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<p><strong>Le vacanze del 2022 saranno le più care degli ultimi cinquant’anni</strong>. Il Codacons lo va ripetendo da almeno un mese: si parla di 700 euro in media in più per ogni famiglia. O almeno se ne parlava, perché in questi giorni l&#8217;inflazione ha superato l’8%, anzi quasi il 9%, e non accadeva dal 1981, mentre negli Stati Uniti sta volando quasi al 10%. Metteteci il caro benzina, metteteci anche i rincari del post COVID-19 e le materie prime, ma andare in ferie quest’anno sarà dura. <strong>Soprattutto in Italia</strong>; tant’è che molti italiani, nella prima parte dell’anno, secondo un report della Banca d’Italia hanno scelto l’<strong>estero</strong>.</p>



<p>«La spesa dei viaggiatori italiani nei Paesi della UE è cresciuta in modo marcato, mentre ha registrato un’ulteriore contrazione la spesa nelle destinazioni più lontane, in particolare Asia e Oceania, contraddistinte anche da politiche più restrittive per i flussi in entrata», si spiega. «Il numero di viaggiatori è diminuito in tutte le mete a eccezione di <strong>Grecia</strong> e <strong>Spagna</strong>, specializzate nel turismo estivo, e della <strong>Romania</strong>, dove è predominante la componente di viaggi per visite a parenti o amici». E ancora: «Nel primo trimestre del 2022 la spesa dei viaggiatori italiani all’estero si è ulteriormente avvicinata ai valori pre pandemici: il rapporto con i livelli del corrispondente periodo del 2019 è di circa il 65% nel complesso, e sale a oltre l’80% per le destinazioni della UE».</p>



<p>Conviene andare all’estero fuori stagione, ma si sapeva già prima della pandemia che l’Italia è tanto bella ma tanto cara. Soprattutto ad agosto, quando tutti vanno in ferie. Perché anche se il boom economico risale a sessant’anni fa, e i ruggenti anni Ottanta distano quarant’anni da oggi, gli italiani continuano ad andare in ferie ad agosto. Quando i prezzi sono alle stelle.</p>



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<h2 id="h-la-liguria-la-piu-cara-ma-le-altre-regioni-non-scherzano">La Liguria la più cara, ma le altre Regioni non scherzano</h2>



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<p>Basta un giro su un qualsiasi portale di viaggi per scoprire che a <strong>Pietra Ligure</strong>, Nord Italia, provincia di Savona, una coppia spende dai 1.000 ai 2.000 euro se si va dal 15 al 31 luglio, dai 1.900 ai 4.000 dal 1 al 15 agosto, e dai 2.000 ai 4.500 nella seconda quindicina.</p>



<p>Prezzi più bassi per la riviera adriatica: a <strong>Rimini</strong> si va dai 1.000 ai 2.000 a luglio, dai 2.000 ai 3.000 ad agosto.</p>



<p>Vale la pensa ripiegare sul Sud, anche se già l’Adriatico costa un po’ meno della Liguria, e si scopre che a <strong>Peschici</strong>, in Puglia, si passa dai 1.000 ai 2.000 della seconda quindicina di luglio ai 2.000 fino a 3.900 nelle settimane iniziali di agosto, e dai 1.400 a 4.000 nelle rimanenti.</p>



<p>Stessa spiaggia, stesso mare, ma nel giro di un mese il prezzo raddoppia.</p>



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<h2 id="h-le-ferie-d-agosto-esistono-solo-in-italia-questione-di-contratto">Le ferie d’agosto esistono solo in Italia: questione di contratto</h2>



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<p>Per gli italiani sono vacanze spesso forzate, perché al contrario dei Paesi europei vige la famosa <strong>chiusura aziendale</strong>, che di solito cade nelle due settimane centrali di agosto. Insomma non si è certi che Natale sia il 25 dicembre, visto che i dibattiti degli storici non hanno mai fissato con certezza il genetliaco di Gesù Cristo, ma siamo sicuri che gli italiani andranno in ferie ad agosto.</p>



<p>Stando ai dati forniti dalla banca d’Italia, la spesa per le vacanze italiane degli stranieri nel primo trimestre del 2022 ammonta a 5.101.000 milioni di euro contro i 3.397.000 degli italiani. Lo stesso vale per il secondo trimestre. Nel 2021 (non sono disponibili ancora i dati di quest’anno) gli stranieri spesero circa 2.688.000 contro i 2.268.000 degli italiani.</p>



<p>La questione risale alla notte dei tempi; è addirittura <strong>sancita dai contratti collettivi nazionali</strong>. Il contratto metalmeccanico stabilisce che la chiusura aziendale per le ferie estive non può superare le tre settimane. Ma c’è sempre chi ci prova, al punto che ci sono cause di lavoro (vinte) di alcuni dipendenti contro i datori che hanno provato a chiedere addirittura quattro settimane.</p>



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<h2 id="h-rincari-i-traghetti-costano-fino-a-un-terzo-in-piu">Rincari i traghetti costano fino a un terzo in più</h2>



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<p>La situazione non colpisce soltanto gli alberghi e gli stabilimenti balneari, ma anche i <strong>traghetti</strong> e i <strong>trasporti navali</strong>.</p>



<p>«Che in Italia si sia costretti ad andare in ferie ad agosto – dice <strong>Cristiano Maccabruni </strong>di Federconsumatori – è ormai un dato di fatto da anni. Questo lo sanno tutti e c’è chi se ne approfitta. Quest’anno abbiamo riscontrato un incremento anche sul prezzo dei traghetti sulle tratte italiane. Rileviamo dei <strong>rincari del 30 o del 35%</strong> su tratte dove magari ci sono solo due concessionari. Non ci sono stati interventi di nessun tipo per limitare questi rincari, anche perché queste spese si sommano ad altre che molte famiglie italiane non sono in grado di sostenere. Innanzitutto perché non ci sono stati interventi sugli stipendi, che rimangono fermi, e ormai il vecchio stipendio di 1.200 euro al mese non è più sufficiente. Ce ne rendiamo conto anche solo guardando i nostri sportelli, dove ci sono file di cittadini che arrivano con bollette in mano che non sono più in grado di pagare».</p>



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<h2 id="h-taglio-delle-accise-senza-la-proroga-sarebbe-un-disastro">Taglio delle accise, senza la proroga “sarebbe un disastro”</h2>



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<p>Il dibattito è stato lungo, ma alla fine si è arrivati a una conclusione: grazie al maggior gettito IVA, figlio dei rincari degli ultimi mesi, si potranno <strong>tagliare le accise</strong>.</p>



<p>Il Governo l’ha fatto a maggio e subito i prezzi alla pompa sono scesi. La durata del primo taglio era fino all’8 luglio, poi dopo una lunga battaglia parlamentare si è arrivati a votare una proroga fino al 2 agosto. Intanto i prezzi sono scesi un po’ meno, e il rischio è che proprio nella settimana in cui gli italiani andranno in vacanza voleranno alle stelle. L’intenzione dovrebbe essere quella di <strong>prorogare ulteriormente</strong> i tagli alle accise, come confermano gli stessi rappresentanti di categoria dei gestori delle pompe di benzina.</p>



<p>«Il 2 agosto è solo una data», dice <strong>Pinello Balia</strong> del sindacato ANGAC. «Siamo sicuri che i tagli alle accise verranno prorogati, anche perché <strong>non farlo sarebbe un disastro per molte famiglie</strong>. Penso che ci saranno proroghe fino a fine anno, ma potrebbe bastare. Noi proponiamo da tempo di rimettere in campo il vecchio <strong>CIP</strong>, cioè il prezzo amministrato e uguale in tutta Italia, altrimenti le compagnie fanno quello che vogliono. Il problema è che c’è in atto una grossa speculazione, addirittura una <strong>truffa</strong>, e il Governo non interviene».</p>



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<h2 id="h-vacanze-d-oro-il-caro-carburanti-e-la-prima-voce-di-spesa">Vacanze d’oro, il caro carburanti è la prima voce di spesa</h2>



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<p>Secondo una stima elaborata dal Codacons con gli attuali listini, che non si discosteranno troppo da quelli che ci saranno ad agosto, per andare da Torino a Reggio Calabria con un’auto a <strong>benzina</strong> e percorrere i <strong>1.362 chilometri</strong> che separano le due città, oggi si deve mettere in conto, tra andata e ritorno, una media di <strong>330,8 euro</strong>, con un aggravio di spesa di circa <strong>69 euro</strong> rispetto all’estate del 2021. Se l’auto è a <strong>gasolio</strong>, si spendono circa <strong>275,4 euro</strong>, ma il rincaro su base annua è più elevato (+71,9 euro), nonostante con un litro di diesel si percorrano mediamente più chilometri rispetto alla benzina.</p>



<p>Se si parte da Milano in direzione Salento (Lecce) la spesa per il pieno di verde è di 250,5 euro, +52,5 euro sul 2021, mentre se l’auto è a gasolio si spenderanno poco meno di 210 euro, 55,5 euro in più rispetto alla scorsa estate.</p>



<p>Il record del caro-pieno spetta alla tratta Bolzano-Trapani: per percorrerla in auto (distanza totale 1.646 km) occorre spendere tra andata e ritorno quasi 400 euro per i rifornimenti di benzina, +83,5 euro sul 2021 (332,8 euro la spesa per il gasolio, quasi +87 euro rispetto all’estate del 2021).</p>



<p>Ad andare avanti così, con le ferie forzate insieme a tutto il resto d&#8217;Italia e i rincari che piovono da tutte le parti, viene da chiedersi se ne vale davvero la pena.</p>



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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>



<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>



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<p><em>Photo credits: motori.virgilio.it</em></p>


Agosto, ferie comandate solo in Italia. E sempre più care


<p>“Quello che il consumatore non sa è che <strong>la crisi del grano è iniziata un anno fa</strong>, <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/prezzo-grano-guerra/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">tra luglio e agosto</a>, e la guerra sta solo aggravando la situazione. Parliamo di <strong>grano duro per la pasta</strong>, la distinzione va fatta sempre, e il Canada, che è uno dei produttori mondiali di riferimento, in quel periodo subì il primo drastico calo di produzione per diversi milioni di tonnellate a causa della siccità: quando si registrano simili carenze a livello internazionale, la ricaduta è a cascata ed è valso anche per l’approvvigionamento nazionale dell’Italia. Il mercato del grano è ormai un mercato globale, anche se un messaggio come questo non passa sempre in modo chiaro e univoco perché si confondono i piani senza avere il quadro generale di riferimento. Sebbene molte aziende utilizzino al 100% grani italiani, tra cui anche noi, è inevitabile che quando c’è penuria di grano a livello internazionale anche quel grano italiano viene richiesto all’estero, ed essendo la materia prima unica il costo sale. <strong>In Italia non c’è stata minore produzione, in Canada sì</strong>. La materia prima ormai è quotata a livello mondiale, questo è il concetto”.</p>



<p>La lunga <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/grano/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">inchiesta di <em>SenzaFiltro</em></a> sui <strong>rincari del grano</strong> offre la voce anche a chi il grano duro lo lavora nei propri <strong>pastifici</strong>, per farci spiegare come si forma il prezzo, chi e cosa incide, cosa non ci viene detto rispetto alla grande scusa della guerra in Ucraina: a parlare è <strong>Marcello Pennazzi</strong>, amministratore delegato del pastificio Luciana Mosconi, un marchio nato piccolo nelle Marche ma capace di scalare la ribalta nazionale.</p>



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<figure class="aligncenter size-large is-resized"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/07/Luciana-Mosconi_AD-Marcello-Pennazzi-scaled.jpg"><img src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/07/Luciana-Mosconi_AD-Marcello-Pennazzi-683x1024.jpg" alt="" class="wp-image-51276" width="342" height="512" /></a><figcaption>Marcello Pennazzi, amministratore delegato del pastificio marchigiano Luciana Mosconi.</figcaption></figure></div>


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<h2 id="h-marcello-pennazzi-ad-pastificio-luciana-mosconi-da-settembre-dovremo-fare-i-conti-con-la-crisi">Marcello Pennazzi, AD pastificio Luciana Mosconi: “Da settembre dovremo fare i conti con la crisi”</h2>



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<p>“Già tra agosto e settembre 2021 gli aumenti sul costo della materia prima erano stati pari al 100% ma a livello di consumo e di costi finali l’effetto è arrivato a inizio primavera 2022, proprio in coincidenza con lo scoppio della guerra in Ucraina.</p>



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<p><strong>Come mai l’onda arriva così lunga?</strong><strong></strong></p>



<p>Intanto, essendo aumentati i costi dei grani già un anno fa, magari i grandi player e i mulini avevano qualcosa stoccato in riserva, e comunque c’erano accordi contrattuali e commerciali su prezzi pattuiti e stabiliti, per quanto poi certamente un po’ rivisti alla luce dei fatti di attualità. Nell’agroalimentare, ad ogni modo, il momento inflativo si riversa con grande ritardo sul consumo finale, e questo lo dico a nome della nostra piccola azienda e di chi come noi occupa il settore dei piccoli-medi produttori; magari se una grande azienda decide di aumentare i propri listini riesce a farlo in modo più repentino rispetto a noi che dobbiamo mediare in modo diverso col distributore. L’onda arriva lunga, quindi, sia per i tempi tecnici del valore inflativo, sia soprattutto perché il mondo della grande distribuzione spesso non vuole o non è in grado di riversare l’aumento sul consumatore, proprio come accade per i produttori; chi mette la faccia davanti al consumatore proprio in virtù di questo patto di fiducia fa di tutto inizialmente per ammortizzare i maggiori costi. Lungo questa filiera del grano, però, c’è un terzo soggetto che è il più rilevante: il produttore di materia prima. Lui è l’unico che riesce a rivedere il prezzo in tempo quasi reale, o comunque nel modo più veloce rispetto agli altri soggetti della catena.</p>



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<p><em>Sul grano il mondo dell’informazione ha detto tanto, forse troppo negli ultimi mesi, senza però mai spiegare in trasparenza le logiche reali. Complici poi, nemmeno a dirlo, anche le sedicenti notizie spesso strumentalizzate sui social, dove la corsa veloce verso il trend del giorno crea un corto circuito altamente pericoloso. Ricorderete il caso Divella poco dopo l’inizio della guerra in Ucraina, con la polemica sul “100% grano italiano” in etichetta sulla confezione di pasta e le dichiarazioni di Vincenzo Divella apparse su Repubblica accanto a quella immagine di un pacco di pasta integrale: “Il nostro grano è bloccato in Russia, possibili aumenti di prezzo”. In quel caso il grano stoccato in Russia non era affatto quello duro funzionale alla confezione di pasta ritratta nell’articolo, bensì grano tenero necessario alla produzione di farine da panificazione e pasticceria. Una disinformazione a mezzo social e giornali che, mai come nel caso del grano e della pasta, punta ancor di più alla pancia dei lettori.</em><em></em></p>



<p><em>Torniamo ai rincari e a che cosa si può intravedere nel medio periodo.</em></p>



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<p><strong>Chi vede il settore da dietro le quinte come voi che strategie può mettere in atto fin da ora per i prossimi mesi, diciamo fino a fine anno?</strong></p>



<p>Noi prendiamo il grano da storici player nazionali che hanno esperienza e lungimiranza: tutti mi hanno detto che non hanno mai visto una cosa del genere da quarant’anni a questa parte. L’incertezza è massima, per tutti e a tutti i livelli. Chi fa pasta come noi deve navigare a vista e resistere ancora: in corso c’è anche una inevitabile quota speculativa che in un lasso di tempo mediamente gestibile vedremo che piega prenderà. Penso cioè al fatto che al massimo tra un mese, un mese e mezzo, avremo il nuovo raccolto, e quella fase sarà decisiva per il prossimo futuro. Più complicata, per noi produttori, sarà invece la gestione dei costi fissi in termini energetici. La nostra prima bolletta 2022 è arrivata moltiplicata per cinque rispetto agli altri anni. Dirò una cosa impopolare, ma noi produttori, a differenza dei cittadini, non abbiamo alcun margine di risparmio, non possiamo spegnere il riscaldamento e fare qualche legittimo sacrificio per abbattere i costi: dobbiamo far lavorare sempre le macchine, tenere accesi gli essiccatoi o i forni ventiquattro ore su ventiquattro. Per concludere, da qui al prossimo anno o anno e mezzo le aziende solide e patrimonializzate come la nostra per fortuna resisteranno; avremo di sicuro margini molto ridotti, ma piano piano cercheremo tutti di riposizionarci e la pasta avrà i suoi piccoli, inevitabili aumenti di prezzo, perché un po’ di inflazione arriverà fin lì, nonostante gli sforzi. Quel che è certo, e che già registriamo da dentro, è una contrazione dei consumi, ma l’estate e il bisogno di leggerezza non ci fanno cogliere fino in fondo la crisi in corso; da settembre bisognerà fare i conti con tutt’altro rigore, e i bilanci 2022 di fine anno soffriranno moltissimo, sia dentro le famiglie che dentro le imprese.</p>



