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Serenissima China
Sette secoli dopo l’avventura di Marco Polo, la via della seta percorsa al contrario. È il Veneto che si scopre d’improvviso made in China. Investimenti cinesi nel Banco delle Tre Venezie Una notizia locale (senza la minima eco) si rivela sintomatica. Banco delle Tre Venezie – costituita il 24 luglio 2006 a Padova di […]
Sette secoli dopo l’avventura di Marco Polo, la via della seta percorsa al contrario. È il Veneto che si scopre d’improvviso made in China.
Investimenti cinesi nel Banco delle Tre Venezie
Una notizia locale (senza la minima eco) si rivela sintomatica. Banco delle Tre Venezie – costituita il 24 luglio 2006 a Padova di fronte al notaio Lorenzo Todeschini – sta per accogliere nel suo capitale sociale 22 milioni di euro di Pga Investment, che fa capo a Project Group Asia. Un’operazione del gruppo finanziario con base a Hong Kong che necessita del via libera da parte di Bankitalia.
Alla notizia fa riscontro un dettaglio nel database in rete grazie a The International Consortium of Investigative Journalists. La società-madre Project Group Asia risulta registrata il 20 gennaio 1993 nelle Isole Vergini, territorio d’oltremare del Regno Unito e centro offshore a livello internazionale. Per di più, si ottiene la conferma che PGA dal “territorio autonomo” della Repubblica popolare cinese ed ex colonia britannica aveva scelto lo studio legale di Mossack Fonseca, che ha dovuto chiudere dopo lo scandalo esploso con la pubblicazione dei Panama Papers nell’estate 2015.
BTV si traduce nella “banca delle imprese”, in base a relazioni consolidate da decenni. Tant’è che il controllo era affidato al patto di sindacato fra Banco Espirito Santo di Lisbona, Cassa risparmio di Cento e otto industriali veneti capeggiati da Carlo Sabattini. Nel capitale sociale di BTV si ritrovano 106 imprenditori, studi professionali e perfino la società anonima ASAL costituita in Lussemburgo. Nomi noti del calibro di Francesco Canella (supermercati Alì), Silvano Carraro (gruppo Morellato), Antonio Tommasini (centro Tom), Giancarlo Zacchello (ex presidente Unidustria e Porto Venezia). Ma anche lo studio legale Belloni, i consulenti di DeltaErre e società immobiliari.
Nel 2016 BTV ottiene il premio di migliore banca del Veneto da Milano Finanza, ma nel maggio 2017 la Consob sanziona l’intero CdA “per mancata trasparenza nei confronti della clientela” con complessivi 173.000 euro di multe. Tuttavia l’istituto di credito privato (che ha sede a Padova in via Belzoni, 65) si espande con filiali a Verona, Vicenza, Treviso e Mestre. E in parallelo si fa notare come riferimento elettorale per la contabilità di candidati Pd ora traslocati a LeU, come l’europarlamentare Flavio Zanonato e il consigliere regionale Piero Ruzzante. D’altro canto, BTV brilla nel sostegno ad altri esponenti della sussidiarietà nazionale: l’università del rettore Giuseppe Zaccaria e l’interporto presieduto da Sergio Giordani, ora sindaco di Padova.
La via della seta all’inverso
BTV è in buona compagnia, perché le recenti acquisizioni cinesi in Veneto sono state una quarantina. L’anno scorso Shenzen Grandland ha sborsato 467 milioni per avere in portafoglio Permasteelisa di Vittorio Veneto (Treviso), azienda fondata nel 1973 da Massimo Colomban e ora leader mondiale nelle facciate architettoniche in vetro e acciaio. Il gruppo Wanbao aveva invece acquisito Acc di Belluno, maggior produttore italiano di compressori ermetici per refrigerazione domestica: a fine settembre però sono partite novanta lettere di licenziamento. E ancora: la Clivet di Feltre (pompe di calore per gli impianti di climatizzazione) all’80% è nelle mani dei cinesi di Medea; Qrgb in Valpolicella lavora il marmo per i cinesi di Rykadan Capital; la vicentina Prima Srl è al 51% di Jilin Alight, fornitore di componenti per auto; Goobaby International è la holding che da due anni gestisce Columbus Trading (prodotti per bambini); Gimatrade Vicenza (ferramenta industriale) è al 100% di Agic Capital.
“Niente è più visibile di ciò che è nascosto”, ammonisce Confucio. E il mitologico Nord Est continua a concentrarsi sulle contraffazioni all’ingrosso, sul vorticoso giro dei bar venduti sull’unghia, sui centri estetici che fanno concorrenza a escort e prostitute di strada. Stereotipi di cronaca provinciale, che tuttavia contribuiscono a oscurare il fenomeno dei “compagni di Pechino”, i quali letteralmente lavorano nel cuore dell’ex-locomotiva nell’epoca della stagnazione.
