Per una regolamentazione delle attività di lobby

C’è un pregiudizio diffuso da sfatare per quel che riguarda le attività di lobby presso le istituzioni europee. Secondo il Vicepresidente del Parlamento europeo Rainer Wieland: “in quindici anni che lavoro nelle istituzioni europee non un solo lobbista mi si è avvicinato in un modo che io non avessi visibilità dell’obiettivo che si era prefissato”. […]

C’è un pregiudizio diffuso da sfatare per quel che riguarda le attività di lobby presso le istituzioni europee. Secondo il Vicepresidente del Parlamento europeo Rainer Wieland: “in quindici anni che lavoro nelle istituzioni europee non un solo lobbista mi si è avvicinato in un modo che io non avessi visibilità dell’obiettivo che si era prefissato”. Rainer Wieland ha messo in guardia contro l’impatto negativo che avrebbero misure di regolamentazione e di trasparenza delle attività delle lobby sul lavoro delle istituzioni europee.

Tuttavia, il funzionamento interno delle Istituzioni Europee resta ancora troppo opaco.

Il punto è che i gruppi di pressione ed i portatori di interessi particolari sono in grado di esercitare un’influenza significativa sul processo legislativo e sulle politiche dell’Unione Europee.

Nikiforos Diamandouros, European Ombudsman dal 2003 al 2014, ha affermato che “le denunce più consistenti al Mediatore Europeo riguardano la mancanza di trasparenza nelle istituzioni dell’UE”.

Ecco che, tra i punti principali per un mandato della Commissione Europea presieduta da Jean-Claude Juncker, compare anche “Embrace trasparency” nella consapevolezza che il processo legislativo europeo possa essere più responsabile e trasparente se anche le attività di lobby sono maggiormente regolamentate.
Regolamentare le attività di lobby significherebbe chiedere, ad esempio, al Capo Dipartimento oppure al Capo Servizio della Commissione dalla cui area di competenza vengono proposte nuove iniziative normative o di regolamento come abbia origine tale iniziativa legislativa e a seguito delle pressioni di quale Stato Membro ovvero di quale gruppo di lobby.

La questione della trasparenza dell’attività di lobby ha fatto progressi sul piano politico europeo nel corso degli ultimi mesi.

Per rispondere alle richieste di trasparenza ed assicurarsi al fiducia dei cittadini nelle Istituzioni Europee, nel 2011 è stato istituito un ufficio ad hoc che dovrebbe documentare le attività ufficiali di lobby a Bruxelles. Attualmente sono state registrate poco meno di 6.000 organizzazioni e circa 29.000 lobbisti. Il sistema è basato su una registrazione volontaria e giuridicamente non vincolante.
Il presidente dell’organizzazione per le imprese di lobbying EPACA, Karl Isaksson, lamenta però una certa mancanza di risorse per far funzionare bene questo ufficio.

Uno dei segni evidenti dell’attenzione crescente al tema è la lettera inviata l’11 maggio 2015 al vicepresidente della Commissione Frans Timmermans, braccio destro di Juncker e incaricato di sovrintendere una migliore regolamentazione e l’applicazione del principio di sussidiarietà, da 112 organizzazioni per chiedere norme più rigorose sull’attività di lobby. Anche l’intergruppo del Parlamento Europeo che si occupa di integrità, trasparenza, lotta alla corruzione ed alla criminalità organizzata ha firmato la lettera.

L’appello è stato lanciato dalla Alliance for Lobbying Transparency and Ethics Regulation (ALTER-EU) che ha chiesto l’istituzione di un registro giuridicamente vincolante dei lobbisti. ALTER-EU ha accolto con favore gli sforzi della Commissione in materia di lobby ed ha criticato varie società, tra cui Credit Suisse e Standard & Poor, per le loro attività di lobby.

La Commissione dovrebbe “dare il buon esempio” in materia di trasparenza delle attività di lobby.
Il suggerimento per la Commissione è quello di incoraggiare ad una maggiore informativa pubblica delle varie iniziative, anche con riguardo al denaro speso dai lobbisti ed alle riunioni con i funzionari. L’auspicio è quello di aiutare a bilanciare l’influenza delle élite più ricche sulla regolamentazione nelle varie materie di riferimento rispetto ai gruppi di interesse pubblico. Il timore è, invece, che le grandi aziende stiano avendo un impatto sempre maggiore sul processo decisionale.