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<h2 id="h-come-si-fa-il-prezzo-della-pasta-lungo-la-filiera-marina-mastromauro-ad-granoro-il-prezzo-del-grano-si-fa-a-chicago-quello-dell-energia-ad-amsterdam">Come si fa il prezzo della pasta lungo la filiera. Marina Mastromauro, AD Granoro: “Il prezzo del grano si fa a Chicago, quello dell’energia ad Amsterdam”</h2>



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<p><strong>Marina Mastromauro</strong> è l’amministratrice delegata di Granoro; ci siamo spostati a Sud, in provincia di Bari. La prima cosa che ci dice conferma in pieno che il rincaro non ha niente a che vedere con la guerra in corso e che gli aumenti si erano iniziati a far vedere già un anno fa, causa siccità fortissima oltreoceano.</p>



<p>“Proprio in questo periodo il mercato mondiale del grano è in fibrillazione perché <strong>si aspetta il</strong> <strong>raccolto di settembre per Canada e Stati Uniti</strong>, i due mercati di riferimento. È da lì che ogni anno si tirano le somme e si fanno previsioni, oltre che quotazioni, calibrando offerta e domanda. In questa fase di attesa si fanno i conti con la nostra produzione interna dove, almeno in alcuni areali pugliesi, si registra un calo della resa per ettaro: siamo intorno ai 20, 25 quintali per ettaro, media che solitamente per un grano di qualità è intorno ai 40, 50. Aspettiamo quindi di capire che cosa diranno le borse mondiali a settembre, soprattutto quella di Chicago.</p>



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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/07/immagine_2022-07-07_093603.png"><img width="768" height="548" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/07/immagine_2022-07-07_093603.png" alt="" class="wp-image-51285" /></a><figcaption>Marina Mastromauro, amministratrice delegata del pastificio Granoro.</figcaption></figure></div>


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<p><strong>Quanto pesa la geografia italiana in un momento come questo per i produttori di pasta?</strong><strong></strong></p>



<p>Pesa poco, perché essenzialmente in Italia si usa grano italiano per il 60-70% della produzione, e il 30% è quella famosa quantità che prendiamo dall’estero perché non copriamo l’intera produzione interna. Ricordo che l’Italia produce anche per una quota di mercato estero non da poco. Diciamo che in Europa si raccoglie un po’ di grano duro in Francia, in Spagna, in Turchia, ma per lo più – a copertura di circa un 50% italiano – arriva da Puglia e Sicilia.</p>



<p><strong>Come ne risente invece, in termini di prezzo, la vostra linea dedicata che utilizza solo grani pugliesi?</strong></p>



<p>Ci si illude che il grano di filiera abbia un prezzo fissato in rapporto al solo mercato locale, ma non è affatto così. La filiera è una formula che da un lato garantisce l’acquirente (cioè il pastificio) per una quantità di grano prodotta con parametri chiari, stabiliti in base alle proprie esigenze di pastificazione; dall’altro è un vantaggio per l’agricoltore, perché lo mette tranquillo sul fatto che tutto quello che produrrà avrà un acquirente finale certo, e che non sta lì a mercanteggiare. Ma il grano di filiera in ogni caso risente delle quotazioni delle borse nazionali e mondiali e il suo prezzo base di riferimento si fa là, non sul territorio locale. Vero è, però, che poi col grano di filiera scattano invece le premialità legate ad esempio al colore, alle proteine o alla qualità del glutine, ma è una valutazione che arriva dopo. Il fatto di cui si parla poco è che quando si arriva sui mercati mondiali, qualsiasi sia il prodotto, tutto acquisisce anche un valore speculativo. In energia mica sono cambiati i contratti con Putin, eppure ce la stanno facendo pagare di più perché si sa che i mercati vanno in tensione e da Amsterdam i grandi broker decidono per un continente intero, ma loro quell’energia l’hanno accumulata e pagata con costi di tutt’altro tenore. C’è ancora troppo non detto quando si parla di grano, e invece gli italiani dovrebbero sapere quello che succede dietro la pasta che comprano.</p>



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<p>Il <strong>prezzo del gas in Europa</strong> si decide in territorio olandese perché ad <strong>Amsterdam</strong> ha sede l’ICE Endex, che gestisce lo scambio dei contratti – i futures<em> </em><em>– </em>all’interno del Title Transfer Facility (TTF): una sorta di punto di scambio virtuale del gas che funge da hub per tutta l’Europa continentale e che rende l’idea di quanta distanza ci sia tra la fame e il dato, tra la vita in carne e ossa e la speculazione mai sazia.</p>



<p>Chi continua a collegare guerra e rincari del grano non vuole bene a questo Paese, né all’informazione trasparente a cui avremmo diritto da cittadini e da consumatori.</p>



<p>Non dovremmo più mangiare bugie.</p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/grano/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Grano</a></strong>.</em></p>



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<p><em>Photo credits: gea.com</em></p>


Il prezzo della pasta lo fanno Canada e Stati Uniti, altro che guerra e rincari

<p>Con <strong>Corrado Menchetti</strong> riesco a parlarci grazie a un ufficio marketing intrepido che me lo fa chiamare pur essendo nel pieno della macchina organizzativa del Jova Beach Party. Il suo cognome, tra Toscana e Umbria, parla chiaro da tre generazioni: dal dopoguerra sfornano pane nel centro dell’Italia, a Cesa in Valdichiana, ma sia l’eco che i prodotti arrivano nei punti vendita e nei locali dislocati nelle due Regioni.</p>
<p>Con lui sì che si può parlare di <strong>Ucraina</strong>, di guerra e di rincari, perché la questione è tutta di <strong>grano tenero</strong>: quello che, a differenza del <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/prezzo-pasta-rincari/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">duro</a>, serve per panificazione e pasticceria e di cui i territori sotto conflitto sono tra i principali esportatori mondiali.</p>
<p>Il grano, trasformato in farina, diventa un 65% della materia prima originaria: questo è il primo dato che mi conferma. Altro dato è che molti <strong>allevatori</strong> sono andati a prendersi in misura massiccia il <strong>grano</strong> per <strong>darlo da mangiare al bestiame al posto dei mangimi</strong>: un insieme di numeri e paradossi che hanno fatto saltare ogni equilibrio nel mercato del pane.</p>
<p>Menchetti entra a gamba tesa sulla follia dei costi delle utenze: “In un mese normale in cui fatturo 600.000 euro di pane, ho <strong>oltre 50.000 euro di costi di corrente</strong>. <strong>Il metano?</strong> Ne pagavo 7.000, <strong>ora è più che triplicato</strong> e stiamo a 24.000 euro. La <strong>farina</strong> ci costava <strong>32/33 </strong>euro a quintale e adesso ne costa <strong>65/66</strong>. Sommando tutti i costi fissi in un mese medio, io su quei 600.000 euro di fatturato ho fatto i conti e ho <strong>140.000 euro di costi in più</strong>, circa il 23/24%”.</p>
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<figure class="aligncenter size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/07/foto-Corrado-scaled.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" width="768" height="1024" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/07/foto-Corrado-768x1024.jpg" alt="Corrado Menchetti, proprietario del panificio ominomo." class="wp-image-51303" /></a><figcaption>Corrado Menchetti, proprietario del panificio ominomo.</figcaption></figure>
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<p><strong>Quanto avete riversato sui clienti?</strong><strong></strong></p>
<p>Siamo stati costretti a rincarare, ma lo abbiamo fatto gradualmente, in tre stadi, per arrivare comunque a un massimo del +12%, che però è appena la metà dell’aumento dei costi che stiamo sostenendo. L’ultima cosa che vorremmo è gravare su di loro.</p>
<p><strong>Si tratterà di capire quanto sarete ancora capaci di incassare il colpo: che resistenza prevede?</strong><strong></strong></p>
<p>Non può durare a lungo, non possiamo permetterci di resistere ancora un anno e mezzo dato che i rincari sono iniziati da parecchio tempo: perdere ogni mese almeno il 30% è insostenibile. Noi non siamo solo produttori di pane: gestiamo punti vendita e locali, ma anche produzione di surgelati, ed è solo grazie a questi ultimi due comparti che stiamo riuscendo a sostenere i costi assurdi della panificazione, che ora è totalmente in perdita. Comunque da noi si mangia un primo a tavola ancora con sei euro e mezzo, stiamo facendo di tutto per tenere gli argini e non spaventare i clienti.</p>
<p><strong>Ripercorriamo l’aumento dei costi per le materie prime.</strong><strong></strong></p>
<p>Siamo in ascesa da almeno un anno, anche se nessuno lo dice. L’energia elettrica, e di conseguenza il gas, avevano avuto i primi picchi già a luglio 2021 per degenerare a dicembre/gennaio. La guerra ha fatto il resto, ma eravamo già in difficoltà, e il prossimo autunno sarà drammatico. Lì vedremo davvero che faccia avrà la crisi.</p>
<p><strong>Qual è il momento dell’anno in cui si fanno i contratti?</strong><strong></strong></p>
<p>Solitamente è proprio questo, tra giugno e luglio. Noi ci riforniamo a Rigomagno, dal Molino Parri, che è il nostro riferimento per la farina del pane DOP, e Verna: con lui stabiliamo a monte le quantità e il prezzo. Il guaio è che i molini, davanti alla carenza di materia prima, hanno cercato la farina che c’era in Italia pagandola ovviamente molto di più, vista la domanda. Succede che i molini adesso cambiano i prezzi in corsa, e se proviamo a contestare rispondono che hanno altri clienti pronti a comprare al posto nostro.</p>
<p><strong>Rischiamo una moria dei piccoli forni, dopo la chiusura di migliaia di negozi nel mondo del commercio, rasi al suolo dalla pandemia e dagli scarsi supporti della politica?</strong><strong></strong></p>
<p>Sta già accadendo. Se pensa che un piccolo forno aveva in media 2-3.000 euro di corrente al mese e ora ne paga 6.000, e se la farina, che prima gli pesava per mille euro al mese, ora è minimo raddoppiata, capisce bene che è saltato del tutto il guadagno che riusciva a garantirsi per sostenere vita e lavoro.</p>
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<h2 id="h-altopascio-l-assessore-alessio-minicozzi-per-molti-panificatori-costi-insostenibili">Altopascio, l’assessore Alessio Minicozzi: “Per molti panificatori costi insostenibili”</h2>
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<p>Stessa regione, stesso rischio di chiusura dei piccoli, altra storia.</p>
<p>Storia di via Francigena mista a tradizione secolare del pane e turismo: <strong>Altopascio</strong>, 15.500 abitanti in provincia di Lucca, è considerata <strong>la capitale del pane toscano</strong>.</p>
<p><strong>Alessio Minicozzi</strong> è l’assessore alle Politiche turistiche e culturali del Comune e, prima di ribadirmi l’appello forte al Governo – condiviso con la sindaca <strong>Sara D’Ambrosio</strong> – di rivedere al ribasso le aliquote per le piccole e piccolissime attività commerciali della panificazione italiana, o di studiare apposite misure a sostegno, mi ricorda quanta storia mista a economia e società ci sia dietro questo mondo.</p>
<p>“Il <strong>pane di Altopascio</strong> è stato un simbolo dell’emigrazione verso il Nord Italia del Novecento. Ancora oggi è possibile trovare il nostro pane nei ristoranti milanesi, anche se negli ultimi decenni l’ascesa pericolosa del precotto ha messo in crisi questa economia del pane sano e di tradizione. Ora i rincari del grano stanno mettendo in serio pericolo la tenuta del sistema dei piccoli panificatori.”</p>
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<figure class="aligncenter size-large is-resized"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/07/pane-altopascio.jpeg"><img loading="lazy" decoding="async" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/07/pane-altopascio-1024x683.jpeg" alt="" class="wp-image-51304" width="840" height="560" /></a><figcaption>Filoni di pane di Altopascio.</figcaption></figure>
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<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>
<p>La <strong>deriva verso pani di scarsa qualità </strong>a prezzi ridotti, soprattutto nella piccola e grande distribuzione, è il pericolo che stiamo correndo, insieme alla scarsa cultura dei grani che caratterizza mediamente i consumi degli italiani. Quanti siano ancora i forni storici dentro il centro storico di Altopascio lo chiedo subito a Minicozzi: “Al momento ce ne sono rimasti due, il Giannotti e il Buon Pane; poi un alimentari storico che vendeva anche il pane di Altopascio ha appena chiuso dopo quasi quarant’anni, ma fortunatamente per pensionamento dei titolari. Molti di più invece sono i panificatori sempre artigianali e a conduzioni familiari, ma piccoli e piccolissimi: se per i due forni storici ovviamente è un po’ più semplice resistere in questa fase di crisi dei prezzi, anche grazie alla fama e stabilità acquistata negli anni, per gli altri è più dura. La difficoltà sta anche nel fatto che spesso questi micro-panificatori riforniscono le zone più distanti dal centro storico, e alla fine non fanno che aumentare costi su costi, ora di fatto insostenibili”.</p>
<p>Ad Altopascio è nata lo scorso anno la rete chiamata “<strong>Le vie del pane</strong>”, un modo per mettere a sistema il desiderio di non disperdere turismo, storie ed economie intercettando territori con pochi abitanti da Nord a Sud: giusto per fare qualche nome, Adria in Veneto, Bondeno in Emilia-Romagna, in Lombardia Castelletto Uzzone, Genzano vicino Roma, e Ozieri e Villaurbana, tutti e due in Sardegna.</p>
<p>“Io ho raccolto questo progetto dal precedente assessore <strong>Martina Cagliari</strong>, e dallo stesso sindaco che ancora oggi è in carica. <strong>Un modo per sostenere le produzioni locali del pane</strong>: sono però temi che <strong>interessano poco alla politica nazionale</strong>, e ancor di più in questa fase ce ne stiamo rendendo conto, di quanto sia utile lanciare un appello. Per territori così ridotti, nei quali si era investito sul pane anche in una logica di turismo lento, il rischio di far crollare tutto è dietro l’angolo. In questi mesi ho provato più volte ad allargare la rete contattando Comuni simili per dimensioni e tratti distintivi legati alla panificazione storica, ma la risposta più frequente è che stanno chiudendo. Uno dei casi più eclatanti qui in Toscana è quello di Montaione. I piccoli stanno chiedendo aiuto in nome di un reticolo che tocca economia, cultura e turismo.”</p>
<p>La storia di Altopascio affonda già nel Medioevo, quando ai pellegrini di passaggio verso i luoghi santi veniva offerto un tozzo di pane. Poi, pezzo dopo pezzo, si è creata la storia; ma in prospettiva, nemmeno troppo lontana, la storia potrebbe finire.</p>
<p><strong>Prendete e mangiatene tutti: ma solo se avete i soldi</strong>, tocca aggiungere.</p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/grano/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Grano</a></strong>.</em></p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>
<hr class="wp-block-separator has-text-color has-black-color has-css-opacity has-black-background-color has-background is-style-wide" />
<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>
<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>
<p class="has-text-align-center"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/sottoscrivi-sf/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Sottoscrivi SenzaFiltro</a></p>
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zolotti

Zolotti

Stefania Zolotti

Direttrice responsabile di SenzaFiltro e giornalista con il debole per le relazioni e le persone. Studiosa e appassionata di geografie umane e di paesi. Con la laurea in giurisprudenza non ha mai intrapreso le classiche strade: l&#8217;unico ufficio legale in cui ha lavorato è stato quello di Altroconsumo a Milano dal 2001 al 2003, con una parentesi nella sede di Bolzano grazie al patentino di bilinguismo tedesco. Dal 2002 Collabora come freelance con la rivista Business People e dal 2023 con Artribune dove racconta storie italiane di teatri di periferia. &#8220;Sentimenti precisi&#8221; è il nome del progetto con cui dal 2021 gira l&#8217;Italia tenendo laboratori contro i blocchi della scrittura: lo fa per aziende, associazioni, scuole, singole persone e gruppi. Dal 2008 al 2017 Responsabile Comunicazione e Segretaria di direzione per una grande azienda pubblica del settore ambiente dove ha sviluppato progetti di green marketing e di educazione sostenibile. Dal 2012 contribuisce a creare e coordinare progetti per la business community FiordiRisorse, che è anche l&#8217;Associazione editrice di SenzaFiltro. Autrice del libro &#8220;Ti fai male&#8221; (2020), romanzo generazionale scritto inizialmente come ghostwriter. Ha lavorato per 20 anni come giornalista nel campo del vino e del cibo collaborando con le principali testate nazionali e pubblicando due libri: &#8220;Vino a doppio senso. Guida ironica per uomini e donne&#8221; (Gabrio Marinelli Editore, 2006) e &#8220;Il Bicchiere mezzo pieno. Liberarsi dagli esperti è il primo passo per bere bene&#8221; (Le Lettere, 2020). L&#8217;ultimo libro, di cui è curatrice, è &#8220;Coaching, maneggiare con cura&#8221; di Carlo Bisi (Edizioni FiordiRisorse, 2023). &#8212; MAIL DI REDAZIONE: stefania.z@fiordirisorse.eu

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Crisi del grano: piccoli forni muoiono

Gli effetti del conflitto sulla panificazione: aumentano i costi del grano tenero e dell&#8217;energia. Così i piccoli forni italiani rischiano di chiudere. L&#8217;allarme lanciato dall&#8217;imprenditore Corrado Menchetti e da Alessio Minicozzi, assessore di Altopascio, la capitale toscana del pane.

