Thinking out of the box da dentro una scatola

Qualche sera fa mi è capitato di guardare una vecchia puntata di Italia’s got Talent dove si esibiva un ragazzo che suonava il pianoforte con la leggerezza di Mozart e l’intensità di Chopin. Il talento in questione aveva imparato a suonare per reagire al fatto di non poter vedere. Quando, non senza imbarazzo, i membri […]

Qualche sera fa mi è capitato di guardare una vecchia puntata di Italia’s got Talent dove si esibiva un ragazzo che suonava il pianoforte con la leggerezza di Mozart e l’intensità di Chopin. Il talento in questione aveva imparato a suonare per reagire al fatto di non poter vedere. Quando, non senza imbarazzo, i membri della giuria lo hanno chiamato “non vedente”, lui ha illuminato la platea con un sorriso genuino e ha detto “Cieco, chiamatemi cieco. Voi, per caso, avete mai parlato di fiducia non vedente in qualcuno o siete mai entrati per sbaglio in un vicolo non vedente? Allo stesso modo la fortuna è non vedente?”
Il giorno dopo ho invece sentito parlare di Kube, un sistema di valutazione manageriale che superava ogni precedente forma di assessment: visto che l’idea nasceva in Newton Factory – costola di Newton Management Innovation Gruppo 24 Ore, da sempre riconosciuti come team costantemente alla ricerca di innovazione – il tema ha suscitato la mia curiosità. Così mi sono un po’ documentato sul web e ho scoperto una dimensione molto interessante. Già il fatto che fosse necessaria una totale consapevolezza e una buona apertura mentale per impegnarsi nel cimento costituiva un buon biglietto da visita; ma era stato il requisito della solidità necessaria per potersi confrontare ed accettare le proprie debolezze ad avermi definitivamente agganciato, alla faccia del perbenismo ormai – spero – passato di moda che permette al massimo la definizione di aree di miglioramento.

Dentro la scatola, davvero

Ho approfondito il funzionamento dell’esperienza: il manager entra in una stanza dove attori professionisti, supportati da una sapiente regia e da una costante interazione con le 3 e 4D, creano situazioni che devono essere gestite in diretta. Dopo una fase introduttiva in cui vengono esplicitate e accettate le regole del gioco, il manager inizia il suo viaggio in cui le quattro competenze fondamentali saranno valutate in ogni istante: l’orientamento al risultato, la capacità di lettura del contesto, delle variabili e delle dinamiche, il pensiero prospettico e consapevole di tutto ciò che accade e delle sue implicazioni e, infine, la capaciità di creazione del contesto relazionale finalizzato all’obiettivo in un’ottica di continuo e costante miglioramento del processo.

Dopo due settimane dal termine della prova, arriva il video corredato dalle schede di valutazione.
Ero davvero molto incuriosito per cui ho cercato Nicola Giunta, uno degli ideatori del progetto, per confrontarmi direttamente con lui e dargli la possibilità di fugare alcuni miei dubbi.

A questo punto volevo sapere tutto: come fosse nata l’idea, quali prospettive ci vedesse nel medio termine e a quali conclusioni fossero giunti dopo circa sei mesi dal lancio sul mercato.

E’ solo un assessment centre (AC) con un buon condimento di tecnologia sopraffina? Oppure mettete il minimo indispensabile nel vostro zaino e si parte alla ricerca di noi stessi e della nostra managerialità?

Kube è un viaggio sul posto, è abbattere i confini pur restando chiusi in una stanza. E così, emuli di Gino Paoli, si parte.

Confesso che lo scetticismo iniziale mi portava a considerare questa esperienza una cosa già vista ma presentata meglio di prima ma dopo questa chiacchierata la mia voglia di cimentarmi non è più frenata dallo scetticismo ma solo dal lieve – e nemmeno troppo lieve, ad esser sinceri – timore reverenziale verso una possibile delusione delle mie aspettative, difficile da gestire come la critica fondata di una persona di cui si ha grande stima e considerazione

La novità di Kube. In cosa?

Ma perché allora è così nuovo e così diverso? Perché si è letteralmente investiti emotivamente dagli eventi e ci si trova a contatto con i risultati (non sempre vicino agli attesi) delle decisioni prese.

La metafora migliore che mi sovviene è quella del FIT con stimoli elettrici: con la stessa logica, Kube per un’ora e mezza e senza tregua ha lo stesso valore concentrato delle due settimane più intense della vostra vita professionale. C’è un elemento scatenante che fa partire un rollercoaster che non può essere fermato.

E’ un pendolarismo temporale dove si perde del tutto la percezione di quanto tempo è passato e alla fine dalle stanza escono persone stravolte, a volte in down post adrenalinico, altre ancora super cariche.

Ma cosa lo differenzia da un AC tecnologico?

Innanzitutto per l’output che lascia tracce molto ben codificate e a rilascio prolungato nel tempo: i manager devono poter conservare memoria utile per identificare le necessità di crescita e costruire i piani di azione nel mese successivo. Inoltre estremizza l’opportunità di ridefinire in corsa la strategia con correttivi continui.

Infine l’esperienza è ripetibile e il fatto di averla già affrontata non costituisce né un vincolo nè una garanzia di miglioramento della performance. Non è solo una gara ma anche un posto dove andarsi ad allenare periodicamente, un viaggio nella complessità dei nostri processi mentali e decisionali.

Kube sembra davvero l’occasione giusta per provare ad uscire dalle nostre certezze e, in totale solitudine, confrontarsi a muso duro con le proprie debolezze: si dice spesso che il leader è solo e stavolta è la pura verità. Perché la sfida verso il nostro miglioramento è il più bello e difficile dei viaggi.

Del resto non reclamiamo sempre come un sogno la possibilità di avere un momento in cui nessuno ci disturbi e ci si possa concentrare solo su quello che bisogna fare? Questa è l’opportunità giusta.

Il team sta lavorando sul miglioramento dei pochi punti deboli del sistema per renderlo accessibile ad un pubblico più vasto, posto che la commistione di linguaggi human /tech lo renda non accessibile a chiunque.

Inoltre la scelta consapevole di misurarsi è molto diversa dall’approccio di chi dall’azienda è stato “mandato”.

Ma alla fine, facendo tesoro della lezione del giovane e talentuoso pianista, i manager potranno lavorare efficacemente sulla consapevolezza dei propri punti deboli, cominciando soprattutto a chiamarli con il loro nome.

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