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Geografia del voto: è il centrodestra il partito del ceto medio
Il voto si è ripartito in modo differente nelle diverse zone del Paese. Analizziamo l’andamento territoriale dei partiti con Michele Raitano, professore di Politica economica alla Sapienza: “Le politiche del centrodestra accentueranno le disuguaglianze”.
Uno spettro si aggira per l’Italia: lo spettro della povertà. Quotidianamente masticata nel Sud del Paese, fatta della disperazione e della mancanza di futuro di migliaia persone, disoccupate o precarie, per lo più giovani; paventata come prospettiva sempre più vicina e verosimile dalla classe media del Centro Nord.
È una dicotomia netta, una polarizzazione geografica e socioeconomica che le ultime elezioni hanno tradotto in voti: Nord compattamente al centrodestra, Sud con una maggiore competitività politica del Movimento 5 Stelle. La situazione risulta chiara osservando soprattutto i dati delle circoscrizioni elettorali: dal Centro in su, in tutte il primo partito è FdI, mentre nell’altra metà del Paese è il M5S. Sullo sfondo il PD, arroccato in alcune aree storicamente “fedeli”, come Toscana ed Emilia-Romagna, e che si connota ormai come la forza politica della conservazione, punto di riferimento per quella fascia di popolazione – sempre più risicata – che vive ancora in condizioni di benessere. Cioè di privilegio, data la difficilissima situazione dell’Italia.
Insomma la povertà, più o meno vissuta, più o meno temuta, ha deciso l’esito elettorale. D’altra parte per anni è stata ribadita da tutti la necessità di liberarsi dalle ideologie, ciarpame dallo stantio odore di Novecento, anacronistiche nel nostro tempo di magnifiche sorti e progressive, e la politica si è perfettamente conformata a questa visione. Non c’è da stupirsi che i cittadini, al momento del voto, si affidino a chi promette di tutelare meglio i loro interessi personali: al Nord il mantenimento o la riconquista del benessere, al Sud qualche salvagente per non annegare nella miseria. È per questo che vale la pena andare a vedere che cosa caratterizza queste aree da un punto di vista socioeconomico, e visto che le elezioni le ha vinte il centrodestra, cercare di capire se le politiche economiche che propone sono davvero in grado di rispondere alle diverse esigenze di un Paese così spaccato.
Michele Raitano: “Il centrodestra è diventato il partito del ceto medio. Per questo ha vinto al Centro Nord”
Secondo i dati ISTAT, il Nord Italia ha tassi di povertà relativa compresi tra il 3,8% della Valle d’Aosta e il 10,2% di Piemonte e Liguria. È qui che il centrodestra ha mietuto più consensi, con punte di oltre il 56% in Veneto e del 51% in Lombardia. I perché di questo radicamento territoriale ce li spiega bene Michele Raitano, professore ordinario di Politica economica all’Università La Sapienza di Roma, membro dell’Osservatorio Internazionale per la Coesione e l’Inclusione Sociale ed esponente della scuola di pensiero promossa da Federico Caffè.
“Al Nord gli indicatori di povertà sono in peggioramento, soprattutto sulla popolazione immigrata, che vota poco, ma il tessuto economico tutto sommato per adesso tiene. Chi si trova in una posizione nella quale ancora riesce a ottenere qualcosa dal mercato, ma comincia a perdere terreno e a impoverirsi, reagisce chiedendo sostegno allo Stato non per avere un supporto economico, ma per creare una barriera contro chi percepisce come problema. Il centrodestra si è fortemente radicato al Nord perché è diventato il partito del ceto medio che si sta impoverendo, che teme di scivolare ancora più giù e concentra la propria attenzione sui migranti perché sono l’unico elemento che riesce a individuare, senza ragionare davvero su costi e benefici e senza avere una chiave di lettura più complessa delle questioni.”
