveva previsto di chiudere la linea del piombo, considerata dispendiosa e poco redditizia, e investire su altri materiali. La produzione di piombo e zinco, nei proclami del management, sarebbe stata riconvertita in quella di solfuri di nichel, fondamentali per la realizzazione di batterie a ioni di litio, e dunque molto richiesta sul mercato complice l’impennata prevista nella vendita di auto elettriche.
Da inizio anno, però, è tutto fermo, e 1.200 operai sono stati messi in cassa integrazione a rotazione. A fronte di questi segnali, è lecito porsi qualche domanda sulle reali intenzioni della proprietà e sul suo quadro economico. In altre parole, come se la passa Glencore?
Le finanze della multinazionale sono floride. Basta consultare il loro rapporto annuale per il 2022, nel quale annunciano di aver registrato un margine operativo lordo di 34,1 miliardi di dollari, in crescita di ben 12,8 miliardi rispetto all’anno precedente, e un rendimento per gli azionisti di 7,1 miliardi per il 2023. Nulla, insomma, che giustifichi operazioni di questo tipo.
Il rapporto è colmo di proclami sulla sostenibilità ambientale, sulla sicurezza sul luogo di lavoro e sulle politiche a tutela della diversity. Neanche una sillaba, invece, sulla tutela dell’occupazione. Se è vero che le parole sono importanti, è un brutto segnale.