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Gli altri trattori: gli allevatori del terremoto fanno protesta a sé
Chi vive di agricoltura e allevamento nelle zone colpite dal sisma del 2016 protesta per ragioni differenti: nella proposta di riforma delle Politica Agricola Comune dei trattori del Centro Italia c’è soprattutto un ripensamento dell’assegnazione dei fondi comunitari, di cui oggi beneficia soprattutto il Nord
Non hanno mai abbandonato i territori feriti dal sisma 2016 gli allevatori e agricoltori del Centro Italia. I Comuni più colpiti dal terremoto sono proprio quelli a maggiore vocazione agricola, con una presenza di allevamenti significativa. La protesta dei trattori arriva anche in questi luoghi, che arrancano ma non mollano.
È una protesta chiara, con motivazioni e richieste ben precise che non lasciano spazio a equivoci o polemiche sterili. Chi lavora la terra o alleva animali ad Arquata del Tronto, Accumoli e Amatrice non bada alle apparenze o a circostanze generali: chiede rispetto del lavoro e riconoscimento di un sostentamento equo e giusto.
È un presidio del territorio quello degli allevatori e agricoltori delle zone montane e terremotate che mette al centro l’agricoltura intesa nel suo più alto significato, produzione di qualità e tutela della sicurezza idrogeologica del territorio.
Ma che cosa chiedono davvero gli agricoltori e gli allevatori delle zone terremotate?
“Bene il Green Deal, ma la transizione verde va sostenuta economicamente”
La rinuncia a lavorare il 4% del terreno – che deve essere lasciato incolto – e l’utilizzo dei fitofarmaci, due temi molto propagandati da questa protesta, non riguardano le aziende montane e terremotate del Centro Italia: non ci sono resistenze per quanto riguarda la transizione ecologica né proteste per l’uso dei pesticidi o per la rotazione dei terreni. Le aziende agricole montane sono a vocazione pascolo, il biologico è già intrinseco nel loro DNA proprio perché quei terreni sono fonte di alimentazione per il bestiame. Quindi i risultati ottenuti finora, passando dall’esonero IRPEF, sono fuorvianti in base alle richieste delle aree del Centro Italia.
Gli agricoltori e allevatori delle zone che ancora combattono le conseguenze del sisma 2016 chiedono il taglio trasversale del titolo PAC (il contributo riservato ai terreni coltivati dalla Politica Agricola Comune europea) e di colmare il piccolo margine che resta all’agricoltore nella filiera dei prodotti che coltivano.
Chiedere rispetto per i prodotti derivanti dalla coltivazione o dall’allevamento è intrinseco alla serietà con la quale si portano avanti questi tipi di aziende; la qualità vera e riconosciuta deve avere un riscontro economico adeguato. Non si cercano scorciatoie, solo riconoscimenti. Se l’azienda vive di materie prime per esercitare il lavoro da cui deriva il suo reddito, con l’aumento esponenziale dei costi cresce la spesa dell’impresa, quindi diventa necessario il pagamento proporzionato di ciò che l’azienda produce. Ad oggi l’agricoltore o allevatore è l’anello più debole della filiera.
Se l’Europa vive da settant’anni una “Politica Agricola Comune”, non può tradire questa sua natura, considerando che l’unica delega al suo interno è proprio quella del settore agricolo. La prima strategia agricola, la PAC appunto, nacque con tre obiettivi: autosufficienza alimentare, garantire una redditività simile a quella dell’industria, ed evitare lo spopolamento di montagne e campagne. Questi obiettivi sono stati raggiunti in vent’anni. Agli inizi degli anni Novanta in Europa la strategia è cambiata: si intendeva mantenere il concetto della redditività, ma si è tradito il senso alto dell’agricoltura, ovvero l’importanza riservata a ciò che l’azienda produce. È questa una delle principali rivendicazioni delle aziende agricole terremotate e montane.