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seven


<p>Con <strong>Corrado Menchetti</strong> riesco a parlarci grazie a un ufficio marketing intrepido che me lo fa chiamare pur essendo nel pieno della macchina organizzativa del Jova Beach Party. Il suo cognome, tra Toscana e Umbria, parla chiaro da tre generazioni: dal dopoguerra sfornano pane nel centro dell’Italia, a Cesa in Valdichiana, ma sia l’eco che i prodotti arrivano nei punti vendita e nei locali dislocati nelle due Regioni.</p>



<p>Con lui sì che si può parlare di <strong>Ucraina</strong>, di guerra e di rincari, perché la questione è tutta di <strong>grano tenero</strong>: quello che, a differenza del <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/prezzo-pasta-rincari/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">duro</a>, serve per panificazione e pasticceria e di cui i territori sotto conflitto sono tra i principali esportatori mondiali.</p>



<p>Il grano, trasformato in farina, diventa un 65% della materia prima originaria: questo è il primo dato che mi conferma. Altro dato è che molti <strong>allevatori</strong> sono andati a prendersi in misura massiccia il <strong>grano</strong> per <strong>darlo da mangiare al bestiame al posto dei mangimi</strong>: un insieme di numeri e paradossi che hanno fatto saltare ogni equilibrio nel mercato del pane.</p>



<p>Menchetti entra a gamba tesa sulla follia dei costi delle utenze: “In un mese normale in cui fatturo 600.000 euro di pane, ho <strong>oltre 50.000 euro di costi di corrente</strong>. <strong>Il metano?</strong> Ne pagavo 7.000, <strong>ora è più che triplicato</strong> e stiamo a 24.000 euro. La <strong>farina</strong> ci costava <strong>32/33 </strong>euro a quintale e adesso ne costa <strong>65/66</strong>. Sommando tutti i costi fissi in un mese medio, io su quei 600.000 euro di fatturato ho fatto i conti e ho <strong>140.000 euro di costi in più</strong>, circa il 23/24%”.</p>



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<figure class="aligncenter size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/07/foto-Corrado-scaled.jpg"><img width="768" height="1024" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/07/foto-Corrado-768x1024.jpg" alt="Corrado Menchetti, proprietario del panificio ominomo." class="wp-image-51303" /></a><figcaption>Corrado Menchetti, proprietario del panificio ominomo.</figcaption></figure></div>


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<p><strong>Quanto avete riversato sui clienti?</strong><strong></strong></p>



<p>Siamo stati costretti a rincarare, ma lo abbiamo fatto gradualmente, in tre stadi, per arrivare comunque a un massimo del +12%, che però è appena la metà dell’aumento dei costi che stiamo sostenendo. L’ultima cosa che vorremmo è gravare su di loro.</p>



<p><strong>Si tratterà di capire quanto sarete ancora capaci di incassare il colpo: che resistenza prevede?</strong><strong></strong></p>



<p>Non può durare a lungo, non possiamo permetterci di resistere ancora un anno e mezzo dato che i rincari sono iniziati da parecchio tempo: perdere ogni mese almeno il 30% è insostenibile. Noi non siamo solo produttori di pane: gestiamo punti vendita e locali, ma anche produzione di surgelati, ed è solo grazie a questi ultimi due comparti che stiamo riuscendo a sostenere i costi assurdi della panificazione, che ora è totalmente in perdita. Comunque da noi si mangia un primo a tavola ancora con sei euro e mezzo, stiamo facendo di tutto per tenere gli argini e non spaventare i clienti.</p>



<p><strong>Ripercorriamo l’aumento dei costi per le materie prime.</strong><strong></strong></p>



<p>Siamo in ascesa da almeno un anno, anche se nessuno lo dice. L’energia elettrica, e di conseguenza il gas, avevano avuto i primi picchi già a luglio 2021 per degenerare a dicembre/gennaio. La guerra ha fatto il resto, ma eravamo già in difficoltà, e il prossimo autunno sarà drammatico. Lì vedremo davvero che faccia avrà la crisi.</p>



<p><strong>Qual è il momento dell’anno in cui si fanno i contratti?</strong><strong></strong></p>



<p>Solitamente è proprio questo, tra giugno e luglio. Noi ci riforniamo a Rigomagno, dal Molino Parri, che è il nostro riferimento per la farina del pane DOP, e Verna: con lui stabiliamo a monte le quantità e il prezzo. Il guaio è che i molini, davanti alla carenza di materia prima, hanno cercato la farina che c’era in Italia pagandola ovviamente molto di più, vista la domanda. Succede che i molini adesso cambiano i prezzi in corsa, e se proviamo a contestare rispondono che hanno altri clienti pronti a comprare al posto nostro.</p>



<p><strong>Rischiamo una moria dei piccoli forni, dopo la chiusura di migliaia di negozi nel mondo del commercio, rasi al suolo dalla pandemia e dagli scarsi supporti della politica?</strong><strong></strong></p>



<p>Sta già accadendo. Se pensa che un piccolo forno aveva in media 2-3.000 euro di corrente al mese e ora ne paga 6.000, e se la farina, che prima gli pesava per mille euro al mese, ora è minimo raddoppiata, capisce bene che è saltato del tutto il guadagno che riusciva a garantirsi per sostenere vita e lavoro.</p>



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<h2 id="h-altopascio-l-assessore-alessio-minicozzi-per-molti-panificatori-costi-insostenibili">Altopascio, l’assessore Alessio Minicozzi: “Per molti panificatori costi insostenibili”</h2>



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<p>Stessa regione, stesso rischio di chiusura dei piccoli, altra storia.</p>



<p>Storia di via Francigena mista a tradizione secolare del pane e turismo: <strong>Altopascio</strong>, 15.500 abitanti in provincia di Lucca, è considerata <strong>la capitale del pane toscano</strong>.</p>



<p><strong>Alessio Minicozzi</strong> è l’assessore alle Politiche turistiche e culturali del Comune e, prima di ribadirmi l’appello forte al Governo – condiviso con la sindaca <strong>Sara D’Ambrosio</strong> – di rivedere al ribasso le aliquote per le piccole e piccolissime attività commerciali della panificazione italiana, o di studiare apposite misure a sostegno, mi ricorda quanta storia mista a economia e società ci sia dietro questo mondo.</p>



<p>“Il <strong>pane di Altopascio</strong> è stato un simbolo dell’emigrazione verso il Nord Italia del Novecento. Ancora oggi è possibile trovare il nostro pane nei ristoranti milanesi, anche se negli ultimi decenni l’ascesa pericolosa del precotto ha messo in crisi questa economia del pane sano e di tradizione. Ora i rincari del grano stanno mettendo in serio pericolo la tenuta del sistema dei piccoli panificatori.”</p>



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<figure class="aligncenter size-large is-resized"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/07/pane-altopascio.jpeg"><img src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/07/pane-altopascio-1024x683.jpeg" alt="" class="wp-image-51304" width="840" height="560" /></a><figcaption>Filoni di pane di Altopascio.</figcaption></figure></div>


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<p>La <strong>deriva verso pani di scarsa qualità </strong>a prezzi ridotti, soprattutto nella piccola e grande distribuzione, è il pericolo che stiamo correndo, insieme alla scarsa cultura dei grani che caratterizza mediamente i consumi degli italiani. Quanti siano ancora i forni storici dentro il centro storico di Altopascio lo chiedo subito a Minicozzi: “Al momento ce ne sono rimasti due, il Giannotti e il Buon Pane; poi un alimentari storico che vendeva anche il pane di Altopascio ha appena chiuso dopo quasi quarant’anni, ma fortunatamente per pensionamento dei titolari. Molti di più invece sono i panificatori sempre artigianali e a conduzioni familiari, ma piccoli e piccolissimi: se per i due forni storici ovviamente è un po’ più semplice resistere in questa fase di crisi dei prezzi, anche grazie alla fama e stabilità acquistata negli anni, per gli altri è più dura. La difficoltà sta anche nel fatto che spesso questi micro-panificatori riforniscono le zone più distanti dal centro storico, e alla fine non fanno che aumentare costi su costi, ora di fatto insostenibili”.</p>



<p>Ad Altopascio è nata lo scorso anno la rete chiamata “<strong>Le vie del pane</strong>”, un modo per mettere a sistema il desiderio di non disperdere turismo, storie ed economie intercettando territori con pochi abitanti da Nord a Sud: giusto per fare qualche nome, Adria in Veneto, Bondeno in Emilia-Romagna, in Lombardia Castelletto Uzzone, Genzano vicino Roma, e Ozieri e Villaurbana, tutti e due in Sardegna.</p>



<p>“Io ho raccolto questo progetto dal precedente assessore <strong>Martina Cagliari</strong>, e dallo stesso sindaco che ancora oggi è in carica. <strong>Un modo per sostenere le produzioni locali del pane</strong>: sono però temi che <strong>interessano poco alla politica nazionale</strong>, e ancor di più in questa fase ce ne stiamo rendendo conto, di quanto sia utile lanciare un appello. Per territori così ridotti, nei quali si era investito sul pane anche in una logica di turismo lento, il rischio di far crollare tutto è dietro l’angolo. In questi mesi ho provato più volte ad allargare la rete contattando Comuni simili per dimensioni e tratti distintivi legati alla panificazione storica, ma la risposta più frequente è che stanno chiudendo. Uno dei casi più eclatanti qui in Toscana è quello di Montaione. I piccoli stanno chiedendo aiuto in nome di un reticolo che tocca economia, cultura e turismo.”</p>



<p>La storia di Altopascio affonda già nel Medioevo, quando ai pellegrini di passaggio verso i luoghi santi veniva offerto un tozzo di pane. Poi, pezzo dopo pezzo, si è creata la storia; ma in prospettiva, nemmeno troppo lontana, la storia potrebbe finire.</p>



<p><strong>Prendete e mangiatene tutti: ma solo se avete i soldi</strong>, tocca aggiungere.</p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/grano/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Grano</a></strong>.</em></p>



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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>



<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>



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<p>Staccare lentamente la spina, ridurre il problema fino a renderlo ininfluente. Vien da analizzarla così la sorte degli stoici <strong>navigator</strong> ancora attivi, rimasti in trincea a difesa del fortino dopo l’ultima proroga. Già, perché se da un lato il decreto Aiuti ha previsto a livello nazionale una continuazione per due mesi – giugno e luglio – dall’altro ha lasciato <strong>libero arbitrio alle Regioni</strong> rispetto alla possibilità di concedere <strong>un’ulteriore proroga di tre mesi</strong>, con richiesta ufficiale da depositare entro lo scorso 23 giugno.</p>



<p>Risultato? <strong>Ben cinque giunte regionali hanno deciso di non proseguire l’avventura</strong> fino al prossimo 31 ottobre, <strong>appiedando più di cinquecento lavoratori</strong>, che rimarranno senza contratto a partire dal primo agosto. E recidendo, de facto, l’opportunità di fornire ulteriore assistenza tecnica ai centri per l’impiego in un momento storico di totale affanno per le politiche attive. Scelta opinabile quella di <strong>Piemonte</strong>, <strong>Lombardia</strong>, <strong>Campania</strong>, <strong>Umbria</strong> e <strong>Veneto</strong>, anche perché le risorse economiche dell’operazione sono a totale carico dello Stato.</p>



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<h2 id="h-navigator-il-veneto-rifiuta-le-proroghe-anche-se-paga-lo-stato-l-assessora-donazzan-presa-in-giro-verso-persone-e-istituzioni">Navigator, il Veneto rifiuta le proroghe anche se paga lo Stato. L’assessora Donazzan: “Presa in giro verso persone e istituzioni”</h2>



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<p>Il numero complessivo dei navigator in forza è quindi destinato a diminuire di oltre un terzo, lasciando sul campo un manipolo di appena mille reduci. Interessante, in proposito, è il caso del <strong>Veneto</strong>, dove la comunicazione è arrivata dopo un’<strong>insistita azione sindacale</strong> condotta dalla segretaria generale UILTemp Veneto <strong>Maria Iorfida</strong>.</p>



<p>Contattata di persona, mi ha confidato di aver bussato più volte alla porta degli uffici regionali al fine di ottenere un incontro con l’assessora all’Istruzione, Formazione e Lavoro <strong>Elena Donazzan</strong>, per discutere sui contenuti dell’operazione. L’obiettivo era ottenere una proroga utile per continuare a credere nella stabilizzazione di un gruppo di lavoratori formati e, come già raccontato <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/11-600-nuovi-navigator-serviranno-ecco-cosa-dice-il-report-di-categoria/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">qui</a> un anno fa, senza dubbio competenti.</p>



<p>Per tutta risposta la Iorfida ha raccolto un <strong>diniego</strong> inequivocabile. Così, con l’avvicinarsi della scadenza, lo scorso 15 giugno è arrivata la decisione di <strong>scrivere ufficialmente in Regione</strong>, di comune accordo con le altre sigle, FeLSA CISL Veneto e NIdiL CGIL Veneto. “Il mio dovere è garantire un riscontro a tutti i lavoratori e di spiegare con trasparenza le decisioni assunte rispetto al loro futuro professionale. Difficile, però, se nessuno si siede al tavolo”.</p>



<p>La svolta, finalmente, arriva tredici giorni dopo, con l’agognato <strong>feedback</strong> protocollato da Regione Veneto, firmato da Elena Donazzan e inviato all’attenzione di UILTemp Veneto. Apriti cielo, visto che la nota dichiara la volontà di <strong>stoppare i contratti</strong> perché “un’ulteriore proroga rappresenterebbe unicamente la prosecuzione di uno stato di precarietà lesiva della dignità dei lavoratori”. Interpretazione immediata: <strong>ti lascio a casa ma lo faccio per te</strong>.</p>



<p>“Una lettera scritta soppesando ogni parola”, mi spiega al telefono la stessa assessora Donazzan. “Da sempre ribadisco che <strong>non avrei accettato altre proroghe</strong>. Un prolungamento di ulteriori tre mesi ha il sapore di una presa in giro verso persone e istituzioni”. <strong>Sicura che l’appartenenza politica non c’entri?</strong> “<strong>Non è una questione di partito</strong>, al contrario del Reddito di Cittadinanza, legge sbagliata e fallimentare in termini di risultati rispetto ai principi attesi”.</p>



<p>Opinioni. Un fatto, invece, è il <strong>nuovo concorso bandito in settimana</strong> per gli operatori del mercato del lavoro. “Se i navigator hanno già competenze specifiche saranno di certo avvantaggiati nella selezione. <strong>Senza corsie preferenziali</strong>”, conclude l’assessora. Dimenticando, però, che questi iter richiedono tempi non immediati, mentre nel frattempo i lavoratori salutano e con loro tutta l’attività ancora in corso, tra cui la mappatura delle realtà organizzative e soprattutto i rapporti con i percettori del Reddito.</p>



