Chi dice scienza dice donna

Il libro a cura di Mirella Orsi e Sergio Ferraris, “Prime, dieci scienziate per l’ambiente”, racconta le storie di donne di scienza che sono riuscite ad affermarsi in periodi oppressivi. E a cambiare il mondo

12.11.2023
La copertina di Prime, dieci scienziate per l'ambiente

Mentre leggevo la prefazione di Prime, dieci scienziate per l’ambiente (Codice Edizioni, 219 pagine) immaginavo solo donne del Novecento. Le vedevo negli anni Venti, influenzate dalla Belle Époque, ispirate dall’arte che in quegli anni si respirava in ogni angolo. Poi le ho pensate nel dopoguerra a risollevare le sorti di Paesi devastati. Poi le ho immaginate oggi, tra telescopi e microscopi, a cercare un altro mondo in cui farci vivere.

Pensieri sbagliatissimi, e già a pagina 17 mi rendo conto del mio errore.

Del resto siamo stati abituati a pensare che prima del Novecento nessuna donna (tranne forse qualche altisonante regina) potesse entrare a pieno titolo tra le protagoniste della storia. E faccio questa considerazione da donna, da giornalista e da mamma di una figlia femmina.

La stoccata iniziale che ricevo dal libro è proprio questa: la prima delle dieci scienziate è Maria Sibylla Merian, che ha iniziato a dedicare ogni minuto della sua esistenza all’osservazione e alla rappresentazione degli insetti a 13 anni. Era il 1660. Il 1660: potrei scriverlo dieci volte perché questa data mi ha lasciato stupita e impreparata. Maria era privilegiata, perché originaria di una famiglia benestante, ma a quei tempi imparare a ricamare e a leggere la Bibbia anche per le donne benestanti era già un lusso. E il suo straordinario lavoro è avvenuto lontano dagli ambienti accademici, perché le porte dell’università per lei erano sbarrate.

Maria è la prima della lista, e nelle loro note i curatori, oltre a spiegare i fini del libro (il racconto della vita di dieci scienziate ha un grande valore sociale, specie tra le nuove generazioni), ci autorizzano a saltare da un capitolo all’altro, tanto il senso del libro, essendo fatto di storie diverse, non si perde.

Io invece ho deciso di leggere i capitoli in sequenza. Tradizionalista? Può essere. Ma mi piaceva l’idea di partire dal 1600 per arrivare ai giorni nostri, e così facendo sono riuscita a cogliere le difficoltà e le incertezze che le diverse epoche hanno riservato a queste donne.

Scienziate, nonostante tutto: storie di pioniere da un passato più o meno remoto

Non tutte le storie coinvolgono allo stesso modo. Ho tremato insieme a Jeanne Baret, che nel 1767, per amore della botanica, ha trascorso mesi su una nave travestita da uomo, con la paura che la potessero scoprire, stuprare, ammazzare.

Mi sono arrabbiata quando hanno definito la grande Rachel Carson (pioniera della battaglia contro il DDT e autrice di Primavera silenziosa) una “zitella senza figli” con una probabile simpatia per l’ideologia comunista. Da rivoluzionaria a zitella: il passo è stato brevissimo, e questo è davvero fastidioso.

E ho letto con gran soddisfazione il capitolo dedicato a Sylvia Earle, non solo perché ha ricevuto moltissimi premi, non solo perché è stata definita una leggenda vivente, ma soprattutto perché è riuscita a scuotere le coscienze di tutto il mondo con la sua campagna per liberare gli oceani da ogni forma di inquinamento e sfruttamento.

Qualcuno potrebbe notare che ho nominato solo scienziate straniere, ma potete stare tranquilli, l’italiana c’è e la sua storia vale il libro.

Perché leggere Prime, dieci scienziate per l’ambiente

Non posso citare tutti i capitoli e tutte le scienziate, ma posso dire che ogni storia suscita reazioni diverse; molto dipende dal carattere e forse dal sesso del lettore, e posso scommettere che non solo le lettrici, ma anche i lettori avvertiranno all’inizio un senso di pesante frustrazione. E al di là delle discriminazioni subite da alcune protagoniste, la cui storia è raccontata da dieci penne diverse sia maschili che femminili con altrettanti stili, il senso di rivalsa che sale pagina per pagina è molto più forte della frustrazione. Il merito degli autori e delle autrici è anche quello di inquadrare queste donne fin dall’infanzia, spiegandone le condizioni famigliari, delineando l’ambiente in cui sono cresciute e con cui spesso si sono scontrate per arrivare nei luoghi della scienza, anche fossero nei più remoti angoli della Terra.

Loro ce l’hanno fatta, insieme a molte altre scienziate che non vengono raccontate. E se ce l’hanno fatta anche in secoli lontani, con poche possibilità, alcune addirittura senza laurea, il messaggio diventa chiaro: tutti possono farcela. Tutti; non “solo” tutte.

Il messaggio che mi lascia questo libro? Non un messaggio di speranza, ma un messaggio di possibilità. Raggiungere gli obbiettivi è possibile perché il lavoro meticoloso alla fine scavalca le discriminazioni di qualsiasi genere, la volontà e lo sguardo rivolto al futuro fanno superare molti confini e andare lontano, molto lontano. E poi ancora, lo studio e l’osservazione di quello che abbiamo intorno (animali compresi) permette di anticipare il futuro e in qualche modo di contribuire a modificarlo, anche se si è in minoranza, anche se la corrente sta andando altrove.

Queste sono le possibilità che ho visto negli occhi di queste dieci scienziate caparbie, meticolose e coraggiose. E spero che, leggendo il libro, le vediate anche voi.

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