Decisamente più drammatica è la situazione del Mezzogiorno, dove il tasso di povertà relativa è del 25,3%, dove si concentra la metà dei disoccupati dell’intero Paese e dove lavora solo una donna su tre (complice anche la cronica carenza di servizi per l’infanzia), a fronte di sei su dieci del Nord. Qui la necessità di difendere i pochi strumenti di sostegno al reddito, primo fra tutti il Reddito di Cittadinanza, ha reso meno schiacciante la vittoria dell’alleanza Meloni-Salvini-Berlusconi.
“Laddove il mercato non arriva più, dove le condizioni sono tremende, i salari bassissimi e le uniche possibilità di sopravvivenza della popolazione sono legate all’intervento pubblico si vota chi dà molta importanza a questi sussidi, chi non li considera il male assoluto. Non è certo questione di voto di scambio, come ha detto qualcuno, ma di difesa di un interesse, come è naturale che sia”, dice Michele Raitano.
“Il centrodestra orientato a piccoli interventi che non facciano perdere voti e che accentueranno le disuguaglianze”
Dunque, che fare? Il Governo può davvero permettersi di rispondere solo alle esigenze di una parte residuale del Paese? Alla luce di questi dati di realtà, le ricette economiche del centrodestra – come per esempio eliminare il Reddito di Cittadinanza – rischiano di essere insufficienti, inadeguate e destinate ad acuire la spaccatura del Paese. La questione della povertà non si può mettere sotto il tappeto e il nuovo governo dovrà affrontarla, in un modo o nell’altro, anche se si continua a parlare di soluzioni in favore del ceto medio a rischio impoverimento, come la flat tax, di certo non rivolte a chi è indigente.
A mancare sono soprattutto le misure che dovrebbero intervenire sul lavoro, su una redistribuzione della ricchezza e su una decisa politica di contrasto all’evasione fiscale, il tema più scabroso con il quale nessuno sembra volersi cimentare, quella voragine che ogni anno inghiotte oltre cento miliardi di euro e che rappresenta la madre di tutti i problemi.
“Migliorare il RdC partendo dai suggerimenti avanzati dal Comitato tecnico scientifico presieduto da Chiara Saraceno, agire sulla contrattazione con leggi sulla rappresentanza, intervenire sulle forme contrattuali e potenziare il controllo sul loro rispetto, avviare una seria politica di incremento delle retribuzioni, introdurre il salario minimo e adottare misure di redistribuzione tout cort della ricchezza: è su queste azioni che dovrebbe concentrarsi una politica economica che abbia al centro l’interesse dello sviluppo del Paese e dell’intera società”, spiega Raitano.
“Viceversa, mi sembra che il centrodestra sia piuttosto orientato a introdurre piccoli interventi che non facciano perdere voti e rappresentino un costo non percepito per lo Stato, come aumentare la flat tax per gli autonomi o introdurre sgravi differenziati e regimi agevolati, per esempio alle scuole private. In questo modo si crea un aumento del divario sociale, perché si riduce la redistribuzione della ricchezza, e al contempo si accresce la disparità tra chi può evadere e chi non può. È probabile che si sceglierà di fare qualche piccolo condono, che non si spalma equamente su tutta la popolazione, e di aumentare la flat tax sugli autonomi fino a 100.000 euro, incentivando così le imprese a rimanere piccole e a nascondere quello che si fattura oltre una certa cifra.”
Insomma, è tutta questione di priorità. È vero, governare è una sfida, e governare l’Italia – realtà eterogenea e non sempre incline al rispetto delle regole, con una pubblica amministrazione che a tratti zoppica – rende tutto più complesso. Ed è anche certo che le situazioni di forte disagio ed enorme difficoltà lavorativa sono tante, e sono materia con la quale è facile rimanere bruciati. Ma se il nuovo esecutivo non si mostrerà capace di avere una visione ampia e inclusiva sulla società italiana, corre il rischio che il Paese gli esploda in mano.
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