<p>Un vero peccato, a maggior ragione perché in Veneto – <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/navigator-in-veneto-ottimi-risultati-nonostante-lostracismo-della-politica/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">lo scri</a><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/navigator-in-veneto-ottimi-risultati-nonostante-lostracismo-della-politica/">vevo</a> alla fine del 2021 – nonostante una campagna politica demonizzante ha sempre prevalso lo spirito collaborativo tra navigator e centri per l’impiego. “<strong>Dove c’è cooperazione le cose funzionano</strong>”, <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/crisi-occupazionale-in-veneto-navigator-efficaci-o-inutili/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">raccontavano</a> sempre nel 2021 gli stessi operatori.</p>



<p>Non ne dubito, così come non dubito che si sta perdendo un’opportunità. Ancora una volta.</p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/navigator/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Navigator</a></strong>.</em></p>



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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>



<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>



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<p><em>Photo credits: ilgiornaledivicenza.it</em></p>


Veneto, basta navigator. Ma senza alternative

<p>“Quello che il consumatore non sa è che <strong>la crisi del grano è iniziata un anno fa</strong>, <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/prezzo-grano-guerra/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">tra luglio e agosto</a>, e la guerra sta solo aggravando la situazione. Parliamo di <strong>grano duro per la pasta</strong>, la distinzione va fatta sempre, e il Canada, che è uno dei produttori mondiali di riferimento, in quel periodo subì il primo drastico calo di produzione per diversi milioni di tonnellate a causa della siccità: quando si registrano simili carenze a livello internazionale, la ricaduta è a cascata ed è valso anche per l’approvvigionamento nazionale dell’Italia. Il mercato del grano è ormai un mercato globale, anche se un messaggio come questo non passa sempre in modo chiaro e univoco perché si confondono i piani senza avere il quadro generale di riferimento. Sebbene molte aziende utilizzino al 100% grani italiani, tra cui anche noi, è inevitabile che quando c’è penuria di grano a livello internazionale anche quel grano italiano viene richiesto all’estero, ed essendo la materia prima unica il costo sale. <strong>In Italia non c’è stata minore produzione, in Canada sì</strong>. La materia prima ormai è quotata a livello mondiale, questo è il concetto”.</p>
<p>La lunga <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/grano/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">inchiesta di <em>SenzaFiltro</em></a> sui <strong>rincari del grano</strong> offre la voce anche a chi il grano duro lo lavora nei propri <strong>pastifici</strong>, per farci spiegare come si forma il prezzo, chi e cosa incide, cosa non ci viene detto rispetto alla grande scusa della guerra in Ucraina: a parlare è <strong>Marcello Pennazzi</strong>, amministratore delegato del pastificio Luciana Mosconi, un marchio nato piccolo nelle Marche ma capace di scalare la ribalta nazionale.</p>
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<figure class="aligncenter size-large is-resized"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/07/Luciana-Mosconi_AD-Marcello-Pennazzi-scaled.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/07/Luciana-Mosconi_AD-Marcello-Pennazzi-683x1024.jpg" alt="" class="wp-image-51276" width="342" height="512" /></a><figcaption>Marcello Pennazzi, amministratore delegato del pastificio marchigiano Luciana Mosconi.</figcaption></figure>
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<h2 id="h-marcello-pennazzi-ad-pastificio-luciana-mosconi-da-settembre-dovremo-fare-i-conti-con-la-crisi">Marcello Pennazzi, AD pastificio Luciana Mosconi: “Da settembre dovremo fare i conti con la crisi”</h2>
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<p>“Già tra agosto e settembre 2021 gli aumenti sul costo della materia prima erano stati pari al 100% ma a livello di consumo e di costi finali l’effetto è arrivato a inizio primavera 2022, proprio in coincidenza con lo scoppio della guerra in Ucraina.</p>
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<p><strong>Come mai l’onda arriva così lunga?</strong><strong></strong></p>
<p>Intanto, essendo aumentati i costi dei grani già un anno fa, magari i grandi player e i mulini avevano qualcosa stoccato in riserva, e comunque c’erano accordi contrattuali e commerciali su prezzi pattuiti e stabiliti, per quanto poi certamente un po’ rivisti alla luce dei fatti di attualità. Nell’agroalimentare, ad ogni modo, il momento inflativo si riversa con grande ritardo sul consumo finale, e questo lo dico a nome della nostra piccola azienda e di chi come noi occupa il settore dei piccoli-medi produttori; magari se una grande azienda decide di aumentare i propri listini riesce a farlo in modo più repentino rispetto a noi che dobbiamo mediare in modo diverso col distributore. L’onda arriva lunga, quindi, sia per i tempi tecnici del valore inflativo, sia soprattutto perché il mondo della grande distribuzione spesso non vuole o non è in grado di riversare l’aumento sul consumatore, proprio come accade per i produttori; chi mette la faccia davanti al consumatore proprio in virtù di questo patto di fiducia fa di tutto inizialmente per ammortizzare i maggiori costi. Lungo questa filiera del grano, però, c’è un terzo soggetto che è il più rilevante: il produttore di materia prima. Lui è l’unico che riesce a rivedere il prezzo in tempo quasi reale, o comunque nel modo più veloce rispetto agli altri soggetti della catena.</p>
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<p><em>Sul grano il mondo dell’informazione ha detto tanto, forse troppo negli ultimi mesi, senza però mai spiegare in trasparenza le logiche reali. Complici poi, nemmeno a dirlo, anche le sedicenti notizie spesso strumentalizzate sui social, dove la corsa veloce verso il trend del giorno crea un corto circuito altamente pericoloso. Ricorderete il caso Divella poco dopo l’inizio della guerra in Ucraina, con la polemica sul “100% grano italiano” in etichetta sulla confezione di pasta e le dichiarazioni di Vincenzo Divella apparse su Repubblica accanto a quella immagine di un pacco di pasta integrale: “Il nostro grano è bloccato in Russia, possibili aumenti di prezzo”. In quel caso il grano stoccato in Russia non era affatto quello duro funzionale alla confezione di pasta ritratta nell’articolo, bensì grano tenero necessario alla produzione di farine da panificazione e pasticceria. Una disinformazione a mezzo social e giornali che, mai come nel caso del grano e della pasta, punta ancor di più alla pancia dei lettori.</em><em></em></p>
<p><em>Torniamo ai rincari e a che cosa si può intravedere nel medio periodo.</em></p>
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<p><strong>Chi vede il settore da dietro le quinte come voi che strategie può mettere in atto fin da ora per i prossimi mesi, diciamo fino a fine anno?</strong></p>
<p>Noi prendiamo il grano da storici player nazionali che hanno esperienza e lungimiranza: tutti mi hanno detto che non hanno mai visto una cosa del genere da quarant’anni a questa parte. L’incertezza è massima, per tutti e a tutti i livelli. Chi fa pasta come noi deve navigare a vista e resistere ancora: in corso c’è anche una inevitabile quota speculativa che in un lasso di tempo mediamente gestibile vedremo che piega prenderà. Penso cioè al fatto che al massimo tra un mese, un mese e mezzo, avremo il nuovo raccolto, e quella fase sarà decisiva per il prossimo futuro. Più complicata, per noi produttori, sarà invece la gestione dei costi fissi in termini energetici. La nostra prima bolletta 2022 è arrivata moltiplicata per cinque rispetto agli altri anni. Dirò una cosa impopolare, ma noi produttori, a differenza dei cittadini, non abbiamo alcun margine di risparmio, non possiamo spegnere il riscaldamento e fare qualche legittimo sacrificio per abbattere i costi: dobbiamo far lavorare sempre le macchine, tenere accesi gli essiccatoi o i forni ventiquattro ore su ventiquattro. Per concludere, da qui al prossimo anno o anno e mezzo le aziende solide e patrimonializzate come la nostra per fortuna resisteranno; avremo di sicuro margini molto ridotti, ma piano piano cercheremo tutti di riposizionarci e la pasta avrà i suoi piccoli, inevitabili aumenti di prezzo, perché un po’ di inflazione arriverà fin lì, nonostante gli sforzi. Quel che è certo, e che già registriamo da dentro, è una contrazione dei consumi, ma l’estate e il bisogno di leggerezza non ci fanno cogliere fino in fondo la crisi in corso; da settembre bisognerà fare i conti con tutt’altro rigore, e i bilanci 2022 di fine anno soffriranno moltissimo, sia dentro le famiglie che dentro le imprese.</p>
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<h2 id="h-come-si-fa-il-prezzo-della-pasta-lungo-la-filiera-marina-mastromauro-ad-granoro-il-prezzo-del-grano-si-fa-a-chicago-quello-dell-energia-ad-amsterdam">Come si fa il prezzo della pasta lungo la filiera. Marina Mastromauro, AD Granoro: “Il prezzo del grano si fa a Chicago, quello dell’energia ad Amsterdam”</h2>
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<p><strong>Marina Mastromauro</strong> è l’amministratrice delegata di Granoro; ci siamo spostati a Sud, in provincia di Bari. La prima cosa che ci dice conferma in pieno che il rincaro non ha niente a che vedere con la guerra in corso e che gli aumenti si erano iniziati a far vedere già un anno fa, causa siccità fortissima oltreoceano.</p>
<p>“Proprio in questo periodo il mercato mondiale del grano è in fibrillazione perché <strong>si aspetta il</strong> <strong>raccolto di settembre per Canada e Stati Uniti</strong>, i due mercati di riferimento. È da lì che ogni anno si tirano le somme e si fanno previsioni, oltre che quotazioni, calibrando offerta e domanda. In questa fase di attesa si fanno i conti con la nostra produzione interna dove, almeno in alcuni areali pugliesi, si registra un calo della resa per ettaro: siamo intorno ai 20, 25 quintali per ettaro, media che solitamente per un grano di qualità è intorno ai 40, 50. Aspettiamo quindi di capire che cosa diranno le borse mondiali a settembre, soprattutto quella di Chicago.</p>
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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/07/immagine_2022-07-07_093603.png"><img loading="lazy" decoding="async" width="768" height="548" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/07/immagine_2022-07-07_093603.png" alt="" class="wp-image-51285" /></a><figcaption>Marina Mastromauro, amministratrice delegata del pastificio Granoro.</figcaption></figure>
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<p><strong>Quanto pesa la geografia italiana in un momento come questo per i produttori di pasta?</strong><strong></strong></p>
<p>Pesa poco, perché essenzialmente in Italia si usa grano italiano per il 60-70% della produzione, e il 30% è quella famosa quantità che prendiamo dall’estero perché non copriamo l’intera produzione interna. Ricordo che l’Italia produce anche per una quota di mercato estero non da poco. Diciamo che in Europa si raccoglie un po’ di grano duro in Francia, in Spagna, in Turchia, ma per lo più – a copertura di circa un 50% italiano – arriva da Puglia e Sicilia.</p>
<p><strong>Come ne risente invece, in termini di prezzo, la vostra linea dedicata che utilizza solo grani pugliesi?</strong></p>
<p>Ci si illude che il grano di filiera abbia un prezzo fissato in rapporto al solo mercato locale, ma non è affatto così. La filiera è una formula che da un lato garantisce l’acquirente (cioè il pastificio) per una quantità di grano prodotta con parametri chiari, stabiliti in base alle proprie esigenze di pastificazione; dall’altro è un vantaggio per l’agricoltore, perché lo mette tranquillo sul fatto che tutto quello che produrrà avrà un acquirente finale certo, e che non sta lì a mercanteggiare. Ma il grano di filiera in ogni caso risente delle quotazioni delle borse nazionali e mondiali e il suo prezzo base di riferimento si fa là, non sul territorio locale. Vero è, però, che poi col grano di filiera scattano invece le premialità legate ad esempio al colore, alle proteine o alla qualità del glutine, ma è una valutazione che arriva dopo. Il fatto di cui si parla poco è che quando si arriva sui mercati mondiali, qualsiasi sia il prodotto, tutto acquisisce anche un valore speculativo. In energia mica sono cambiati i contratti con Putin, eppure ce la stanno facendo pagare di più perché si sa che i mercati vanno in tensione e da Amsterdam i grandi broker decidono per un continente intero, ma loro quell’energia l’hanno accumulata e pagata con costi di tutt’altro tenore. C’è ancora troppo non detto quando si parla di grano, e invece gli italiani dovrebbero sapere quello che succede dietro la pasta che comprano.</p>
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<p>Il <strong>prezzo del gas in Europa</strong> si decide in territorio olandese perché ad <strong>Amsterdam</strong> ha sede l’ICE Endex, che gestisce lo scambio dei contratti – i futures<em> </em><em>– </em>all’interno del Title Transfer Facility (TTF): una sorta di punto di scambio virtuale del gas che funge da hub per tutta l’Europa continentale e che rende l’idea di quanta distanza ci sia tra la fame e il dato, tra la vita in carne e ossa e la speculazione mai sazia.</p>
<p>Chi continua a collegare guerra e rincari del grano non vuole bene a questo Paese, né all’informazione trasparente a cui avremmo diritto da cittadini e da consumatori.</p>
<p>Non dovremmo più mangiare bugie.</p>
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<p><em>Photo credits: gea.com</em></p>


#agroalimentare

#agroalimentare Archivi

#agroalimentare - Informazione senza filtro

SenzaFiltro intervista gli AD di due aziende produttrici di pasta, Marcello Pennazzi del pastificio Luciana Mosconi e Marina Mastromauro di Granoro. Analizziamo le previsioni di mercato e gli aumenti sul prezzo del prodotto finale: le prospettive da settembre in poi si fanno sempre più cupe.

Il prezzo della pasta lo fanno Canada e Stati Uniti, altro che guerra e rincari - Informazione senza filtro

https://backend.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/07/immagine_2022-07-07_092719.png


<p>A partire da metà luglio inizierà l&#8217;iter per l&#8217;approvazione di una ulteriore modifica al Reddito di Cittadinanza. Si tratta di un emendamento al DL Aiuti approvato alla Camera che permetterà alle imprese private di proporre&nbsp;<strong>offerte di lavoro</strong>&nbsp;ai titolari di&nbsp;Reddito di Cittadinanza che hanno sottoscritto il Patto per l&#8217;Impiego anche senza passare dai Centri. In questo modo anche l&#8217;offerta privata rientrerà nel computo delle offerte congrue di lavoro dopo le quali, al terzo rifiuto, scatta la revoca del sussidio.<br><br>L&#8217;iter prevede la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Aiuti convertito in legge, prevista&nbsp;per metà luglio; poi entro 60 giorni sarà emanato un decreto ministeriale attuativo con le istruzioni per la comunicazione e la verifica del rifiuto dell’offerta di lavoro da privati.</p>



<p>Siamo nuovamente di fronte ad un approccio &#8220;punitivo&#8221; nell&#8217;incapacità, da parte dei responsabili preposti alla gestione delle politiche attive del lavoro, di venire a capo di una situazione in cui i dati e l&#8217;evidenza hanno ceduto il passo alle narrazioni degli imprenditori ospitati anche dai giornali principali, condizionando l&#8217;opinione pubblica e il Governo stesso.</p>



<p></p>



<h2 id="h-ci-sono-piu-segnalazioni-da-parte-dei-candidati-che-da-parte-degli-imprenditori">Ci sono più segnalazioni da parte dei candidati, che da parte degli imprenditori</h2>



<p>Non sono servite dunque le testimonianze di centinaia di giovani in merito a colloqui in cui si propongono stipendi indecenti a fronte di orari di lavoro e mansioni insostenibili. <br>Le segnalazioni non mancano: scalpore ha fatto <a href="https://www.facebook.com/watch/?ref=saved&amp;v=3358900251062537">il video pubblicato su Tik Tok da Francesca</a>, la giovane ragazza che ha mostrato la conversazione con la titolare di un negozio di abbigliamento in un centro commerciale, o <a href="https://www.facebook.com/watch/?v=1415870592194752">i finti colloqui di lavoro</a> a cui si è prestata un&#8217;inviata di Zona Bianca.</p>



<p>Anziché aprire indagini e controlli sulle tante attività &#8220;dubbie&#8221; segnalate anche in modalità non propriamente ufficiale, si preferisce riproporre un nuovo iter per rendere ancora più complessa una riforma che incide in minima parte (ricordiamo che i percettori di reddito sono circa due milioni e di questi, circa la metà &#8220;inoccupabili&#8221;) sul tema della disoccupazione e della mancanza di personale professionale.</p>