Anagraficamente, il 1° gennaio scorso in Veneto erano registrati 34.633 cinesi, cioè il 7,1% degli stranieri residenti (a livello nazionale la percentuale è 5,7%). Una specie di Milione inverso che andrebbe finalmente descritto in modo compiuto. Non soltanto perché sono le province di Treviso e Padova le più “popolari” per chi viene dalla Repubblica fondata da Mao, ma anche perché clamorosamente è il Polesine (con il 15% di cinesi sul totale di stranieri) a dimostrarsi l’area più densamente abitata fra le campagne e il Delta del Po.
Nessuno finora ha analizzato sul serio e fino in fondo le radici di una presenza ormai consolidata. Dietro la pagoda del ristorante cinese di periferia sembra sbocciare la terza generazione di immigrati bilingue con la stessa vocazione al fai da te imprenditoriale degli indigeni “metal-mezzadri” di mezzo secolo fa. Oltre le micro Chinatown a ridosso delle stazioni ferroviarie, si intuisce la familiarità con l’orizzonte delle società di capitale in cui giocare alla pari con tutti. E al di là delle comunità underground sgorgano gli investimenti a tutto campo di chi è nato, cresciuto e integrato nel Veneto.
Veneto: il leone dalla testa di drago
Del resto, il serenissimo leòn di San Marco nasconde ogni giorno di più la testa di drago, simbolo imperiale della Cina. E il Veneto, forse, si dimostra laboratorio più sofisticato del resto d’Italia. Saltano comunque all’occhio alcuni numeri, che raccontano più di tanti luoghi comuni. Il rapporto 2017 pubblicato dal Ministero del Welfare e dedicato proprio ai cinesi in Italia segnala almeno cinque evidenze.
- 50.737 imprese individuali concentrate in Toscana e Lombardia, ma con l’11% in Veneto.
- Fra gli oltre 300.000 cinesi residenti in Italia ben il 45% ha meno di trent’anni.
- 7.340 studenti universitari sono cinesi, al secondo posto fra gli stranieri nei nostri Atenei dopo quelli albanesi.
- L’Inps eroga 1.385 pensioni assistenziali a cinesi.
- Infine, le rimesse verso la Cina ammontavano a 237,5 milioni di euro, sebbene nel 2011 il flusso di denaro arrivasse a 2,5 miliardi di euro.
“La pazienza è potere: con il tempo e la pazienza, ogni foglia di gelso diventa seta”. E proprio nel nome del filosofo millenario il soft power di Pechino da un decennio ha messo radici nelle università. L’accordo di cooperazione fra Ca’ Foscari, Capital Normal University di Beijing e lo Hanban è stato firmato il 22 settembre 2008. E il 3 aprile 2009 il rettore di Padova Giuseppe Zaccaria incorpora un altro Istituto Confucio, d’intesa con l’Università di Guangzhou.
Come sintetizza Simone Pieranni di China Files, la diffusione della lingua e della cultura non ammette margini di libertà e di critica nel rapporto con gli Istituti Confucio: «Ci sono temi che rimangono tabù. Taiwan è ancora oggi descritta come “l’isola più grande della Cina” ed è bene evitare di menzionare gli argomenti che Pechino ha destinato all’oblio: Tien’anmen, l’indipendenza del Tibet o il Falun Gong, per esempio».
Trasformazioni e adattamenti dei cinesi in Veneto
I primi significativi “carotaggi” sulle trasformazioni in atto nella comunità cinese del Veneto arrivano dalla recente pubblicazione curata da Maurizio Rasera e Devi Sacchetto, Cinesi tra le maglie del lavoro (Franco Angeli), che ha il merito di intervistarne i protagonisti. Così è tutt’altro che scontata la narrazione dall’interno di chi parte dalle province dello Zejiang e del Fujian per approdare in laboratori, centri ingrosso, ristoranti, bar. E in Veneto sembrano cristallizzarsi almeno un paio di tendenze.
C’è la nuova imprenditoria che traduce in cinese il vecchio modello veneto, in particolare nel comparto tessile-abbigliamento-calzature. «Negli anni della crisi le imprese sono diminuite del 2%, mentre quelle a titolarità cinese sono cresciute del 20%. L’occupazione ha subito una drastica caduta (oltre 11.000 posizioni di lavoro perse), mentre quella cinese è cresciuta di quasi 2.000 unità».
E poi si scopre il salto generazionale incarnato dal trentenne Yibo, arrivato in Veneto nel 2006 con una laurea cinese in informatica. Si è rimesso a studiare, in italiano, ingegneria informatica. Dopo la seconda laurea, come apprendista biologo in azienda ha messo a punto un kit di diagnosi in vitro per poterlo registrare… in Cina.
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