Si chiamano Progetti Utili alla Collettività (PUC) e prevedono che i percettori di RdC lavorino per i loro comuni. Ma lo fanno solo in pochissimi: scopriamo perché e mettiamo a confronto i casi di un comune del Nord e di uno del Sud.
La povertà non è una colpa. Parola di assistenti sociali
Abbiamo chiesto un giudizio sul RdC a una delle categorie che ha osservato più da vicino il suo funzionamento: gli assistenti sociali, con le testimonianze di Gianmario Gazzi, presidente CNOAS, e Marta Sirianni.
Con le elezioni del 25 settembre il destino del Reddito di Cittadinanza potrebbe cambiare del tutto. L’articolo 34 bis della legge 15 luglio 2022 n. 91, che ha convertito il decreto Aiuti inserendo nel meccanismo le offerte di lavoro dei privati, è stata una delle scintille che ha fatto scoppiare la crisi del Governo Draghi. Ora il RdC è uno dei temi della campagna elettorale sul quale si confrontano partiti e coalizioni.
SenzaFiltro ha chiesto un bilancio sul sussidio a una categoria professionale, quella degli assistenti sociali, messa mediaticamente in ombra dai navigator, ma invece fondamentale dal punto di vista dell’attuazione delle previsioni normative del Reddito (Patti per l’inclusione, PUC).
“Dagli addosso al povero”, la narrazione unilaterale sul Reddito di Cittadinanza
“Il Reddito di Cittadinanza ha inglobato una misura di contrasto alla povertà come il Reddito di inclusione (REI), che a sua volta ha sostituito il Sostegno per l’inclusione attiva (SIA) e l’Assegno di disoccupazione (ASDI), aggiungendo le politiche attive del lavoro. Questo è stato l’errore più grande: combinare queste due aree che sono in continuità tra loro, ma non vanno equiparate e non possono essere trattate con lo stesso strumento”, commenta Gianmario Gazzi, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Assistenti sociali (CNOAS), che critica aspramente la novità apportata al RdC dal decreto Aiuti.
“La norma che stabilisce la perdita del sussidio dopo il secondo rifiuto di un’offerta di lavoro ‘congrua’ da parte di un privato è inapplicabile ed è l’ennesima bandierina per alimentare il consueto ‘dagli addosso al povero’”. L’informazione ha sin dall’inizio privilegiato il racconto dei “furbetti”, ma la realtà è più complessa e sfaccettata di come è stata riportata.
In base al rapporto annuale dell’INPS, i percettori “stabili” di RdC che lavorano sono in prevalenza impiegati, in circa il 60% dei casi, con contratti a termine e a tempo parziale. Persone definite con l’asettico working poor, che con il loro stipendio non riescono a essere economicamente autonome, ma sopravvivono grazie al sussidio.
“La narrazione basata sull’idea ottocentesca del povero colpevole, che non vuole affrancarsi dalla sua situazione, fa male a tutta la società, non solo perché mette i penultimi contro gli ultimi, ma soprattutto perché distoglie l’attenzione da obiettivi non più procrastinabili: il salario minimo e un piano di sviluppo del lavoro che affronti le attuali diseguaglianze e si adoperi per giuste retribuzioni. Se il Reddito di Cittadinanza con le sue cifre – un assegno medio per nucleo è di 580 euro – è concorrenziale con molte offerte di lavoro disponibili sul mercato, che tipo di occupazione si sta offrendo?”, prosegue Gazzi.
La povertà non deriva solo dal lavoro: serve una rete di servizi sul territorio
La povertà è una condizione multifattoriale, non si esprime solo nella mancanza di lavoro. Questo gli assistenti sociali, da sempre impegnati nel contrasto all’indigenza, lo sanno bene.