<p>In questo modo non solo si ammette ufficialmente e definitivamente l&#8217;inefficacia dei Centri per l&#8217;impiego (che, ricordiamo, grazie alle pressioni di Confindustria sul Governo hanno ottenuto 600 milioni di euro per il potenziamento attraverso i fondi del PNRR), ma ancora una volta siamo di fronte ad un travaso di responsabilità dal pubblico al privato.</p>



<p></p>



<h2 id="h-si-agevolano-i-titolari-d-impresa-ma-intanto-di-offerte-ufficiali-non-se-ne-vedono">Si agevolano i titolari d&#8217;impresa, ma intanto di offerte ufficiali non se ne vedono</h2>



<p>Non resta dunque che attendere il decreto per capire in che modo i datori di lavoro potranno segnalare  quei percettori di reddito di cittadinanza che rifiutano <a href="https://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/normative/Documents/2018/DM-42-del-10042018-offerta-congrua.pdf">un&#8217;offerta congrua</a> (ovvero: se<strong>&nbsp;entro 80 chilometri</strong>&nbsp;dalla residenza mentre, a partire dalla seconda, a patto che sia&nbsp;<strong>a tempo indeterminato</strong>, non c’è più<strong>&nbsp;alcun limite di distanza</strong>. Per quanto riguarda il compenso, lo stipendio deve superare di almeno il 10% il Rdc massimo erogabile a un single compresa la componente affitto (<strong>858 euro</strong>) ma la cifra può essere “<strong>ri-proporzionata in base all’orario di lavoro</strong>&nbsp;previsto nel contratto”. Per chi si vede proporre un&nbsp;<strong>part time al 60%</strong>&nbsp;sarà quindi congruo, in teoria, anche un compenso di circa&nbsp;<strong>500 euro</strong>).</p>



<p>I dubbi non sono infondati se consideriamo che le offerte &#8220;ufficiali&#8221; sono pressoché nulle a fronte di quotidiane lamentele e dichiarazioni di titolari e imprenditori sui social e ai giornali, con la scusa che i Centri per l&#8217;Impiego non funzionano. </p>



<p>Addirittura c&#8217;è chi dichiara di &#8220;<strong>non essere mai stato contattato da un Centro per l&#8217;Impiego</strong>&#8220;, come se questo fosse una sorta di centralino, ignorando &#8211; o facendo finta di ignorare &#8211; che <strong>sta all&#8217;imprenditore chiamare il CpI e richiedere le liste a fronte di una richiesta dettagliata</strong> anche delle condizioni contrattuali. E forse il problema è esattamente &#8220;il dettaglio&#8221;.</p>



<p></p>



<h2 id="h-l-emblematico-caso-di-rimini">L&#8217;emblematico caso di Rimini</h2>



<p>Per non parlare delle piattaforme provinciali dove anche qui, a fronte di centinaia di lamentele, non si ha riscontro di altrettante offerte di lavoro. <strong>Emblematico il caso di Rimini </strong>dove Associazioni Turistiche e imprenditori si stracciano le vesti minacciando chiusure, ma sulla piattaforma della provincia dedicata alle offerte di lavoro c&#8217;è un situazione imbarazzante: <strong>Mirco Botteghi, sindacalista del luogo</strong>, ha mappato le richieste di questa settimana: 0 cuochi, 2 camerieri sala, 1 barista, 7 cameriere ai piani, 1 bagnino di salvataggio. <a href="https://tinyurl.com/5msy6hrt">Provare per credere</a> <a href="https://www.facebook.com/photo/?fbid=1724627094583210&amp;set=pcb.1724630247916228&amp;__cft__[0]=AZVfb16zYJA0qtEdjEHxBkYWaKArX-VDlphYP06ppmilAovUu_pIO9ZCALH82XT8D0_0390zqhwOKw8j8r_osF0bZsj_eJR-KI9vLPRVa-IRjZU6a7F2KPkyQfvDYEYrBug&amp;__tn__=H-R"></a></p>



<p>Vedremo dunque quale magia nasconderà il nuovo decreto. Rimane aperta la domanda di sempre: come sia possibile che titolari di attività commerciali e imprenditori cerchino personale specializzato unicamente fra i percettori di reddito di cittadinanza. </p>



<p>È un accanimento ideologico?</p>



<p></p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>



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Il Reddito di Cittadinanza cambia ancora

Osservatorio crisi aziendali: vi teniamo d&#8217;occhio

<p>La situazione è seria, ma non drammatica: per intenderci, <strong>l’Italia non rischia di esaurire le scorte di grano</strong>; pasta e pane non mancheranno dagli scaffali dei nostri negozi, almeno per i prossimi mesi. A preoccupare gli operatori del settore, più che altro, è <strong>l’imponderabilità di quanto accadrà nel medio-lungo termine</strong> e, di conseguenza, l’impossibilità di mettere in atto azioni e strategie efficaci per tutelare la filiera cerealicola. Perché i problemi, inutile negarlo, esistono e sono sia a monte, cioè in fase di produzione per il rincaro dei costi energetici e dei concimi, che a valle, ossia per i consumatori, che negli ultimi mesi hanno visto crescere il costo di pane e pasta, base della dieta mediterranea.</p>
<p><strong>L’Italia</strong>, è bene dirlo subito, <strong>non è autosufficiente</strong> per quel che riguarda la <strong>produzione di grano</strong>, tanto da essere costretta a <strong>importarne il 50%</strong>, soprattutto da Canada e Paesi del centro Europa, in particolare dall’Ungheria. A pesare sulla nostra filiera non sono quindi la guerra in Ucraina, Paese dal quale acquistiamo solo il 7% del grano che consumiamo, o le conseguenti difficoltà della Russia, che non figura tra i fornitori dell’Italia. Piuttosto, sono il <strong>rincaro dell’energia</strong> e le <strong>dimensioni di un mercato</strong>, il nostro, che conta poco meno dell’1% della produzione mondiale, e che quindi, quando si tratta di far pesare i propri interessi a livello globale, fa la parte del vaso di coccio tra quelli di ferro.</p>
<p>Ma qual è la situazione a questo punto dell’estate, a campagna di trebbiatura ormai terminata?</p>
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<h2 id="h-l-italia-del-grano-nel-2022-ce-n-e-di-meno-ma-di-migliore-qualita">L’Italia del grano: nel 2022 ce n’è di meno, ma di migliore qualità</h2>
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<p>“Registriamo un <strong>calo medio della resa del 15%</strong>, con punte del <strong>30%</strong> in alcune zone”, spiega <strong>Valerio Filetti</strong>, presidente della Borsa Merci di Bologna, una delle maggiori piazze di contrattazione del nostro Paese. Un disastro per i produttori, si potrebbe pensare. Invece, fortunatamente, non è così. Sia perché la percentuale proteica del grano è molto più alta del normale (e, poiché indice proteico e qualità del frumento sono direttamente proporzionali, questo è un fattore di fondamentale importanza per la nostra filiera), sia perché <strong>le quotazioni stanno crescendo</strong> in modo esponenziale, permettendo ai produttori di compensare i rincari di energia e materie prime e garantendo quindi un buon guadagno.</p>
<p>“In termini di tonnellate trebbiate per ettaro, quest’anno c’è una resa più bassa rispetto all’anno scorso, un calo dovuto in parte alla <strong>siccità</strong>”, continua Filetti. “Bisogna dire che 2021 e 2020 sono stati anni particolarmente positivi da questo punto di vista, e che quindi la contrazione di quest’anno, che potrebbe essere di 15-20% rispetto all’ultima trebbiatura, riportata alla media di annate normali si aggira intorno al 10%. Abbiamo però una <strong>percentuale di proteine più alta</strong> dello standard, ed è una cosa positiva, perché le proteine sono quelle che danno, sul grano duro, il glutine per la tenuta in cottura della pasta, e sul tenero la forza per la panificazione e la pasticceria”.</p>
<p>Una fotografia confermata anche dai <strong>produttori</strong>. “Noi – dice <strong>Alessandro Zucchi</strong>, agronomo dei Molini Pivetti, un’azienda del ferrarese che produce e lavora grani pregiati – coltiviamo e trasformiamo grano tenero e registriamo un calo produttivo che va dal 15 al 40% a seconda delle zone. In termini di tonnellate, se normalmente ne realizziamo 7 per ettaro, quest’anno andiamo dalle 5,5 alle 6,2, una contrazione dovuta prevalentemente alle alte temperature. Tuttavia <strong>qualitativamente</strong> <strong>il grano non è male</strong>, sebbene le aziende agricole siano in difficoltà per <strong>l’aumento dei costi del gasolio</strong>, che è più che raddoppiato, e di quello dell’<strong>energia</strong> e dei concimi (gli antiparassitari sono cresciuti circa del 15%)”.</p>
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<h2 id="h-perche-non-rischiamo-una-carenza-di-cereali">Perché non rischiamo una carenza di cereali</h2>
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<p>Le difficoltà interessano tutti i comparti della filiera.</p>
<p>“Per quel che riguarda la <strong>commercializzazione</strong> – dice <strong>Massimo Masetti</strong>, direttore del Consorzio agrario di Ravenna, che segue ritiro, stoccaggio e appunto commercializzazione dei prodotti agricoli – le <strong>incertezze</strong> del momento sono tantissime e la situazione molto complessa. Le scarse produzioni mantengono i prezzi elevati rispetto allo storico, senza segnali di allentamento, e dovremo vedere se le altre raccolte europee creeranno una disponibilità che oggi sembra ancora complicata. Speriamo che le quotazioni restino abbastanza sostenute da reggere sull’intera filiera, perché le difficoltà non sono solo nella parte agricola, ma anche a valle, nel settore della trasformazione e anche per il consumatore, sul prodotto finito”.</p>
<p>Anche in <strong>Emilia-Romagna</strong>, che l’anno scorso è stata medaglia d’oro nazionale per resa, con un incremento medio del 20% e punte di 90 quintali per ettaro nel bolognese, l’annata segue questo andamento.</p>
<p>“Le cose stanno andando discretamente – dice <strong>Marco Caliceti</strong>, vicepresidente Confagricoltura Bologna e titolare dell&#8217;omonima azienda cerealicola-bieticola nel capoluogo emiliano. “<strong>Nel complesso i cereali vanno peggio rispetto allo scorso anno</strong>, con un calo del 20% per il grano duro e del 25% per quello tenero, mentre l’orzo tiene meglio, con una contrazione del 10%. La qualità è buona, con pesi specifici leggermente inferiori al passato ma con <strong>proteine presenti in buona quantità</strong>”.</p>
<p><strong>Non esiste</strong>, comunque, <strong>il rischio di trovarsi in carenza di cereali</strong>, perché ne consumiamo volumi minimi rispetto al resto del mondo: 6 milioni di tonnellate di grano tenero contro gli 800 milioni a livello globale.</p>
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<h2 id="h-il-prezzo-del-grano-in-rialzo-aiuta-le-aziende-alle-prese-col-rincaro-di-energia-e-gasolio">Il prezzo del grano in rialzo aiuta le aziende, alle prese col rincaro di energia e gasolio</h2>
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<p>Sul versante dei <strong>prezzi</strong> è difficile fare previsioni, perché la produzione è legata anche alla <strong>guerra</strong> e alla sua evoluzione; non tanto per le importazioni dall’Ucraina, che non ci coinvolgono, quanto perché, se si interrompono i flussi di grano dalle regioni in conflitto, i Paesi che comprano da loro ne risentono, creando un <strong>effetto domino</strong>.</p>
<p>“Siamo comunque in un mercato globale, ed è chiaro che la situazione di tensione esistente fa sì che i prezzi non scendano. Rispetto all’inizio della campagna dell’anno scorso siamo a un <strong>aumento dei prezzi del grano del 40-50%</strong>”, dice Filetti. “La cosa positiva per chi produce cereali in questo momento è una remunerazione abbastanza alta, che riesce a compensare l’aumento dei costi. Il prezzo del grano duro, a causa del calo produttivo del Canada, è arrivato a 540 euro a tonnellata, rispetto ai 300 dell’anno scorso, mentre il tenero è quasi raddoppiato fino a 380 euro a tonnellata”.</p>
<p>Insomma, i problemi dei produttori cerealicoli risiedono principalmente nel fattore finanziario, perché quello che serviva alle aziende l’anno scorso per comperare o commercializzare una certa quantità di prodotto è quasi raddoppiato. “Il grande problema quest’anno è il <strong>costo dell’energia</strong> – dice Filetti – <strong>che sta spostando l’equilibrio di tutto</strong>. Ci sono molini che sono passati da bollette di 100.000 euro al mese a bollette di 400.000 euro, e queste sono cifre che su un anno diventano insostenibili. E poi ci sono i <strong>trasporti</strong>, che in Italia viaggiano quasi solo su gomma: con il rincaro del gasolio, i camion hanno aumentato del 30% i costi su ogni tratta”.</p>
<p>Da considerare è anche il <strong>comportamento dei mercati internazionali</strong>. Bisogna tenere d’occhio ciò che fanno i Paesi che spostano i flussi di cibo a livello mondiale. “L’Italia è una realtà piccola”, spiega il presidente della Borsa Merci di Bologna. “La globalizzazione è un’idea bellissima, ma quando hai dei problemi la subisci. La <strong>Cina</strong> fino all’anno scorso aveva circa il 25% delle scorte mondiali di grano. All’inizio di quest’anno è arrivata ad averne il 60%, quindi in questi mesi ha comperato a man bassa e ora sposta la bilancia del mercato mondiale”.</p>
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<h2 id="h-aumenti-minimi-di-pane-e-pasta-ma-l-annata-2022-puo-ancora-peggiorare">Aumenti minimi di pane e pasta, ma l’annata 2022 può ancora peggiorare</h2>
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<p>Tutti problemi di difficile soluzione, almeno nell’immediato e attraverso politiche ordinarie. </p>
<p>C&#8217;è chi pensa che sia necessario puntare su sviluppo e ricerca, come <strong>Paolo Parisini</strong>, titolare dell&#8217;azienda agricola Antigola, nel bolognese: “Dobbiamo pensare a come ottenere <strong>piante più resistenti alla salinità</strong> e che abbiano caratteristiche sempre più richieste dal consumatore”, dice. “Penso per esempio ai celiaci, che necessitano di cereali a basso contenuto di glutine. Però è necessario che gli agricoltori siano disponibili a indirizzare la ricerca in questo campo, anche se è difficile e spesso ci si sente accusati di voler introdurre gli OGM, che sono tutta un&#8217;altra cosa”. E c’è chi invece guarda a un’<strong>estensione delle superfici coltivate</strong>, ma le caratteristiche geografiche dell’Italia non aiutano.</p>
<p>“<strong>L’autosufficienza produttiva è impossibile</strong>. Coldiretti parla di un milione di ettari disponibili, ma bisogna vedere dove si trovano, perché se sono in collina non offrono una resa vantaggiosa”, spiega Filetti. “Purtroppo non è possibile pianificare strategie d’intervento. Possiamo solo sperare che il clima aiuti i produttori”. Certo, le previsioni climatiche sono drammatiche e il rischio desertificazione, per il nostro Paese, è una realtà. Affidarsi solo al clima è un terno al lotto.</p>
<p>E i <strong>rincari di pane e pasta</strong>? In Emilia-Romagna il prezzo del pane al chilogrammo è mediamente di 5,5 euro, con punte di 9.80 euro a Ferrara. Dice Caliceti: “Io, in quanto produttore e trasformatore di grano, posso dire che i miei costi di produzione sono raddoppiati, mentre pasta e pane, pur costando di più, <strong>non hanno avuto un incremento analogo</strong>. Finora i produttori non hanno scaricato a valle l’aumento”.</p>
<p>“È vero che i prezzi sono cresciuti – spiega Filetti – ma è anche vero che i prodotti che noi consumiamo hanno un costo molto basso in termini assoluti. <strong>La pasta</strong>, per esempio, <strong>è aumentata circa del 35%</strong>. Considerando che in Italia abbiamo un consumo pro capite medio di 23 chili di pasta all’anno, se un chilo di prodotto di media qualità è passato da 1,5 a 2 euro, parliamo di <strong>11,5 euro in più all’anno</strong>. In realtà si tratta di un aumento minimo”.</p>
<p>Insomma, quella del 2022 è un’annata sicuramente difficile. <strong>Siccità</strong>, <strong>guerra</strong>, <strong>oscillazione delle valute</strong> (perché quasi tutto ciò che deriva dai cereali si paga in dollari), <strong>rincaro dell’energia e del petrolio</strong>, sono situazioni che abbiamo già visto in passato, ma mai <strong>tutte insieme</strong>. È questa concomitanza a creare problemi. E il timore è che i mesi più brutti debbano ancora arrivare: “Fino a ora – conclude Filetti – abbiamo vissuto di rendita e di aiuti dello Stato. Adesso tutto questo sta finendo, e resta sempre l’incognita COVID-19”.</p>
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<p><em>Photo credits: confagricolturavicenza.it</em></p>


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Barbara Benini

Giornalista professionista dal 2002, per quindici anni ha vissuto in treno tra Milano e Bologna, scrivendo per quotidiani e riviste nazionali e locali, con frequenti intermezzi da addetto stampa. Poi l&#8217;arrivo di un cucciolo l&#8217;ha portata a essere (più o meno) stanziale sotto le Due Torri e ora fa la giornalista-mamma. Le piacciono le persone, ama ascoltare e raccontare le loro storie. Ha a lungo scritto di sanità e cronaca ma, soprattutto, di tematiche sociali, lavoro e politica, che sono gli interessi che coltiva da quando, a dieci anni, ha iniziato a leggere ogni giornale le capitasse tra le mani. Il tempo libero lo trascorre con le persone che ama o leggendo un libro e, quando può, va alla scoperta di piatti tipici in giro per il mondo. Sono senza filtro perché cerco sempre di vedere e raccontare la realtà per quello che è &#8212; MAIL DI REDAZIONE: barbara.b@fiordirisorse.eu Città di origine: Milano Città d&#8217;adozione: Bologna Cosa ho studiato: Lettere Il mio lavoro: Giornalista e addetto stampa Per SenzaFiltro scrivo di: Lavoro, diritti, sociale Film preferito: “Novecento” di Bernardo Bertolucci Disco preferito: Tutti i dischi di Guccini Libro preferito: “Delitto e castigo” di Fëdor Dostoevskij, “I miserabili” di Victor Hugo

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Che ne sai tu del prezzo del grano

Com&#8217;è stata l&#8217;annata 2022 della produzione cerealicola in Italia? SenzaFiltro ha trascorso una mattinata con produttori e operatori di mercato dell&#8217;Emilia-Romagna. Valerio Filetti, presidente della Borsa Merci di Bologna: &#8220;Calo medio della resa del 15%, ma percentuale più alta di proteine, con maggior qualità&#8221;.

