Smart Walking: lavora, cammina, ama

Davide Fiz parla del suo progetto Smart Walking: percorrere l’Italia a piedi con la connessione in tasca, per non rinunciare al lavoro. La sua testimonianza dai paesi tra le pieghe più nascoste di province e Regioni.

O cammini o lavori. E chi l’ha detto?

Davide Fiz, dallo scorso marzo, gira a piedi l’Italia e lo farà fino all’autunno: è partito dal Sud e cucirà coi passi e col computer tutte le venti Regioni e i loro principali cammini. Il suo progetto si chiama Smart Walking – il marchio è registrato – e il nome è talmente azzeccato e originale che, gli va riconosciuto, avrebbe potuto fare il copywriter invece che il commerciale.

Lui è uno smart worker nello spirito e nell’intento più che nel concetto e nel contratto: toscano, 46 anni, una laurea in Economia aziendale all’Università di Pisa, di mestiere fa il freelance come commercial sales per varie aziende. Insomma era libero da uffici e orari di lavoro già da tempo, ma la voglia di testimoniare che si può conciliare il corpo col lavoro lo ha spinto a partire.

Davide Fiz, ideatore del progetto Smart Walking, in una sosta durante il cammino tra Collalto Sabina e Turania (Abruzzo)

Davide Fiz e il suo Smart Walking: l’Italia passo dopo passo con l’ufficio nello zaino

Di paesi ne vedrà tanti, in questi mesi che prevedono 2.500 chilometri a piedi e ora che siamo a fine aprile ha già calpestato il Cammino Materano, quello del Salento, il Cammino bizantino del Negro in Cilento, quello degli Aurunci nel Lazio e quello di San Pietro Eremita in Abruzzo; poi il Molise, adesso, a fine aprile. Ci eravamo conosciuti mesi fa, prima che i media lo ribattessero come un tam tam nelle ultime settimane tra radio e giornali.

L’ho raggiunto al telefono la settimana scorsa mentre passava tra Lazio e Abruzzo. Ero curiosa di farmi raccontare che Italia vede a piedi, come stanno i paesi spopolati, che cosa dice la gente che resiste e, soprattutto, se davvero ci si riesce a collegare col Wi-Fi mentre si attraversa l’inedito, perché poi la favola che nei piccoli paesi sperduti si vive meglio paga sempre il conto alla realtà se li tagli fuori dal poter decidere quanto e quando stare fuori dal mondo. 

“Io ho lavorato sempre senza problemi al computer, da Bitetto, che sta a quindici chilometri da Bari, al paesino sperduto nel Vallo del Cilento. Certo io non ho particolari esigenze perché essendo un commerciale vado su internet, mi apro i gestionali e lavoro; sì, scarico anche file corposi di fotografie e materiale vario, quindi mi accorgerei se ci fossero grossi problemi nelle strutture private in cui faccio sosta. A Tufo di Carsoli in Abruzzo, però, prendeva in effetti solo la Vodafone, quindi ammetto che lì mi sono dovuto appoggiare alla mia rete.”

“Abbiamo lavorato cinque mesi per preparare Smart Walking in modo serio, ma la cosa che conta davvero è che io credo con tutto me stesso a questa idea perché lavoro in smart working da undici anni, mi gestisco da sempre in autonomia. Ci tengo a chiarire subito per evitare fraintendimenti: se prendiamo alla lettera il valore giuridico e contrattuale dello smart working, certo non riguarda me. Il mio messaggio si rifà più alla cultura di matrice anglosassone e angloamericana col concetto dello smart, dell’agilità e della libertà: mi ritrovo meglio dentro l’accezione più ampia della sola interpretazione da lavoro dipendente per il pubblico o privato.”

I paesi visti da chi li percorre: “Spopolamento e sempre meno servizi. Ma i giovani stanno provando a tornare”

Spopolamento, pochi giovani, scuole elementari che chiudono, ricambio generazionale assente.

Alla mia domanda sul livello di copertura dei servizi che ha trovato in questi primi mesi di cammino, Davide mi risponde con queste cose in fila e le sgrana una dietro l’altra senza pensarci su, come le vecchiette il rosario.

“Però un dato in controtendenza lo cito perché l’ho vissuto e conosciuto in queste settimane: i giovani stanno provando a tornare nei paesi, verso le proprie radici, ma soprattutto parecchi under 40 stanno dando le dimissioni per tracciarsi un altro futuro, meno schiavo delle città. La conferma è stato il ritorno a casa: nel momento in cui è stato concesso lo smart working loro si sono spostati, e questo è il cuore del discorso. La gente se ne va perché non ha lavoro, è il lavoro che dobbiamo rigenerare. O come è successo a una mia amica originaria del Cilento, che ha lavorato come insegnante prima a Livorno e poi a Torino e poi ha chiesto il trasferimento; ma nel suo caso senza che lo smart working avesse a che fare con la sua scelta, lo ha fatto per investire diversamente sul futuro della figlia nata da poco. Io in questo cammino ho mangiato i fiori per la prima volta in vita mia grazie a un cuoco che ha fatto la scuola di cucina di Pollenzo e che sta per andare a lavorare a New York: non abbiamo idea di quale altro genere di vita e di alimentazione siano ancora in grado di riservarci i piccoli paesi coltivati ancora dagli anziani. Finiti loro, finisce tutto.”