“Le difficili storie e biografie delle persone di cui ci prendiamo carico ogni giorno ci raccontano come in realtà il tema del lavoro sia secondario rispetto a una condizione di povertà relazionale e/o di esclusione sociale”, puntualizza Gazzi. Prima ancora di un’occupazione, servono reti di solidarietà e protezione. Due terzi dei percettori – rileva sempre l’Inps – è costituito da persone che non hanno mai lavorato, minori, over 65 e circa 200.000 disabili.
Le strutture dei servizi sociali diventano allora fondamentali per accompagnare queste persone fragili rispetto alla costruzione di un progetto che consenta loro di uscire dalla povertà e dalla marginalità, interrompendo nel caso delle famiglie con minori la trasmissione generazionale di questa condizione. L’assistente sociale, spesso parte di un’équipe multidisciplinare, prende in carico il nucleo famigliare percettore del reddito individuando in un colloquio conoscitivo iniziale i bisogni principali, procedendo a valutare insieme le priorità e le modalità con cui intervenire per costruire un progetto personalizzato come prosieguo del beneficio economico.
Le sbavature del Reddito di Cittadinanza vissute sul campo
“Dopo qualche mese dall’inizio dell’erogazione del Reddito di Cittadinanza, sulla piattaforma creata dal Governo compaiono i nominativi dei percettori da convocare”, ci spiega Marta Sirianni, assistente sociale del Comune di Vetto – parte dell’Unione dei Comuni dell’Appennino reggiano – con vent’anni di esperienza alle spalle, di cui gli ultimi due concentrati su questa attività.
“Nei Patti per l’inclusione non inseriamo persone che hanno un grado di disabilità tale da esonerarle dal lavoro, così come chi già ha un’occupazione; in questo caso magari ci occupiamo del coniuge o di altri membri del nucleo beneficiario. In base alle indicazioni forniteci dalla piattaforma, indirizziamo alcune persone al Centro per l’impiego, con cui può capitare di avere un rimpallo. In un contesto delimitato come il nostro, ci possiamo permettere il ‘lusso’ di interfacciarci costantemente con il CPI per avere un confronto, ipotizzare insieme percorsi e valutare indirizzi nuovi, ma non è pensabile farlo, o almeno farlo allo stesso modo, nei grandi centri. Si rischia così l’invio da una parte all’altra delle persone, ‘mio’ o ‘tuo’, facendo trascorrere i mesi senza attivare dei percorsi”.
La sfida quotidiana è costruire progettualità con percettori che presentano molteplici problematiche culturali, fisiche, economiche e sociali. “Se sono stranieri possiamo inserirli in un corso di lingua italiana, a volte siamo riusciti a far prendere loro la patente per renderli più autonomi”. Il Reddito di Cittadinanza ha permesso di portare alla luce situazioni critiche rimaste fino quel momento nell’ombra. “Alcuni dei percettori li avevamo già presi in carico: in questo caso sono stati inseriti nei Patti per l’inclusione garantendo il prosieguo della progettazione in atto. Abbiamo poi iniziato a conoscere e seguire nuclei famigliari in difficoltà economica, con cui ci confrontiamo periodicamente per monitorare le spese, migliorare la loro capacità di gestione economica e verificare l’eventuale inserimento in altri progetti”.
Uno dei pilastri del Reddito di Cittadinanza è rappresentato dai Progetti Utili alla Collettività (PUC), che i beneficiari del Reddito sono tenuti a svolgere nel Comune di residenza da 8 fino a 16 ore settimanali.
“Per noi assistenti sociali gestire i PUC è complicato dal punto di vista organizzativo, perché l’idea è buona sulla carta, ma è stata attuata senza verificare che i Comuni avessero il personale e gli strumenti adeguati per sviluppare questi progetti”. Che hanno comunque dimostrato la loro efficacia, continua Marta Sirianni: “Quando si riescono ad attivare, i PUC funzionano perché mettono i soggetti fragili alla prova, integrandoli nella vita comunitaria”. Inoltre, con i PUC chi lavorava in nero è stato costretto a farsi mettere in regola, presentando il modello RdC-com esteso, oppure a rendersi inadempiente, rinunciando di fatto al beneficio.