Che ne sai tu del prezzo del grano - Informazione senza filtro

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<p>Prima le speculazioni sui <strong>fertilizzanti</strong> (iniziate, secondo i dati Coldiretti, molto prima della guerra in Ucraina), poi il <strong>blocco del grano</strong> e infine la <strong>siccità</strong>. L’estate del 2022 sarà ricordata soprattutto per i <strong>problemi dell&#8217;agricoltura</strong> e i <strong>rincari sulle merci</strong>, in primis il grano e i cereali in generale.</p>



<p>Se evitare una guerra di due Paesi lontani non è così semplice, e lottare contro la speculazione internazionale è complesso, almeno sulla siccità qualcosa si poteva fare, adottando accorgimenti che ci permettessero di non impoverire le nostre campagne.</p>



<p>«<strong>Bisogna comprare la terra, perché non ne fanno più</strong>». Il vecchio Serafino Ferruzzi lo diceva ai figli e al cognato (che a dire il vero non lo ascoltò troppo e preferì le sirene della finanza). Non avrebbe immaginato, il ravennate commerciante di sementi poi fondatore un impero, che non era proprio così. Perché <strong>in Italia il 40% dei terreni italiani è diventato sterile</strong>, cioè non si può più coltivare. A spiegarlo è <strong>Mario Tozzi</strong>, geologo, ricercatore al CNR e divulgatore scientifico. Ma quel che è più grave è che quel terreno non potrà essere recuperato per l’agricoltura.</p>



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<h2 id="h-desertificazione-italia-a-rischio-chiusura-un-azienda-agricola-su-dieci">Desertificazione Italia, a rischio chiusura un’azienda agricola su dieci</h2>



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<p>Con una parola che fa paura si definisce questo fenomeno come <strong>desertificazione</strong>, e l&#8217;Italia oggi c’è dentro in pieno. Un ruolo fondamentale in questo processo lo svolge la <strong>mancanza d&#8217;acqua</strong> che ha caratterizzato la primavera del 2022 e l&#8217;inizio dell’estate, e che sta creando danni pesanti all’agricoltura italiana.</p>



<p>Danni che si riflettono sui cittadini e sulle loro tasche, perché la penuria di risorse idriche causa anche un <strong>incremento dei prezzi al consumo</strong>, come denunciato dalla Coldiretti, che chiede all&#8217;Unione europea sostegno per l&#8217;agricoltura.</p>



<p>«Fra siccità e caro materie prime legato alla guerra in Ucraina – sottolinea la Coldiretti – <strong>più di un’azienda agricola su dieci</strong> (11%) <strong>rischia di chiudere</strong> ma ben circa 1/3 del totale nazionale (30%) si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di <strong>reddito negativo </strong>per effetto dell’aumento dei costi di produzione, secondo le elaborazioni del CREA. Una tempesta perfetta che si è abbattuta sulle aziende agricole con aumenti dei costi che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi al +129% per il gasolio».</p>



<p>La <strong>siccità</strong> diventa quindi l&#8217;ennesimo problema che si somma alla <strong>guerra</strong> e ai <strong>rincari dei fertilizzanti</strong>. «Alla mancanza di forniture si aggiungono le difficoltà determinate dai forti rincari dei prezzi che sono balzati – continua la Coldiretti – da un +150% a oltre +200%, con l’urea che è passata da 350 euro a 1.150 euro a tonnellata (+228%)».</p>



<p>La <strong>riduzione dei raccolti</strong> dovuta alla siccità – sono diversi gli agricoltori che stanno denunciando una produttività di molto inferiore – sarà il colpo di grazia anche per i <strong>consumatori</strong>, che vedranno presto i <strong>rincari sulle merci</strong>. Perché il combinato disposto tra meno prodotti a causa dei terreni arsi e improduttivi e maggiori costi di produzione rischia di far impennare i prezzi.</p>



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<h2 id="h-mario-tozzi-monocolture-e-mais-bevono-troppo-bisogna-diversificare">Mario Tozzi: «Monocolture e mais bevono troppo. Bisogna diversificare»</h2>



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<p>Il problema quest’anno ha toccato in maniera pesante le Regioni che di solito sono al riparo da queste difficoltà, cioè <strong>Lombardia</strong> e <strong>Piemonte</strong>, attraversate dal <strong>Po</strong>, dal quale un altro esperto di agricoltura nel XIX secolo – il conte Camillo Benso di Cavour – seppe trarre un’efficiente rete irrigua. Ancora prima, tra una guerra e l’altra, furono gli Sforza a creare la rete dei navigli, chiamando addirittura Leonardo Da Vinci come consulente. Oggi anche quelle prestigiose opere del passato, che hanno retto le sorti dell’agricoltura in Pianura Padana, servono a ben poco, come può vedere chiunque attraversi la piana, che poche volte è stata arsa come in questo periodo, con le colture che faticano e la terra che si rompe in alcuni punti.</p>



<p>Come due Regioni storicamente all’avanguardia in quanto a rete idrica siano arrivate a questo punto è complesso da capire. «L’allarme su Piemonte e Lombardia – dice Mario Tozzi – parte dall’<strong>uso sconsiderato della risorsa acqua </strong>che è stato fatto per una serie di colture massicce, come il kiwi e il mais, che ne bevono parecchia. In particolare il problema è concentrato sul <strong>mais</strong>, che assorbe grandi riserve idriche. È per questo che ci si dovrebbe <strong>concentrare meno sulla monocoltura</strong>, che è caratterizzante di molte zone del Nord Italia».</p>



<p>Nord che nel corso degli ultimi anni ha visto diminuire gli ettari di terreno che vengono coltivati, nonostante con lo scoppio della guerra in Ucraina il Governo abbia deciso di dare il permesso di aumentare le coltivazioni. Ma se la terra non c’è più non è facile da fare, e alla base di questo impoverimento ci sono i nostri comportamenti, che nonostante abbiano impoverito il terreno non hanno nemmeno risolto il problema alimentare.</p>



<p>«In questo momento – dice Tozzi – <strong>rispetto agli anni Sessanta noi stiamo sottocoltivando</strong>, e comunque continuare con le tradizionali colture come il mais, che assorbono molta acqua, non aiuta. Dobbiamo tornare alle <strong>colture naturali</strong> per diversificare. Abbiamo problemi anche con l&#8217;<strong>allevamento</strong>, perché tra l’altro richiede molto spazio e oggi ce n&#8217;è sempre di meno.»</p>



<p>La soluzione potrebbe essere un <strong>cambio di paradigma</strong> che rivoluzioni in modo completo l&#8217;agricoltura. «Ci sono – continua Tozzi – delle <strong>interessanti esperienze neo-rurali</strong>, dove si sceglie di diminuire il territorio coltivato del 10% e metterci il <strong>bosco selvaggio</strong>. In questo modo si riesce a conservare l&#8217;umidità e ad abbattere i parassiti; si produce di più e si contribuisce alla riduzione di pesticidi. Non si separa più l&#8217;agricoltura dell&#8217;allevamento. Ma in futuro si dovrà cominciare a puntare sulla <strong>manutenzione</strong>, sulla <strong>conservazione dell’acqua piovana nei mesi invernali</strong> e anche sulla <strong>sensibilizzazione</strong> all’uso della cosiddetta <strong>acqua occulta</strong>. Ma in generale bisogna imparare a <strong>diversificare</strong>. Basti pensare al fatto che oggi si consumano solo determinati tipi di pesce e altri non si trovano nemmeno più in commercio».</p>



<p>In Piemonte sono corsi subito (o quasi) ai ripari, <strong>razionando l&#8217;acqua</strong>, e in Lombardia è arrivata l&#8217;<strong>ordinanza regionale</strong>. È iniziata poi la solita ridda di vademecum su come risparmiare da parte delle amministrazioni comunali, che spesso in tempi non sospetti hanno sottovalutato il problema dell&#8217;acqua, oggi diventato quello della produzione cerealicola. Che la situazione fosse drammatica, però, si era capito almeno da aprile, quando le autorità d’ambito e gli esperti di settore lo stavano già denunciando. Alla base del problema, secondo l&#8217;Osservatorio ANBI sulle risorse idriche, c’era il “combinato disposto” tra la siccità peggiore in anni recenti e le temperature superiori addirittura al 2003, che rimane un anno record.</p>



<p>Il dato più allarmante in Pianura Padana è la <strong>risalita del cuneo salino</strong>, che sta marciando verso i trenta chilometri all&#8217;interno della piana a Ferrara. La carenza d’acqua ha una ricaduta anche a livello politico, soprattutto sui rapporti che coinvolgono la gestione delle acque del <strong>Lago Maggiore</strong> con la Svizzera e quella del <strong>fiume Isonzo</strong> con la Slovenia.</p>



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<h2 id="h-la-crisi-idrica-contagia-il-centro-italia">La crisi idrica contagia il Centro Italia</h2>



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<p>Ma le ricadute e i problemi principali continuano a riguardare l’<strong>agricoltura</strong>. Il problema è iniziato al Nord, ma si sta espandendo in tutta Italia.</p>



<p>I <strong>grandi bacini del Nord</strong> sono ai livelli minimi: i laghi di Como (13,5% di riempimento) e d’Iseo sono ormai vicini al record negativo, già più volte superato invece dal Lago Maggiore, oggi riempito al 20%. L’anno scorso, già caratterizzato al Nord da una sempre più ricorrente siccità, i bacini settentrionali erano in questo periodo ancora oltre il 90% del riempimento, e la neve sui monti era abbondante ben oltre la media.</p>



<p>«Dal Nord Italia – spiega l’ultimo report di ANBI – la <strong>crisi idrica</strong> sta ampliandosi giorno dopo giorno al Centro Italia, dove l&#8217;epicentro sta caratterizzandosi nel <strong>Lazio</strong>: grave è la situazione nel territorio dei Castelli Romani, dove i due laghi vulcanici, non avendo immissari naturali, dipendono principalmente dagli apporti pluviali, calati localmente di oltre il 75%, segnando il dato peggiore da inizio secolo. Sulla Regione, e in generale lungo la fascia tirrenica centro-settentrionale, l&#8217;indice SPI (Standardized Precipitation Index) fotografa una situazione peggiore di quella del siccitosissimo 2017, impattando negativamente anche sulle disponibilità d’acqua in falda. Continuano a calare vistosamente anche fiumi e bacini laziali: l&#8217;Aniene ha portata dimezzata, il Tevere è ai livelli minimi in anni recenti, il Sacco è sempre più a secco; il livello del lago di Nemi precipita a -1,88 metri (l&#8217;anno scorso era a +1,6 metri) e anche il lago di Bracciano registra un’ulteriore decrescita. Marcato è il calo di precipitazioni sul Lazio: il record negativo è di Ladispoli (solo 83 mm caduti dall’inizio del 2022, quando la media si aggira su 300 mm), ma anche a Roma si registrano cali del 63%, che sfiorano il 100% a maggio sull’Agro Pontino.»</p>



<p>Gli stessi problemi li hanno fiumi come il Po, il Tanaro e la Dora Baltea in Piemonte, e l’Adda, il Serio e l’Oglio in Lombardia. Proprio queste zone negli ultimi anni sono state toccate in particolare dalla desertificazione: quella climatica, che spacca il terreno e arde le colture, alla quale minaccia di aggiungersi il deserto di una politica che ancora una volta si fa cogliere impreparata nonostante gli allarmi siano stati diramati ormai da anni.</p>



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Altro che grano, è crisi idrica. Mario Tozzi: &#8220;Stiamo sottocoltivando, le monocolture bevono troppo&#8221;

