Quando la scuola viaggiava in terza classe

Il lavoro dell’insegnante in tutta la sua complessità, calato tra le mura di una classe di terza media, con la pandemia sullo sfondo. Recensiamo “Tutto un rimbalzare di neuroni” di Vanessa Ambrosecchio.

Tutto un rimbalzare di neuroni (uscito a giugno per Einaudi Editore) è un romanzo ricco, sfaccettato e multiforme sul mestiere dell’insegnamento. Vanessa Ambrosecchio scrive un libro di assoluto interesse, pervaso di un’umanità autentica che trabocca da ogni pagina e riflette una realtà molto complicata.

Tutto un rimbalzare di neuroni: cronaca di una classe tra scuola e pandemia

La voce narrante è quella di una professoressa di italiano in una scuola media di un quartiere popolare di Palermo. I protagonisti sono i ragazzi di una classe non facile, la 3H. Li incontriamo all’ultimo anno, momento in cui si lavora di più per raccogliere i frutti dell’intero ciclo della scuola dell’obbligo.

Ai problemi posti da un contesto sociale disagiato si aggiunge, abbattendosi come un cataclisma imprevedibile, la pandemia. Quando la situazione diventa evidente agli occhi di tutti nella sua piena drammaticità, la dimensione scolastica si diluisce in una forma inedita e obbligata: la DaD (Didattica a Distanza). Ne scaturisce una funesta reazione a catena che ha nel disgregamento – non solo formativo, ma soprattutto dei legami umani ed emotivi – il proprio inesorabile grimaldello.

Il racconto inizia da qui, ma la forza del testo risiede nel contrasto narrativo che, capitolo dopo capitolo, Ambrosecchio disegna fra il presente vissuto in DaD e i giorni della scuola nella sua passata normalità. Non c’è spazio, però, per un arrendevole stacco fra ricordo e contingente: la narrazione vive di un flusso omogeneo, compatto, riuscito perché scritto restituendo ogni aspetto in modo sincero.

Insegnanti, non mestieranti: un racconto che dirada i luoghi comuni

Tutto un rimbalzare di neuroni ha il pregio di rendere giustizia al lavoro dell’insegnante, troppo spesso vittima di luoghi comuni al ribasso, e di farlo senza vittimismi o lamenti: è sufficiente l’impatto del resoconto di ciò che significa fare questo mestiere.

Nel disastrato insieme della scuola italiana, infatti, essere professore o professoressa significa avere compiti pratici ed empirici che esulano dalla didattica. Questo, ovviamente, ancor di più in situazioni sociali in cui, a causa dell’impellenza del sostentamento economico,  il bene del sapere è spogliato del suo valore per la costruzione di un futuro migliore.

Il romanzo mette significativamente in evidenza quanto, in questo mestiere, la sostanza umana di chi lo esercita sia ciò che fa la differenza: uno scarto decisivo, fatto di sacrificio, sensibilità, disponibilità e lucidità che può davvero lasciare il segno nella vita dei ragazzi.

La professoressa che ci conduce nella vicenda ha il dono di interrogarsi, mettersi in discussione (a volte anche nei giudizi): soppesa problemi e punti di forza degli alunni guardando alla totalità delle loro vite. Il percorso intessuto con la sua 3H tocca profondamente: lo sguardo della prof è rivolto alla singola, peculiare e preziosa individualità di ognuno. A muoverla la volontà ferrea di capire i limiti di ogni ragazzo per provare a superarli insieme, così come la ricerca dei loro talenti. A questo scopo adatta lo strumento della didattica rendendolo malleabile, amico, meno pesante e, nei limiti del possibile, intrigante.

Così, insegnare italiano diventa anche un modo per formare la coscienza civile dei suoi allievi: legge loro la storia delle vite di Falcone e Borsellino, poi cala l’argomento nel difficile contesto della quotidianità del loro quartiere, conducendoli a porsi domande decisive, a concepire sguardi dotati di diverse prospettive.

Quant’è distante la didattica della pandemia

Poi la mannaia della DaD, che cala proprio nei mesi decisivi.

Anche qui, l’autrice racconta con efficacia e precisione che cos’è stato dover ricorrere a freddi strumenti informatici che hanno distorto il calore di uno spazio condiviso, trasformando rapporti in contatti. La debolezza di un filo che ha perso l’aspetto concreto di un legame da rianimare ogni giorno con fatica. I limiti economici delle famiglie, con connessioni assenti, dispositivi mancanti o condivisi, che si fanno barriere ancor più compatte su cui rimbalzano i tentativi di abbatterle della scuola (o di quel che ne rimane). L’invadenza della webcam, indiscreto e impietoso sguardo nell’intimità propria e altrui: qualcosa da rifuggire appena possibile, per i ragazzi.

La DaD entra a gamba tesa anche nella routine della professoressa, che sperimenta e racconta tutti i limiti dello smart working: cadono i confini fisici, il tempo si deforma, privo di soglie concrete e prefissate, estendendosi all’infinito. Cadono anche i confini specifici della Didattica a Distanza, del tutto sperimentale e straniante: l’aula ridotta ad una piattaforma, i ragazzi trasfigurati in icone pulsanti su uno schermo, con la connessione che di rado regge il segnale video di più utenti.

Ed ecco che, di nuovo, il tratto umano di chi insegna si fa determinante: il non rassegnarsi a tirare a campare e alle sempre più numerose assenze, ma superare anche il proprio sconforto attingendo ai riti gradualmente costruiti e poi condivisi nel tempo in cui si era in classe. La frattura fra prima e dopo è reale e dolorosissima, ma ciò che si creato insieme ha un potere salvifico.

Perché leggere Tutto un rimbalzare di neuroni

È un libro luminoso che, seppur non limando alcuno spigolo, abbraccia il lettore, lo conforta, gli mostra un campionario di varia umanità da cui non ci si vorrebbe più staccare.

Gli alunni sono più persone che personaggi: veri, pulsanti nei loro slanci e cadute, sinceri, commoventi senza essere melensi. La classe è uno spaccato di realtà: diversi nelle origini, nello stato psico-fisico, nelle potenzialità. Una convivenza complicata che, nel tempo, diventa forza di tutti e ognuno grazie al rispetto e alla valorizzazione proprio di quelle differenze di base.

Alla fine, solo chi è professore sa davvero cosa significhi insegnare. Ecco: Tutto un rimbalzare di neuroni infrange quel limite, raccontando bene quotidianità, sfide, condizioni, limiti, gioie e sconfitte del mestiere. Il tutto sottolineando, nei fatti, quanta differenza passi tra fare l’insegnante ed esserlo davvero.

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