Emily O’Reilly, attuale European Ombudsman, che indaga sulle denunce di cattiva amministrazione a riguardo delle istituzioni dell’Unione europea, ha chiesto più trasparenza sull’attività di lobby dei funzionari della Commissione che lavorano intorno alle trattative commerciali con gli Stati Uniti per l’accordo Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP).

Stesse preoccupazioni si registrano in materia di privacy, tanto che il Direttore del Dipartimento di Giustizia della Commissione Europea, ha fortemente criticato una serie di incontri pubblici, a carattere divulgativo, tenuti a Bruxelles ed organizzati da Google, considerando che tali incontri erano parte di sforzi più ampi di attività di lobby. Gli incontri sono stati criticati perché hanno cercato di insinuare dubbi sui principi della sentenza della Corte di giustizia discutendone pubblicamente i contenuti.
Di più, Google ha istituito un advisory council composto dal fondatore di Wikipedia Jimmy Wales, avvocati, ex regolatori ed un filosofo per elaborare raccomandazioni utili a trovare soluzioni più favorevoli all’azienda americana.

Fare attività di lobby è parte integrante di una democrazia sana, ma gli scandali presenti in tutta Europa ci dimostrano che senza regole e norme chiare e vincolanti, un numero selezionato di gruppi di interesse con più soldi e più contatti può dominare il processo decisionale politico. Pratiche di lobbismo sleali e opache sono uno dei rischi di corruzione su cui attualmente si confronta l’Europa.

L’Europa ha urgente bisogno di riforme in materia di lobby secondo il recente rapporto” Lobbying in Europe: Hidden Influence, Privileged Access” del 2015. Dei 19 paesi europei valutati, solo 7 hanno una qualche forma di regolamentazione delle attività di lobby. I Paesi in crisi dell’Eurozona come Italia, Portogallo e Spagna sono, poi, tra i cinque paesi dove le pratiche di lobby e le strette relazioni tra settore pubblico e settore finanziario sono considerati più a rischio.

Il rapporto mette in luce pratiche di lobbismo problematiche in una vasta gamma di settori e nell’industria in Europa, tra cui: Alcool, tabacco, automobili, energia, settore finanziario e farmaceutico.
In Francia, i parlamentari sono autorizzati a svolgere attività di lobby e di consulenza mentre sono in carica – una situazione simile è presente in Portogallo e in Spagna. I membri del parlamento europeo sono per lo più esenti da qualsiasi restrizione di svolgere queste attività pre e post-lavoro, pur essendo obiettivo primario dei lobbisti. È lavoro di ogni lobbista a Bruxelles incontrare i rappresentanti del Parlamento Europeo, ma non è responsabilità degli eurodeputati di riferire sistematicamente al Parlamento delle riunioni con lobbisti o esperti.
Vi è quindi un alto rischio che i conflitti di interesse possano influenzare i processi decisionali.
A Bruxelles i funzionari sono naturalmente abituati ad attività di lobby da tempo, e queste attività possono essere in parte uno sforzo ben intenzionato volto a trovare soluzioni concrete al problema, ma, in parte, esse possono essere un atto di aggressione verso le normative europee “scomode”.

Nonostante alcuni passi fatti nella direzione di una maggior trasparenza, è dunque evidente che le lobby e i gruppi d’interesse sono in grado di esercitare un’influenza significativa sul lavoro delle istituzioni europee.
I paesi europei e le istituzioni dell’Unione europea devono adottare regolamenti appropriati sull’attività lobby di modo da coprire la vasta gamma di interessi che influenzano – direttamente o indirettamente – le decisioni politiche, le politiche pubbliche o le normative. In caso contrario, una mancanza di controllo rischia di minare seriamente la democrazia in tutta Europa.

CONDIVIDI

Leggi anche

Vanno d’accordo sindacato cinese e lavoro H24?

Recentemente sul quotidiano Reggio Sera è comparso il monito preoccupato della Federazione Cisl Emilia Romagna in merito alla difficoltà di diffondere una cultura legata ai diritti del lavoro nelle aziende cinesi che stanno sensibilmente aumentando sul territorio. I dati della camera di commercio parlano da soli: circa 50.000 imprenditori nati in Cina ma attivi in […]

Industria barese? I primi no dall’hinterland

Circa duemila ettari di superficie, settecento fabbriche, oltre ottanta chilometri di strade per due grandi aree industriali ubicate nella zona nord est del capoluogo, tra Bari, Modugno e Molfetta. Siamo nella zona industriale di Bari, un concentrato storico di lavoro, progetti e contraddizioni nato agli inizi degli anni Sessanta grazie ai contributi della Cassa del […]