<p>Per chi ha battuto i marciapiedi della cronaca finanziaria, il <strong>cinismo dei mercati</strong> non è cosa nuova. Quando anni fa me ne occupavo ogni giorno, e tutte le mattine cercavo di carpire i segreti della finanza nel palazzo Mezzanotte dove risiede la Borsa di Milano, mi colpiva ad esempio con quale cinismo il listino azionario festeggiava l’annuncio della FIAT di mettere in cassa integrazione o di licenziare migliaia di lavoratori, o l’esplosione di una guerra in Medio Oriente a cui seguiva puntuale una speculazione pesantissima sui derivati del petrolio, tra cui la benzina. La <strong>speculazione</strong>, come è noto, non guarda in faccia nessuno, poveri o sfruttati che siano; gioca sugli squilibri, e la guerra è il più tragico degli squilibri, come dimostra il ritorno al conflitto in Europa per mano di Vladimir Putin e della Russia imperiale.</p>
<p>Lo stesso destino speculativo tocca al <strong>grano</strong> e ai suoi <strong>aumenti</strong>? La risposta purtroppo non può che essere positiva. Una cifra per tutte: per i cereali c’è stata, dopo l’esplosione iniziale, una prima frenata dei prezzi, ma il grano tenero secondo i dati di Agrisole costa il 66% in più del 2021. Alcuni studiosi del fenomeno sostengono che il prezzo del grano rispetto al 2021 è cresciuto dell’85%.</p>
<p>Che cosa spinge verso l’alto il prezzo di questo prodotto vitale per l&#8217;alimentazione mondiale? Sul banco degli imputati c’è soltanto la guerra? No. C’è una <strong>mano invisibile</strong> che sta mettendo in ginocchio il Nord Africa e devastando l’intero pianeta: la <strong>finanza speculativa</strong>, entrata in campo dopo il blocco del grano nel mare di Odessa con potenti fondi d’investimento, un’impressionante liquidità e sofisticati strumenti finanziari come i <strong>derivati</strong> (per i non addetti ai lavori i derivati sono contratti finanziari tipo i future, il cui valore deriva da un bene).</p>
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<h2 id="h-la-mano-invisibile-della-finanza-all-origine-della-speculazione-sul-grano-l-agribusiness-vale-cinque-trilioni-di-dollari">La mano invisibile della finanza all’origine della speculazione sul grano: l’agribusiness vale cinque trilioni di dollari</h2>
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<p>Non si tratta della mano invisibile di Adam Smith, il padre del liberismo che teorizzava l’esistenza di una forza naturale non visibile in grado di equilibrare la domanda e l’offerta dei mercati. Si tratta di speculazione pura, che ha poco a che fare con i movimenti e i prezzi del grano determinati dai reali squilibri di domanda e offerta, ma che ricadrà ugualmente sui Paesi poveri del mondo come una mannaia, senza trascurare l’Occidente, tanto da trascinarlo, come sostiene ad esempio Carlo De Benedetti, verso lo <strong>spettro di una nuova carestia</strong>. Si tenga conto che di carestia in Europa non se ne parla dal 1313-1317, quando ci furono scarsi raccolti e iniziavano i grandi esodi dalle campagne verso i centri urbani.</p>
<p>Ora quella terribile malattia sociale potrebbe bussare di nuovo alle porte del Vecchio Continente oltre che dell’Africa, dove era presente ancor prima della guerra in Ucraina. Tanto per capirci, secondo il <em>Global Report on Food Crises </em>stilato nel 2022, gli effetti prima della pandemia e ora della guerra in Ucraina provocheranno un <strong>aumento di 47 milioni di persone aggredite dalla fame</strong>. La notissima società di consulenza aziendale McKinsey lo chiama <strong>agribusiness</strong> e ci spiega perché per gli investitori e gli speculatori finanziari è così importante: “L’agribusiness avrà un impatto notevolissimo a livello sociale, economico e sull’ambiente. Si tratta di un’industria che arriva a <strong>cinque trilioni di dollari</strong> e costituisce oggi il 10% delle spese sostenute dai consumatori a livello globale. In termini sociali stiamo parlando di un settore che impiega il 40% della forza lavoro globale e che è responsabile direttamente e indirettamente del 30% delle emissioni di gas”.</p>
<p><strong>Alessandro Volpi</strong>, studioso del fenomeno per <em>Altraeconomia </em>e docente di Storia contemporanea al dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa, ci spiega come la finanza riesca ad alterare i prezzi del grano: “La guerra in Ucraina e la speculazione finanziaria stanno devastando rapidamente il Pianeta”. All’Italia quale destino spetta, visto che importa il 65% di grano tenero e il 35% di grano duro? “L&#8217;Italia non dipende in alcun modo da Russia e Ucraina, pagherà molto di più i <strong>generi alimentari legati ai cereali </strong>per la speculazione mondiale, gestita da grandi fondi hedge e dai colossi del grano a stelle e strisce, e per l’attuale debolezza dell&#8217;euro. In realtà, <strong>una vasta parte del mondo rischia seriamente di restare senza grano</strong>. Il blocco dei porti dell’Ucraina e l’improvvisa decisione dell’India di bloccare le esportazioni di grano sono notizie devastanti per tutti i Paesi importatori, dal Nord Africa all’Italia”.</p>
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<h2 id="h-la-speculazione-finanziaria-non-ha-controllori-e-apre-la-strada-al-grano-ogm">La speculazione finanziaria non ha controllori. E apre la strada al grano OGM</h2>
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<p>Ecco il segreto oscuro della speculazione finanziaria, quella che con una brutta parola viene chiamata <strong>finanziarizzazione dell’economia</strong>. Per intenderci l’aumento del prezzo del grano, che a tonnellata oscilla oltre la soglia dei 400 dollari, non ha nulla a che fare con la reale domanda e offerta. Banche di investimento e fondi ragionano sulle aspettative: se si prevede che il prezzo del grano salirà per eventi bellici si compra oggi un derivato del grano a una determinata cifra e si rivende domani a una cifra maggiore. <strong>È una scommessa, è il casinò della povertà</strong>. È lo stesso micidiale meccanismo che ha portato nel 2008 alla più grave crisi finanziaria del secondo dopoguerra. Allora si scommetteva sulla capacità o meno degli americani di pagare i mutui; oggi si scommette sugli effetti “benefici” della guerra rispetto al prezzo del grano.</p>
<p>La tragedia sta nel fatto che <strong>non esiste nessun ente regolatore</strong> in grado di controllare le speculazioni finanziarie. Si dirà che quelli, gli speculatori, fanno il loro mestiere. È vero, ma i danni del loro operato non restano nel mondo aureo della finanza, ma <strong>pesano come un macigno sull’economia reale</strong>, e dunque sulla vita delle persone. Dopo la crisi del 2008 si sono spesi milioni di parole con promesse di regolamentazione dei mercati finanziari per evitare che la finanza alterasse in modo così palese l’economia reale, già in subbuglio per conto suo, ma alla fine ha prevalso ancora una volta l’anima speculativa, e nessuno riuscirà a fermarla se non ci sarà una fine del conflitto che sta producendo tanti danni planetari.</p>
<p>C&#8217;è un’ultima interessante considerazione che vale la pena riportare: “Il brusco rialzo del prezzo dei cereali – osserva il professor Volpi – sta riportando in vita la discussione, in realtà mai sopita, circa la <strong>possibilità per i Paesi europei di importare grano OGM</strong>, che attualmente è vietato dalle normative dell&#8217;Unione, e che è ‘prodotto’ da soli quattro gruppi monopolisti, tra cui spiccano la tedesca Bayer, che ha acquisito Monsanto, ChemChina e l’americana Corteva. La ‘penuria’ generata dalla guerra e gli alti prezzi dettati dalla speculazione potrebbero aprire una strada finora chiusa, peraltro obbligando alla revisione del Green New Deal europeo”.</p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/grano/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Grano</a></strong>.</em></p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>
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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>
<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>
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<p><em>Photo credits: cucchiaio.it</em></p>


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Perini

Bruno Perini

E&#8217; nato a Milano il 21 novembre del 1950. Laureato in Lettere e Filosofia nel 1977 all’Università Statale di Milano con una tesi su Marx e l’economia volgare è diventato giornalista professionista nel 1987. Giornalista economico finanziario e politico giudiziario, ha lavorato per circa trent’anni al quotidiano il manifesto dove ha curato la cronaca finanziaria e dal 1992 al 2000 la cronaca giudiziaria durante l’inchiesta Mani Pulite. Per 6 anni ha lavorato all’agenzia di Stampa Asca come cronista giudiziario e per due anni ha lavorato al settimanale della Rcs Il Mondo. Ha lavorato per circa 6 anni al mensile Prima Comunicazione e per due anni ha lavorato nel gruppo Sole 24 ore dove scriveva articoli sul quotidiano e contemporaneamente conduceva la rassegna stampa di Radio 24 e una trasmissione con gli ascoltatori sui temi di attualità. Per due anni ha lavorato in un’agenzia di ufficio stampa dove teneva corsi di giornalismo per coloro che tenevano i rapporti con i clienti. Da circa 5 anni collabora con Senza Filtro sui temi del lavoro e cura la rubrica &#8220;8000 battute sul lavoro&#8221;. E’ appassionato di musica rock, di letteratura, di gialli e del gioco del biliardo. Nel 2004 ha scritto un giallo dal titolo “Richiamo di sangue”, nel 2010 una biografia di Adriano Celentano “Memorie di zio Adriano” e nel 2013 un Giallo dal titolo “le figlie del diavolo”.

Bruno Perini Archivi

Bruno Perini - Informazione senza filtro

Speculazione sul grano, la finanza gioca al casinò della povertà

Secondo McKinsey l&#8217;agribusiness vale cinque trilioni di dollari, e ha impatti devastanti sull&#8217;economia reale. Alessandro Volpi, professore dell&#8217;Università di Pisa: &#8220;Ora l&#8217;Europa ridiscute l&#8217;importazione di OGM&#8221;.

Speculazione sul grano, la finanza gioca al casinò della povertà - Informazione senza filtro

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<p>Per chi ha battuto i marciapiedi della cronaca finanziaria, il <strong>cinismo dei mercati</strong> non è cosa nuova. Quando anni fa me ne occupavo ogni giorno, e tutte le mattine cercavo di carpire i segreti della finanza nel palazzo Mezzanotte dove risiede la Borsa di Milano, mi colpiva ad esempio con quale cinismo il listino azionario festeggiava l’annuncio della FIAT di mettere in cassa integrazione o di licenziare migliaia di lavoratori, o l’esplosione di una guerra in Medio Oriente a cui seguiva puntuale una speculazione pesantissima sui derivati del petrolio, tra cui la benzina. La <strong>speculazione</strong>, come è noto, non guarda in faccia nessuno, poveri o sfruttati che siano; gioca sugli squilibri, e la guerra è il più tragico degli squilibri, come dimostra il ritorno al conflitto in Europa per mano di Vladimir Putin e della Russia imperiale.</p>



<p>Lo stesso destino speculativo tocca al <strong>grano</strong> e ai suoi <strong>aumenti</strong>? La risposta purtroppo non può che essere positiva. Una cifra per tutte: per i cereali c’è stata, dopo l’esplosione iniziale, una prima frenata dei prezzi, ma il grano tenero secondo i dati di Agrisole costa il 66% in più del 2021. Alcuni studiosi del fenomeno sostengono che il prezzo del grano rispetto al 2021 è cresciuto dell’85%.</p>



<p>Che cosa spinge verso l’alto il prezzo di questo prodotto vitale per l&#8217;alimentazione mondiale? Sul banco degli imputati c’è soltanto la guerra? No. C’è una <strong>mano invisibile</strong> che sta mettendo in ginocchio il Nord Africa e devastando l’intero pianeta: la <strong>finanza speculativa</strong>, entrata in campo dopo il blocco del grano nel mare di Odessa con potenti fondi d’investimento, un’impressionante liquidità e sofisticati strumenti finanziari come i <strong>derivati</strong> (per i non addetti ai lavori i derivati sono contratti finanziari tipo i future, il cui valore deriva da un bene).</p>



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<h2 id="h-la-mano-invisibile-della-finanza-all-origine-della-speculazione-sul-grano-l-agribusiness-vale-cinque-trilioni-di-dollari">La mano invisibile della finanza all’origine della speculazione sul grano: l’agribusiness vale cinque trilioni di dollari</h2>



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<p>Non si tratta della mano invisibile di Adam Smith, il padre del liberismo che teorizzava l’esistenza di una forza naturale non visibile in grado di equilibrare la domanda e l’offerta dei mercati. Si tratta di speculazione pura, che ha poco a che fare con i movimenti e i prezzi del grano determinati dai reali squilibri di domanda e offerta, ma che ricadrà ugualmente sui Paesi poveri del mondo come una mannaia, senza trascurare l’Occidente, tanto da trascinarlo, come sostiene ad esempio Carlo De Benedetti, verso lo <strong>spettro di una nuova carestia</strong>. Si tenga conto che di carestia in Europa non se ne parla dal 1313-1317, quando ci furono scarsi raccolti e iniziavano i grandi esodi dalle campagne verso i centri urbani.</p>



<p>Ora quella terribile malattia sociale potrebbe bussare di nuovo alle porte del Vecchio Continente oltre che dell’Africa, dove era presente ancor prima della guerra in Ucraina. Tanto per capirci, secondo il <em>Global Report on Food Crises </em>stilato nel 2022, gli effetti prima della pandemia e ora della guerra in Ucraina provocheranno un <strong>aumento di 47 milioni di persone aggredite dalla fame</strong>. La notissima società di consulenza aziendale McKinsey lo chiama <strong>agribusiness</strong> e ci spiega perché per gli investitori e gli speculatori finanziari è così importante: “L’agribusiness avrà un impatto notevolissimo a livello sociale, economico e sull’ambiente. Si tratta di un’industria che arriva a <strong>cinque trilioni di dollari</strong> e costituisce oggi il 10% delle spese sostenute dai consumatori a livello globale. In termini sociali stiamo parlando di un settore che impiega il 40% della forza lavoro globale e che è responsabile direttamente e indirettamente del 30% delle emissioni di gas”.</p>



<p><strong>Alessandro Volpi</strong>, studioso del fenomeno per <em>Altraeconomia </em>e docente di Storia contemporanea al dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa, ci spiega come la finanza riesca ad alterare i prezzi del grano: “La guerra in Ucraina e la speculazione finanziaria stanno devastando rapidamente il Pianeta”. All’Italia quale destino spetta, visto che importa il 65% di grano tenero e il 35% di grano duro? “L&#8217;Italia non dipende in alcun modo da Russia e Ucraina, pagherà molto di più i <strong>generi alimentari legati ai cereali </strong>per la speculazione mondiale, gestita da grandi fondi hedge e dai colossi del grano a stelle e strisce, e per l’attuale debolezza dell&#8217;euro. In realtà, <strong>una vasta parte del mondo rischia seriamente di restare senza grano</strong>. Il blocco dei porti dell’Ucraina e l’improvvisa decisione dell’India di bloccare le esportazioni di grano sono notizie devastanti per tutti i Paesi importatori, dal Nord Africa all’Italia”.</p>



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<h2 id="h-la-speculazione-finanziaria-non-ha-controllori-e-apre-la-strada-al-grano-ogm">La speculazione finanziaria non ha controllori. E apre la strada al grano OGM</h2>



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<p>Ecco il segreto oscuro della speculazione finanziaria, quella che con una brutta parola viene chiamata <strong>finanziarizzazione dell’economia</strong>. Per intenderci l’aumento del prezzo del grano, che a tonnellata oscilla oltre la soglia dei 400 dollari, non ha nulla a che fare con la reale domanda e offerta. Banche di investimento e fondi ragionano sulle aspettative: se si prevede che il prezzo del grano salirà per eventi bellici si compra oggi un derivato del grano a una determinata cifra e si rivende domani a una cifra maggiore. <strong>È una scommessa, è il casinò della povertà</strong>. È lo stesso micidiale meccanismo che ha portato nel 2008 alla più grave crisi finanziaria del secondo dopoguerra. Allora si scommetteva sulla capacità o meno degli americani di pagare i mutui; oggi si scommette sugli effetti “benefici” della guerra rispetto al prezzo del grano.</p>



<p>La tragedia sta nel fatto che <strong>non esiste nessun ente regolatore</strong> in grado di controllare le speculazioni finanziarie. Si dirà che quelli, gli speculatori, fanno il loro mestiere. È vero, ma i danni del loro operato non restano nel mondo aureo della finanza, ma <strong>pesano come un macigno sull’economia reale</strong>, e dunque sulla vita delle persone. Dopo la crisi del 2008 si sono spesi milioni di parole con promesse di regolamentazione dei mercati finanziari per evitare che la finanza alterasse in modo così palese l’economia reale, già in subbuglio per conto suo, ma alla fine ha prevalso ancora una volta l’anima speculativa, e nessuno riuscirà a fermarla se non ci sarà una fine del conflitto che sta producendo tanti danni planetari.</p>



<p>C&#8217;è un’ultima interessante considerazione che vale la pena riportare: “Il brusco rialzo del prezzo dei cereali – osserva il professor Volpi – sta riportando in vita la discussione, in realtà mai sopita, circa la <strong>possibilità per i Paesi europei di importare grano OGM</strong>, che attualmente è vietato dalle normative dell&#8217;Unione, e che è ‘prodotto’ da soli quattro gruppi monopolisti, tra cui spiccano la tedesca Bayer, che ha acquisito Monsanto, ChemChina e l’americana Corteva. La ‘penuria’ generata dalla guerra e gli alti prezzi dettati dalla speculazione potrebbero aprire una strada finora chiusa, peraltro obbligando alla revisione del Green New Deal europeo”.</p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/grano/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Grano</a></strong>.</em></p>



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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>



<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>



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<p><em>Photo credits: cucchiaio.it</em></p>



<p>Il 22 giugno 2022 è una data storica per la <strong>cerealicoltura italiana</strong>: il grano duro qualità “fino” è quotato <strong>580 euro per tonnellata</strong> al Listino di Foggia. Mai prima è stata raggiunta questa cifra sulla piazza che indirizza il prezzo italiano dell’oro giallo agricolo; cifra che arriva a 595 euro a tonnellata per il biologico.</p>



<p>E la <strong>guerra tra Russia e Ucraina</strong> c’entra molto poco in una corsa al rialzo iniziata nel 2020 e che nessuno può escludere prosegua, anche a causa delle basse rendite per ettaro ottenute nei campi della piana del <strong>Tavoliere delle Puglie</strong>, <strong>dove si coltiva l’80% del prodotto nazionale</strong>. Le spighe del granaio d’Italia sono più leggere e vuote dello scorso anno: la media è di 25 quintali per ettaro, oscillante tra il <strong>20 e il 30% in meno</strong> della campagna 2021; su base nazionale, quindi, la produzione potrebbe passare da 3,9 a 3 milioni di quintali.</p>



