Spaventati ma gentili: gli anticorpi digitali al COVID

Grazie alla pandemia usiamo il web e i social meglio. Questo sembra emergere dai primi dati raccolti dall’osservatorio “Mutamenti Sociali in Atto-COVID19” del CNR, in collaborazione con INGV. L’80% degli intervistati dichiara di prestare attenzione a ciò che legge, il 90% di riflettere sulle conseguenze di ciò che scrive, e l’88% afferma di controllare testi […]

Grazie alla pandemia usiamo il web e i social meglio. Questo sembra emergere dai primi dati raccolti dall’osservatorio “Mutamenti Sociali in Atto-COVID19” del CNR, in collaborazione con INGV. L’80% degli intervistati dichiara di prestare attenzione a ciò che legge, il 90% di riflettere sulle conseguenze di ciò che scrive, e l’88% afferma di controllare testi e immagini prima di condividerle.

Dove è andato a finire quell’analfabetismo digitale che prima del COVID-19 era il leitmotiv dei discorsi che mettevano i social costantemente sul banco degli imputati di ogni disagio? Da queste prime stime sembra proprio che il distanziamento sociale, avendoci costretti a trasportare nel digitale gran parte della nostra vita relazionale, abbia portato con sé anche il desiderio di dare maggiore senso alle nostre interazioni connesse.

Chissà se questi dati ci stanno parlando di un cambiamento rilevante; lo vedremo solo con il tempo. Forse è proprio quell’esserci ritrovati improvvisamente e irrimediabilmente connessi per poter lavorare, parlare, amare e vivere, ad averci mostrato la non separazione tra vita online e offline. L’isolamento ci ha mostrato che quella connessa è una dimensione relazionale in tutti i sensi, e come tale deve e può essere riempita di significati, di valori, di peso da dare ai nostri atti di comunicazione.

 

Relazioni digitali: col lockdown ci comportiamo meglio sui social. Nonostante i complottismi

Prima ci si poteva ancora permettere di vivere una specie di schizofrenia, con da una parte la vita reale e dall’altra la dimensione social e digital. Era una dicotomia del tutto artificiale e pretestuosa, che produceva molte storture e pratiche scomposte nella vita connessa, vissuta con poca consapevolezza e autocritica.

Ora che online viviamo la gran parte della nostra esistenza, stiamo imparando che in quella rappresentazione di noi fatta di immagini, parole e like ci giochiamo la nostra identità, la nostra possibilità di intrattenere relazioni significative con gli altri e di conoscere qualcosa in più della realtà. Che poi sono sostanzialmente le azioni fondamentali di un essere umano che si muove nel mondo. Forse lo stare fermi e isolati nello spazio fisico, liberi di spaziare solo in quello relazionale digitale, ci sta facendo desiderare di capire meglio e riempire di senso proprio quest’ultimo.

Ma attenzione, perché non è tutto oro quel che luccica. Lo stesso osservatorio infatti sottolinea la permanenza di una certa tendenza al complottismo: 4 persone su 10 ritengono che la rete riveli ciò che i media classici nascondono deliberatamente (il 45% degli uomini contro il 37% delle donne, con titolo di studio medio-basso: 42% contro 32%).

 

I primi dati sulle emozioni dominanti durante il distanziamento sociale

Insomma, se tutto ciò ha portato a un po’ più di consapevolezza sulla realtà connessa, rimane ancora in piedi la sfida culturale di accrescere la capacità dei cittadini di muoversi in un sistema di comunicazione in cui l’accesso alle informazioni è facile e privo di filtri. Questi segnali di cedimento alla logica del sospetto e di ricerca di spiegazioni alternative ci parlano di un riflesso psicologico tipico delle condizioni di fragilità: trovare complotti nascosti e nemici invisibili e invincibili a cui dare tutta la colpa, in fondo, è anche un modo per allontanare e non sentire troppo sulle proprie spalle il peso di ciò che succede.

È interessante da questo punto di vista quello che l’osservatorio rileva a proposito delle emozioni nei confronti del distanziamento sociale: la felicità è la più bassa, prevalgono tristezza, ansia, rabbia e paura; quest’ultima, tra l’altro, percepita con maggiore intensità nella fascia di età 30-49. Intensità che per queste emozioni negative si registra in modo più alto al Sud, dove paradossalmente il contagio è meno grave. Una possibile spiegazione degli esperti è che in quelle zone è maggiormente sentito il disagio per l’interruzione delle reti di vicinato.

Che poi, più o meno intensamente avvertita, quell’interruzione è ciò che ha modificato nel profondo la vita di ciascuno e tutto il mondo attorno. L’osservatorio registra infatti un’alta quota di incertezza verso il futuro e di disagio per la mancanza di interazione sociale. Tanto che non è facile nemmeno immaginare quale sarà la forma che assumeranno le nostre relazioni sociali nel prossimo futuro pandemico.

 

Contadini digitali per coltivare le relazioni dopo il COVID-19

Ecco, come sarà la nostra vita sociale durante e dopo il COVID-19? Forse è davvero questa la domanda di fondo che la crisi ci sta sottoponendo. Prima del virus alcuni di noi riflettevano su come dare forma a quel mondo di relazioni a volte sconosciuto (e a volte temuto con sospetto) che era la rete. La sfida era quella di essere umani all’altezza della connessione: contadini digitali capaci di coltivare i nuovi terreni delle connessioni per trarne frutti significativi.

Ora quella sfida di costruzione e ricostruzione in una dimensione non abituale è diventata totalizzante: in un mondo messo a soqquadro dalla pandemia non sappiamo bene che cosa ci aspetta; dovremo procedere passo dopo passo, coltivando, dissodando e provando a seminare in modo nuovo campi nuovi, per tornare a crescere e a trarne frutto.

Stavolta lo dovremo fare online e offline contemporaneamente, mostrando di essere umani all’altezza di quella onlife (secondo la felice espressione di Luciano Floridi) che è un intreccio di dimensioni che costituiscono l’unica realtà in cui possiamo vivere.

 

 

Photo by engin akyurt on Unsplash

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