“Noi siamo d’accordo con la transizione ecologica, ma chiediamo che venga approvato un Fondo speciale che sostenga l’innovazione e aiuti l’agricoltore in tale processo. La riforma della PAC dovrebbe semplificare la procedura e rendere disponibili le risorse anche per i piccoli e medi agricoltori. Vivere questi luoghi, non abbandonarli nonostante le difficoltà e la mancanza di alcuni servizi, è stata una scelta consapevole, e vorremmo fare del nostro lavoro una sorta di ringraziamento alla natura che ci circonda, rispettandola così che essa possa aiutarci nel percorso lavorativo e umano”, spiegano gli allevatori di Arquata del Tronto. “Occorre premiare coloro che scelgono la transizione e l’innovazione e dare aiuto a chi ha sempre fatto un baluardo della sostenibilità nell’agricoltura; essere protagonisti della filiera agroalimentare; riportare al centro il reddito dell’agricoltore come produttore di qualità, perché si spende sempre di più per produrre e si guadagna poco sulla vendita del prodotto. Il Green Deal serve per salvare il Pianeta, ma la transizione verde deve essere sostenuta”.
Le richieste di agricoltori e allevatori nelle zone terremotate
La proposta di riforma della PAC si articola in diversi punti:
- riportare il valore dell’attuale titolo base alla precedente media nazionale PAC (compreso di greening, l’insieme di pratiche che danno accesso al sostegno finanziario del “pagamento verde”) 2015-2020;
- dare una premialità, oltre il titolo base, a chi si impegna per il green;
- aumentare il premio dell’accoppiato.
La nuova PAC, inoltre, sovvenziona molto l’ecoschema per gli impollinatori, ma da questo premio esclude il pascolo estensivo, che invece funge da perfetto sistema per gli impollinatori considerando la fioritura spontanea e abbondante negli alpeggi. Agricoltori e allevatori chiedono infine di rivedere la suddivisione delle risorse destinate al CSR, ad oggi assegnate in base ad una storicità soprattutto di spesa della vecchia programmazione. Per questo motivo ci sono Regioni che riescono a elargire molte più risorse rispetto ad altre, in particolar modo alle aree interne, come i pascoli montani.
La struttura della PAC attuale è articolata su due pilastri:
- il primo fornisce aiuti diretti agli agricoltori e sostiene le misure di mercato, finanziate direttamente dal bilancio UE;
- il secondo è rappresentato sia dal FEASR (Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale), che finanzia i programmi di sviluppo rurale (PSR regionali e nazionali), sia da questi stessi programmi.
Non tutte le associazioni di categoria erano d’accordo con la riconvergenza dei titoli PAC, poiché si basano sulla storicità. C’è stato un taglio trasversale del 48% del valore del titolo, come una sorta di flat tax. Sono gli allevatori di Arquata del Tronto, uno dei Comuni più colpiti dal sisma, a prendere la parola.
“Chiediamo che ci sia un riadeguamento dei titolo, che quelli sotto ai 300 euro non vadano toccati, oppure che tutta la cifra dello stanziamento del primo pilastro PAC venga ripartita con il titolo base ripartito in modo uguale per tutti. Nel secondo pilastro CSR c’è una storicità in base alle Regioni e quelli del Nord la fanno da padrone rispetto al Centro. Anche lì ci vuole equa ripartizione, altrimenti si incorre in una difficoltà ulteriore, poiché l’azienda si ritroverebbe a sostenere maggiori costi d’impresa, consapevoli di ottenere minor reddito e andando incontro a una ridotta tutela del lavoro agricolo.”
Gli agricoltori sono i custodi del territorio, attori primari della biodiversità. Come può costruirsi il processo di transizione senza una valorizzazione, anche dal punto di vista economico? Riconoscere il valore etico dell’agricoltura servirà anche a invertire l’abbandono delle zone montane, distrutte dal sisma.
La protesta dei trattori di Arquata del Tronto chiede risposte fattive e puntuali. Non vuole grandi proclami o promesse astratte, ma si focalizza sulle criticità che possono mettere in pericolo le aziende montane e terremotate. Questi territori, spesso dimenticati, non cercano propaganda sulla propria pelle, ma vicinanza seria; hanno le idee chiare e non vogliono strumentalizzazione.
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