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Silver cohousing: quando l’argento vale più dell’oro
Secondo l’ideatore Sandro Polci, il silver cohousing è “un piano Marshall abitativo”. Ecco come funziona il progetto di residenzialità condivisa per anziani che abbatte i costi, migliora la qualità della vita e risana i territori.
“La Silver Economy, “l’economia dei capelli grigi”, si rivolge alla moltitudine dei meno garantiti e capaci di reddito, che vivono con oneri crescenti in alloggi spesso fatiscenti, e subiscono una penetrante solitudine. Da qui l’attenzione al cohousing, condivisione di spazi e funzioni residenziali, contenendo i costi di gestione, cancellando la solitudine e arginando le sue pesanti conseguenze sociali ed economiche, soprattutto dopo il grave impatto del COVID-19. La pandemia in atto sta infatti mostrando la necessità di un modello di sanità territoriale capillare e continuativo. Al contempo si considerano le criticità delle case di riposo, che hanno mostrato fragilità sanitaria proprio nelle grandi comunità di accoglienza. Tali elementi spingono a una riflessione sulla condivisione abitativa in comunità con persone autosufficienti ancorché anziane, organizzate in condivisione, reciproco aiuto, sussidiarietà delle comunità locali e ragionevole assistenza, innovativa dei modi del Servizio Sanitario Nazionale”.
Con queste parole l’architetto Sandro Polci, autore di numerose ricerche sul disagio insediativo, pone i presupposti per una nuova piccola rivoluzione. È lui l’inventore del termine silver cohousing, l’abitare condiviso per coloro che hanno i capelli d’argento – gli anziani. Un’idea che cambia il concetto di residenzialità condivisa, non solo per gli ultrasessantacinquenni in difficoltà economiche, ma per liberare spazi nelle periferie urbane e rendere una risorsa economica profittevole: il recupero di abitazioni ormai in disuso.
Proposte, le sue, presentate lo scorso marzo in Parlamento, nel corso di un’audizione per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. In Italia ci sono 7 milioni di case vuote, ma non tutte sono seconde case; quelle senza inquilini sono 2.700.000. Contro la fatiscenza degli immobili, la periferizzazione delle aree urbane, vanno pensate soluzioni di recupero, volte a favorire la condivisione delle abitazioni specie per coloro che, per ragioni di reddito, non possono permettersene una in proprio.
Sandro Polci, architetto: “Il silver cohousing alla base di un piano Marshall abitativo”
Così Sandro Polci argomenta i vantaggi di questo nuovo approccio all’abitare.
“Il silver cohousing si presenta come un vero e proprio piano strategico per rendere disponibile almeno il 30% della pensione di chi condivide, per aumentare il proprio benessere e impiegare al meglio il patrimonio immobiliare – oggi mal utilizzato – in ragione delle effettive necessità di utenti, proprietari, affittuari, liberando risorse per investimenti e riammodernamenti.”
“Le abitazioni libere grazie alle scelte della condivisione abitativa garantirebbero la successiva immissione degli alloggi nel mercato, integrando le scarne possibilità del social housing, con un circolo virtuoso che permetterebbe un vero piano Marshall abitativo per lavoratori temporanei e studenti senza casa che oggi attendono una risposta. Permette di liberare almeno parzialmente la popolazione anziana dai problemi della solitudine, dell’isolamento e dell’esclusione sociale, che spesso sfociano nel barbonismo domestico, superando i problemi di incuria e mancata assistenza. Permette di superare le difficoltà legate alle cure sanitarie, a favore di un’assistenza domiciliare che garantisca residenzialità attiva, un invecchiamento sereno, e di recuperare risorse nella gestione sanitaria grazie alle minori ospedalizzazioni che tale organizzazione consente.”
Riduzione dei costi, rivalutazione degli immobili, ripopolamento: perché il silver cohousing conviene
Secondo le ricerche dell’architetto Polci, coabitare riduce i costi di una persona almeno del 30%, migliorando la qualità della vita. Seguendo questa visione si aprono due strade.
La prima è la riqualificazione delle aree urbane fatiscenti, per evitare ripercussioni sulla qualità della vita e di sostenere alti costi di manutenzione. Per le aree urbane degradate si registra una casa vuota ogni due occupate. Anche in questo caso l’architetto Polci mostra i vantaggi di un recupero immobiliare dell’esistente: “Nelle aree urbane si può agire abbattendo e riedificando edifici con modalità sostenibili, rinaturalizzando e riorganizzando gli spazi, rifuggendo nuovi disordini urbanistici ed energivori. Ma, mancando le ingenti risorse necessarie per progetti residenziali sostitutivi nelle immense periferie metropolitane, e considerando i tempi medi attuativi, è certamente più proficuo un lavoro di riordino, ricucitura, rigenerazione dell’esistente favorendo forme di condivisione abitativa”.
La seconda strada è il rilancio delle aree rurali disabitate. I territori sono meno ricchi: il 70% della superficie italiana è coperta da Comuni con meno di 10.000 abitanti, dove i redditi sono più bassi del 13% rispetto alla media nazionale. In altri 2.600 Comuni il divario di reddito raggiunge il 35%. Ne consegue che un recupero dei borghi, secondo le sue ricerche, permetterebbe un incremento del reddito di circa il 15%, di generare 720.000 occupati, e un incremento del 4% della popolazione.
Le ricadute favorevoli sono circa il 25% nei 2.600 Comuni che rischiano di diventare città fantasma: “Nei borghi e nei territori, cioè nel 70% della superficie nazionale dei Comuni fino a 10.000 abitanti, si possono produrre benefici concreti e tempestivi attraverso il ripopolamento e l’efficientamento del patrimonio in una maglia rurale di relazioni, autoproduzione con divisioni sociali e di vita. Qui l’azione è essenziale perché occorre fortemente favorire il ripopolamento: presto avremo un anziano ogni tre persone e tre anziani per ogni bambino. Servono politiche di insediamento di nuovi cittadini, anche con anziani che lasciano periferie metropolitane insane e costose, e con quanti stanno tornando al lavoro in agricoltura. Utilizzando solo un quarto delle superfici abbandonate in vent’anni avremmo 125.000 aziende di dodici ettari”.
Polci quantifica che solo recuperando il 15% delle abitazioni disponibili si potrebbero ospitare 300.000 nuovi cittadini per invertire il calo demografico. Le opere di adeguamento comporterebbero investimenti di due miliardi di euro nella rigenerazione urbana e 30.000 nuovi addetti.
I conti tornerebbero meglio, la socialità pure.
In copertina Condofuri Superiore, un borgo spopolato della Calabria. Foto di Giulio Di Meo
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