LIS, la lingua muta è donna

Esiste una professione nascosta, di cui non si parla quasi per niente, specialmente nelle sedi in cui la si dovrebbe valorizzare e promuovere. È quella svolta da coloro che riempiono il silenzio dei sordi con immagini e parole: gli interpreti LIS. A livello normativo infatti l’interpretariato LIS (Lingua dei Segni Italiana) non è ancora stato […]

Esiste una professione nascosta, di cui non si parla quasi per niente, specialmente nelle sedi in cui la si dovrebbe valorizzare e promuovere. È quella svolta da coloro che riempiono il silenzio dei sordi con immagini e parole: gli interpreti LIS.

A livello normativo infatti l’interpretariato LIS (Lingua dei Segni Italiana) non è ancora stato riconosciuto come professione, in quanto l’Italia è l’unica nazione europea a non aver prodotto una normativa specifica per dichiarare la LIS una lingua.

L’aspetto più particolare di tutto ciò è che queste persone, che “parlano” la LIS e la codificano, sono veri e propri esperti che fanno dell’interpretariato una professione, e non una semplice attività extraprofessionale o di volontariato, come gran parte dell’opinione pubblica crede.

 

ANIOS e la promozione culturale della professione

L’ANIOS, l’associazione di categoria attiva dal 1987 che promuove la cultura professionale di questa figura, ha svolto nel 2018 un sondaggio su un campione di circa trecento professionisti. L’indagine denota in modo inequivocabile che la professione è prettamente femminile: ben l’87,7% degli interpreti è rappresentato da donne.

Altri aspetti interessanti che emergono dall’indagine sono relativi all’età e all’area geografica. Il 42% ha infatti tra i 30 e i 40 anni. Le aree in cui operano il maggior numero di interpreti sono il Lazio (30,1%) e la Lombardia (16,4%); esistono sorprendentemente ancora regioni scoperte, come la Val d’Aosta, il Trentino Alto Adige, il Molise e il Friuli Venezia Giulia.

Sono dati che restituiscono la particolare fotografia di una professione che non è stata riconosciuta. Ma grazie alla legge n.4 del 2013 (“Disposizioni in materia di professioni non organizzate in ordini o collegi”) lo Stato ha autorizzato le associazioni presenti nell’elenco del Ministero dello Sviluppo Economico a garantirne la qualità, delle quali fa parte ANIOS, che da anni si batte per la questione. La presidente Lucia Rebagliati ci confida con una punta di amarezza che sull’interprete LIS l’attenzione normativa è povera, molto limitata e relegata ad ambiti giuridici marginali. Come può una professione essere tutelata, promossa e formata se lo strumento principale per svolgerla secondo la legge italiana non esiste?

 

L’interpretariato LIS, una professione tipicamente femminile

Uno degli aspetti più interessanti emersi dall’indagine è che la professione dell’interprete è quasi prettamente femminile. Perché?

Non esistono studi conosciuti su questo aspetto, ma le ipotesi riguardano il fatto che per molto tempo in Italia l’opinione pubblica ha definito erroneamente la professione come un’attività di carattere sociale, praticata nel caso in cui un membro della famiglia fosse affetto da sordità e necessitasse di esprimersi ed essere compreso. Questo fatto sembra aver delegato la conoscenza della lingua, almeno in passato, a una tradizione di assistenza tipica del mondo femminile.

Un altro aspetto, che non ha fondamenti scientifici, potrebbe essere la forte componente creativa tipica della LIS. I segni hanno un’iconicità propria molto marcata, e una cinematicità che la rende un processo quasi artistico nel creare forme nello spazio. Naturalmente, muovendosi nell’ambito delle ipotesi, le motivazioni possono essere ancora più varie e disparate, ma il dato finale è sicuramente di forte impatto sociale.

 

Orientare alla professione

Altro dato da tenere in considerazione nel sondaggio ANIOS è quello delle competenze. Il 36,6% degli interpreti ha una laurea, e l’11,6% un master. I restanti sono in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore. Gli interpreti, quindi, esibiscono sia competenze di livello accademico che una formazione scolastica inferiore. Questo dato contribuisce a rafforzare il bisogno di un riconoscimento giuridico della LIS come lingua ufficiale, e successivamente di percorsi formativi utili e modulati ad hoc sulle reali competenze richieste dal settore.

Alla domanda su quale percorso di studi sarebbe più adatto per diventare interprete LIS, la presidente di ANIOS Lucia Rebagliati risponde: «Sicuramente un percorso accademico inserito in una laurea triennale in lingue. Al momento l’offerta è esigua e troppo diversificata: esistono agenzie formative che creano corsi autofinanziati, e altri corsi sovvenzionati da fondi regionali. Inoltre l’unica offerta accademica per l’avviamento alla professione è rappresentata dall’Università Ca’Foscari di Venezia, che ha all’attivo un master di primo livello in “Teoria e tecniche di traduzione e interpretazione italiano / lingua dei segni italiana”».

Sul sito ufficiale dell’associazione sono delineate le principali competenze che l’interprete di lingua dei segni italiani possiede, che sono di carattere interpretariale, linguistico, culturale, contestuale, comunicativo e deontologico.

Il futuro di questa professione è ancora tutto da costruire, ma come sempre, per far sì che si conosca e che i giovani desiderino impararla e praticarla, occorre che venga inserita perlomeno in contesti formativi istituzionali. Partire dal riconoscimento normativo sarebbe già un primo, importante passo in avanti.

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