Davide non è in strada mentre stiamo al telefono, si sente qualche voce di sottofondo. Ha appena chiuso il Cammino di San Pietro Eremita, personaggio realmente esistito nato a Rocca di Botte e con le spoglie a Trevi nel Lazio (il Comune si chiama proprio Trevi nel Lazio).

“Proprio perché il santo è nato lì e morto là, da dieci secoli la regola del Comparatico vuole che non ci si possa sposare tra abitanti dei due Comuni. Il cammino fu voluto e creato dal professor Enzo Urbano che ci ha lavorato per anni, riunendo tutti i paesi e facendo capire loro l’importanza del progetto. Lui è morto a dicembre scorso e il caso ha voluto che io sia entrato in contatto con loro: la mia presenza ha fatto ripartire il Cammino e con loro abbiamo costruito una settimana di scambi e consigli incredibili. Addirittura ieri due gruppi di ragazzi di due paesi cresciuti nei secoli come paesi rivali si sono riuniti per pulire il sentiero in cui sarei dovuto passare io, ma senza che loro lo sapessero in partenza. Così come nei giorni scorsi mi ero fermato a fare qualche foto a delle vecchiette che pulivano la cicoria e loro scherzando mi hanno chiesto se sarebbero finite in televisione. Ho risposto che in effetti il mio sogno era finire su Geo&Geo, finché un ragazzo del comitato locale mi ha poi chiamato per dirmi che le tre signore erano andate da un loro compaesano di Vivaro Romano, posto sperduto, che fa il cameraman di Geo&Geo, e gli hanno parlato di me”. 

Tre signore che fanno quasi trecento anni in tre e che provano a fare miracoli per chi vive la vita a piedi.  

Altro che PNRR: per salvare i paesi basterebbero dieci viandanti al giorno

Mi racconta dei punti di raccordo umano del Centro Italia, come quello che appunto tiene insieme la provincia di Roma, L’Aquila e Rieti.

“Questo cammino l’ho iniziato e concluso a Rocca di Botte, provincia dell’Aquila, poco più di 800 abitanti a 750 metri d’altezza; è una vallata in cui in mezzo passa la Tiburtina. È il classico esempio di identificazione territoriale che sfugge alle logiche comuni, qui si conoscono tutti tra i paesi anche se stanno in province diverse. A me un grande supporto arriva dai Comitati sui territori, loro sono il vero presidio per tenere vivi i passaggi, i paesaggi e il turismo.”

“Quando penso a tutta questa macchina del PNRR mi dico che la politica non capisce granché e che basterebbe molto meno per ridare vita ai luoghi. Per aprire un Cammino o per tenerlo attivo non serve costruire ancora, fabbricare, inquinare. Sono le usanze e le culture che vanno recuperate e ricercate. Così come un bando PNRR dovrebbe far ripartire le comunità dai servizi, dalle scuole, dagli uffici postali, insomma da ciò che serve alle persone per vivere e sopravvivere ogni giorno.”

Alla fine con Davide ci mettiamo a fare i conti in tasca ai paesi, per concludere che alla maggior parte di loro alla fine basterebbe accogliere due o tremila camminatori o viandanti l’anno per garantirsi un’economia generale di sostentamento: parliamo in media di una decina di persone al giorno.

“Se pensi che Santiago de Compostela è partito con tre pellegrini negli anni Novanta e ora ne fa 250.000. Diciamo che più cammino e più mi accorgo di quanto c’è bisogno di gente che lo faccia, pur sapendo bene che non tutti potrebbero, per le ragioni più diverse. La mia idea iniziale era di lavorare la mattina e camminare il pomeriggio, anche se la passione per il progetto mi assorbe ogni giorno di più, ma non per questo non tengo fede ai miei impegni reali di lavoro; il resto è un sogno. Perché un sogno ce l’ho sul serio: aprire un cammino in Liguria, dove da piccolo mi portavano sempre in vacanza i miei sull’Appennino.”

Lo aspetto in Toscana, la promessa è fatta. Cammineremo e lavoreremo in mezzo all’antica Etruria dal 6 all’11 giugno. Chi volesse unirsi può farlo senza prenotare nulla o iscriversi chissà dove: però magari avvisatelo, seguitelo sui suoi profili social o dal canale di Mountain Blog che gli fa da partner. La pagina Instagram di Smart Walking resta comunque il vero diario di bordo, e ci trovate pure le tre signore dei miracoli: magari il prossimo post lo fa con voi se avete una storia che merita di essere raccontata.

Leggi gli altri articoli a tema Smart working.

Leggi il mensile 111, “Non chiamateli borghi“, e il reportage “Aziende sull’orlo di una crisi di nervi“.


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