Qui casca il Reddito: le critiche al RdC degli assistenti sociali
Dopo gli anni di austerity e i tagli alle politiche sociali seguiti alla crisi del 2011, oggi non mancano le risorse per strutturare i servizi sociali, ma si riscontrano ancora criticità, evidenti anche nella gestione dei percettori del Reddito.
“Probabilmente per noi assistenti sociali sarebbe stato più semplice proseguire con il Reddito di inclusione, misura innovativa per l’Italia costruita dal basso dai soggetti fondatori dell’Alleanza contro la povertà e che partiva da un numero di percettori più basso”, rimarca il presidente del CNOAS Gazzi, “ma abbiamo accettato la sfida con impegno. All’inizio uno dei problemi è stato potenziare in maniera adeguata a livello nazionale il sistema informativo dei servizi sociali. Poi c’è il nodo della continuità degli interventi: la precarietà accumulata in tanti anni ha generato un elevato turnover di assistenti negli enti locali e nei servizi del territorio. Il ricambio frequente non aiuta però la costruzione della fiducia da parte dell’utente e il buon esito dei progetti”.
Per Marta Sirianni la più grave vulnerabilità del Reddito di Cittadinanza resta l’erogazione del beneficio economico a monte, prima della verifica di tutti i requisiti; verifica che spesso si conclude mesi dopo l’inizio del sussidio. Per evitare che chi non ne aveva diritto ricevesse il contributo, sarebbe stato opportuno effettuare in anticipo i controlli per poi procedere all’erogazione del contributo.
“Il carico di lavoro che le anagrafi comunali si sono trovate ad affrontare è stato importante, a volte gestito con difficoltà”, ricorda l’assistente sociale. Inoltre, “CAF e patronati non hanno sempre fornito tutte le informazioni corrette riguardo al RdC, soprattutto alla cittadinanza non italiana. Ad esempio, una donna straniera realmente bisognosa ha perso il sussidio perché era scappata in Francia dal marito violento da cui si era separata, perdendo così la continuità richiesta degli ultimi due anni di residenza in Italia. Lei purtroppo non conosceva la norma, che non le era stata spiegata a dovere”.
Come cambiare il RdC: più welfare, più pragmatismo
Il CNOAS condivide la proposta della Commissione Saraceno (il Comitato scientifico sul Reddito di Cittadinanza nominato dal ministro uscente Orlando) di modificare l’accesso al sussidio, rendendolo più inclusivo e meno penalizzante verso le famiglie numerose con più figli a carico e gli stranieri, che devono aver risieduto in Italia per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in via continuativa.
“Servirebbe una riforma del Reddito di Cittadinanza che affronti il tema nel suo insieme e senza preconcetti, con onestà intellettuale. Soprattutto bisognerebbe investire sul sistema di welfare locale e nazionale per creare occupazione, in particolar modo femminile, aiutando le persone a uscire dalla condizione di povertà attraverso il lavoro anziché il sussidio. Ma è più facile distribuire soldi che organizzare servizi.”
Rispetto a SIA, REI e RES (Reddito di solidarietà erogato dalla Regione Emilia-Romagna), il Reddito di Cittadinanza secondo Marta Serianni ha innanzitutto il merito di definire una progettualità con la persona fragile, valutando le sue potenzialità, e attraverso il sussidio economico incentivare il beneficiario a proseguire un percorso di inserimento per lui fondamentale. Per l’assistente sociale emiliana il RdC è, quindi, una macchina che non va smantellata, ma oliata e potenziata nel segno del pragmatismo: “Vanno supportati i servizi a livello organizzativo e forniti maggiori strumenti alle persone fragili che non riescono da sole a cercarsi un lavoro”.
Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.
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Foto di copertina: il murales di Edoardo Buccianti dedicato alla povertà in un sottopasso di Prato
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