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<figure class="aligncenter size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/06/trebbiatura-camion-scaled.jpeg"><img width="1024" height="683" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/06/trebbiatura-camion-1024x683.jpeg" alt="Due camion procedono alla trebbiatura del grano in un campo del Tavoliere." class="wp-image-51147" /></a></figure></div>


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<h2 id="h-il-prezzo-del-grano-va-su-colpa-della-speculazione-non-della-guerra">Il prezzo del grano va su. Colpa della speculazione, non della guerra</h2>



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<p>“Il primo prezzo sul nuovo grano quotato alla borsa merci della Camera di commercio foggiana ci fa ben sperare in una <strong>stagione</strong>, <strong>se non positiva</strong>, <strong>almeno non in perdita</strong>”, commenta <strong>Filippo Schiavone</strong>, cerealicoltore alla guida di Confagricoltura Foggia e componente della Giunta nazionale dell’organizzazione. Prudenza che solo in apparenza stride con la quotazione record del 22 giugno, perché “l’aumento del prezzo di vendita è quasi del tutto compensato dalla minore resa realizzata su una superficie coltivata, in Italia, quasi del tutto identica a quella dello scorso anno”, spiega <strong>Antonio Stasi</strong>, docente di Economia e Politica agraria della facoltà di Agraria dell’Università di Foggia.</p>



<p>A dispetto della propaganda e degli allarmismi che fanno da corollario alla “guerra nel cuore dell’Europa”, a generare questo “incremento irragionevole, un vero e proprio shock economico”, come lo definisce Stasi, sono fattori macroeconomici classici – <strong>minor produzione e incremento dei costi energetici</strong> – enfatizzati dalla <strong>speculazione finanziaria</strong>, che agisce – questa sì – sulla leva emotiva del conflitto.</p>



<p>Alla fine del 2020 “i future sul petrolio erano arrivati praticamente a zero, deprimendo anche il valore dei prodotti agricoli poco deperibili, come i cereali, trasportati in tutto il mondo con le navi”, spiega il professore. A quel tempo bastavano 28 euro per acquistare un quintale di grano duro e i magazzini ne erano pieni, perché non conveniva vendere.</p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<h2 id="h-all-origine-del-rialzo-la-svalutazione-del-dollaro-e-l-incremento-del-prezzo-del-petrolio-del-2021">All’origine del rialzo: la svalutazione del dollaro e l’incremento del prezzo del petrolio del 2021</h2>



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<p>La <strong>campagna cerealicola del 2021</strong> ha fatto segnare la prima <strong>inversione di tendenza</strong> del mercato. A luglio di quell’anno sono stati diffusi i dati del <strong>raccolto in Canada e Stati Uniti: -50%</strong>. È il primo shock. “Solo il Canada esporta il 65% del grano mondiale, quindi si può immaginare quale effetto abbia avuto sui mercati un simile crollo dell’offerta”, afferma <strong>Umberto Sacco</strong>, a capo di una storica impresa foggiana di produzione e commercializzazione di semole e presidente del Comitato di Vigilanza e della Commissione Prezzi della Camera di commercio di Foggia (l’organismo che “governa” anche il listino prezzi del grano duro).</p>



<p>In quello stesso periodo la Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, ha avviato una <strong>manovra di svalutazione del dollaro</strong> a uso interno che ha avuto tra gli effetti collaterali <strong>l’incremento del prezzo del petrolio</strong>, il quale ha innescato il processo d’<strong>innalzamento del valore delle commodity </strong>nelle borse merci statunitensi, che a sua volta ha velocizzato la corsa al rialzo anche del <strong>prezzo del grano duro</strong>. Il 29 dicembre 2021 era già arrivato a 543 euro per tonnellata al listino di Foggia. E la guerra non era ancora iniziata.</p>



<p>Il 24 febbraio 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina, e <strong>l’incertezza sugli approvvigionamenti futuri di cereali a livello globale</strong> hanno alimentato la corsa al rialzo. “L’Italia trasforma annualmente circa sei milioni di tonnellate di grano duro – spiega il professor Stasi – dunque è un importatore netto di materia prima. Acclarato che sarebbe stato molto difficile, se non impossibile, acquistare grano dall’Ucraina e dalla Russia, si è dovuto cercare sul mercato la quota mancante”.</p>



<p>Ricerca diventata, per così dire, più affannosa anche a causa della pur minima <strong>riduzione della superficie coltivata</strong> a grano duro in Italia (-1,4% rispetto al 2021) e delle prime stime della resa dei campi italiani, influenzata negativamente dalle <strong>condizioni meteorologiche</strong> che hanno caratterizzato la primavera e l’inizio dell’estate e hanno annunciato un raccolto peggiore dello scorso anno. È in questa fase che l’azione speculativa a livello globale trova le condizioni ideali per far salire il prezzo dei cereali oltre cifre ragionevoli sul mercato dei derivati. A livello globale e non su scala nazionale: “<strong>Fenomeni strani di mercato non ne abbiamo rilevati</strong>”, afferma Umberto Sacco.</p>



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<h2 id="h-le-imprese-agricole-sono-salve-e-i-consumatori">Le imprese agricole sono salve. E i consumatori?</h2>



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<p>Acclarato che <strong>le imprese agricole</strong> almeno <strong>non ci perderanno</strong>, potendo più che probabilmente compensare il calo produttivo con l’incremento del prezzo spuntato al mercato, <strong>saranno i consumatori a subire gli effetti </strong>del contemporaneo aumento del costo della materia prima e del costo della sua trasformazione prima in semola e poi in pasta.</p>



<p>Ciò su cui il conflitto ha inciso direttamente e in modo negativo è l’enfatizzazione dell’incremento del <strong>prezzo dell’energia</strong>.</p>



<p>“<strong>Mulini e pastifici sono impianti energivori</strong> – continua Sacco – e oggi paghiamo bollette che sono quadruplicate rispetto allo scorso anno”. Un aumento esponenziale che si scarica sul prodotto finito. Meccanismo confermato dal docente di Economia e Politica agraria, che aggiunge una considerazione su “stockisti e pastai, entrambi oligopoli con elevatissimi livelli di concentrazione produttiva e commerciale, quindi con una altrettanto elevata capacità di trasmissione del maggior costo sul consumatore finale”.</p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<h2 id="h-le-nuove-scelte-colturali-europee-favoriscono-i-cereali">Le nuove scelte colturali europee favoriscono i cereali</h2>



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<p>“Dobbiamo convincerci che <strong>dobbiamo coltivare grano duro per convinzione e non per convenzione</strong>”, afferma il presidente di Confagricoltura Foggia quando si sposta l’attenzione dal presente al futuro prossimo.</p>



<p>La guerra, ad esempio, è esplosa quando le <strong>scelte colturali</strong> – cosa seminare e dove seminarlo – erano già state fatte e non si potevano modificare. Oggi, invece, quelle scelte si possono orientare e programmare in modo diverso e tale da contenere gli effetti negativi delle spinte speculative. L’Unione europea, infatti, ha inserito nel cosiddetto “pacchetto Ucraina” alcune <strong>deroghe ai vincoli della Politica Agricola Comune</strong>, e tra queste la possibilità di destinare i “terreni a riposo” – i campi non coltivati per almeno otto mesi, quelli incolti o quelli abbandonati – alla produzione di cereali.</p>



<p>La misura, per l’<strong>Italia</strong>, potrebbe favorire la coltivazione di circa <strong>200.000 ettari in più</strong> rispetto a quest’anno; terreni per il 50% situati in Puglia e, in massima parte, in provincia di Foggia. “Le intenzioni sono buone – afferma Filippo Schiavone – ma la misura è arrivata a marzo (<em>2021; N.d.R.</em>) a fronte di una semina prevista tra ottobre e novembre (<em>2020; N.d.R.</em>). C’è da sperare che non si tratti di un provvedimento spot, ma di una scelta strategica di medio lungo periodo”.</p>



<p>La favorevole dinamica di mercato dei cereali potrebbe anche <strong>sottrarre terreni alla produzione di alcuni tipi di ortaggi</strong>, ad esempio i <strong>pomodori</strong>, attualmente meno remunerativi per le aziende agricole e con maggiori incertezze nella relazione con le industrie di trasformazione o la grande distribuzione organizzata. Infine, se si allarga l’orizzonte della riflessione, “ci sono almeno due macro fattori globali di cui tenere conto: l’aumento della popolazione mondiale e la sovrapproduzione di alcune colture”, spiega Antonio Stasi. “Anche avendo a mente questi elementi, si potrebbero generare politiche di stimolo all’incremento della produzione di cereali a livello globale”.</p>



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Il prezzo del grano tocca i 580 euro a tonnellata, ma non è colpa della guerra

<p>Prima le speculazioni sui <strong>fertilizzanti</strong> (iniziate, secondo i dati Coldiretti, molto prima della guerra in Ucraina), poi il <strong>blocco del grano</strong> e infine la <strong>siccità</strong>. L’estate del 2022 sarà ricordata soprattutto per i <strong>problemi dell&#8217;agricoltura</strong> e i <strong>rincari sulle merci</strong>, in primis il grano e i cereali in generale.</p>
<p>Se evitare una guerra di due Paesi lontani non è così semplice, e lottare contro la speculazione internazionale è complesso, almeno sulla siccità qualcosa si poteva fare, adottando accorgimenti che ci permettessero di non impoverire le nostre campagne.</p>
<p>«<strong>Bisogna comprare la terra, perché non ne fanno più</strong>». Il vecchio Serafino Ferruzzi lo diceva ai figli e al cognato (che a dire il vero non lo ascoltò troppo e preferì le sirene della finanza). Non avrebbe immaginato, il ravennate commerciante di sementi poi fondatore un impero, che non era proprio così. Perché <strong>in Italia il 40% dei terreni italiani è diventato sterile</strong>, cioè non si può più coltivare. A spiegarlo è <strong>Mario Tozzi</strong>, geologo, ricercatore al CNR e divulgatore scientifico. Ma quel che è più grave è che quel terreno non potrà essere recuperato per l’agricoltura.</p>
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<h2 id="h-desertificazione-italia-a-rischio-chiusura-un-azienda-agricola-su-dieci">Desertificazione Italia, a rischio chiusura un’azienda agricola su dieci</h2>
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<p>Con una parola che fa paura si definisce questo fenomeno come <strong>desertificazione</strong>, e l&#8217;Italia oggi c’è dentro in pieno. Un ruolo fondamentale in questo processo lo svolge la <strong>mancanza d&#8217;acqua</strong> che ha caratterizzato la primavera del 2022 e l&#8217;inizio dell’estate, e che sta creando danni pesanti all’agricoltura italiana.</p>
<p>Danni che si riflettono sui cittadini e sulle loro tasche, perché la penuria di risorse idriche causa anche un <strong>incremento dei prezzi al consumo</strong>, come denunciato dalla Coldiretti, che chiede all&#8217;Unione europea sostegno per l&#8217;agricoltura.</p>
<p>«Fra siccità e caro materie prime legato alla guerra in Ucraina – sottolinea la Coldiretti – <strong>più di un’azienda agricola su dieci</strong> (11%) <strong>rischia di chiudere</strong> ma ben circa 1/3 del totale nazionale (30%) si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di <strong>reddito negativo </strong>per effetto dell’aumento dei costi di produzione, secondo le elaborazioni del CREA. Una tempesta perfetta che si è abbattuta sulle aziende agricole con aumenti dei costi che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi al +129% per il gasolio».</p>
<p>La <strong>siccità</strong> diventa quindi l&#8217;ennesimo problema che si somma alla <strong>guerra</strong> e ai <strong>rincari dei fertilizzanti</strong>. «Alla mancanza di forniture si aggiungono le difficoltà determinate dai forti rincari dei prezzi che sono balzati – continua la Coldiretti – da un +150% a oltre +200%, con l’urea che è passata da 350 euro a 1.150 euro a tonnellata (+228%)».</p>
<p>La <strong>riduzione dei raccolti</strong> dovuta alla siccità – sono diversi gli agricoltori che stanno denunciando una produttività di molto inferiore – sarà il colpo di grazia anche per i <strong>consumatori</strong>, che vedranno presto i <strong>rincari sulle merci</strong>. Perché il combinato disposto tra meno prodotti a causa dei terreni arsi e improduttivi e maggiori costi di produzione rischia di far impennare i prezzi.</p>
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<h2 id="h-mario-tozzi-monocolture-e-mais-bevono-troppo-bisogna-diversificare">Mario Tozzi: «Monocolture e mais bevono troppo. Bisogna diversificare»</h2>
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<p>Il problema quest’anno ha toccato in maniera pesante le Regioni che di solito sono al riparo da queste difficoltà, cioè <strong>Lombardia</strong> e <strong>Piemonte</strong>, attraversate dal <strong>Po</strong>, dal quale un altro esperto di agricoltura nel XIX secolo – il conte Camillo Benso di Cavour – seppe trarre un’efficiente rete irrigua. Ancora prima, tra una guerra e l’altra, furono gli Sforza a creare la rete dei navigli, chiamando addirittura Leonardo Da Vinci come consulente. Oggi anche quelle prestigiose opere del passato, che hanno retto le sorti dell’agricoltura in Pianura Padana, servono a ben poco, come può vedere chiunque attraversi la piana, che poche volte è stata arsa come in questo periodo, con le colture che faticano e la terra che si rompe in alcuni punti.</p>
<p>Come due Regioni storicamente all’avanguardia in quanto a rete idrica siano arrivate a questo punto è complesso da capire. «L’allarme su Piemonte e Lombardia – dice Mario Tozzi – parte dall’<strong>uso sconsiderato della risorsa acqua </strong>che è stato fatto per una serie di colture massicce, come il kiwi e il mais, che ne bevono parecchia. In particolare il problema è concentrato sul <strong>mais</strong>, che assorbe grandi riserve idriche. È per questo che ci si dovrebbe <strong>concentrare meno sulla monocoltura</strong>, che è caratterizzante di molte zone del Nord Italia».</p>
<p>Nord che nel corso degli ultimi anni ha visto diminuire gli ettari di terreno che vengono coltivati, nonostante con lo scoppio della guerra in Ucraina il Governo abbia deciso di dare il permesso di aumentare le coltivazioni. Ma se la terra non c’è più non è facile da fare, e alla base di questo impoverimento ci sono i nostri comportamenti, che nonostante abbiano impoverito il terreno non hanno nemmeno risolto il problema alimentare.</p>
<p>«In questo momento – dice Tozzi – <strong>rispetto agli anni Sessanta noi stiamo sottocoltivando</strong>, e comunque continuare con le tradizionali colture come il mais, che assorbono molta acqua, non aiuta. Dobbiamo tornare alle <strong>colture naturali</strong> per diversificare. Abbiamo problemi anche con l&#8217;<strong>allevamento</strong>, perché tra l’altro richiede molto spazio e oggi ce n&#8217;è sempre di meno.»</p>
<p>La soluzione potrebbe essere un <strong>cambio di paradigma</strong> che rivoluzioni in modo completo l&#8217;agricoltura. «Ci sono – continua Tozzi – delle <strong>interessanti esperienze neo-rurali</strong>, dove si sceglie di diminuire il territorio coltivato del 10% e metterci il <strong>bosco selvaggio</strong>. In questo modo si riesce a conservare l&#8217;umidità e ad abbattere i parassiti; si produce di più e si contribuisce alla riduzione di pesticidi. Non si separa più l&#8217;agricoltura dell&#8217;allevamento. Ma in futuro si dovrà cominciare a puntare sulla <strong>manutenzione</strong>, sulla <strong>conservazione dell’acqua piovana nei mesi invernali</strong> e anche sulla <strong>sensibilizzazione</strong> all’uso della cosiddetta <strong>acqua occulta</strong>. Ma in generale bisogna imparare a <strong>diversificare</strong>. Basti pensare al fatto che oggi si consumano solo determinati tipi di pesce e altri non si trovano nemmeno più in commercio».</p>
<p>In Piemonte sono corsi subito (o quasi) ai ripari, <strong>razionando l&#8217;acqua</strong>, e in Lombardia è arrivata l&#8217;<strong>ordinanza regionale</strong>. È iniziata poi la solita ridda di vademecum su come risparmiare da parte delle amministrazioni comunali, che spesso in tempi non sospetti hanno sottovalutato il problema dell&#8217;acqua, oggi diventato quello della produzione cerealicola. Che la situazione fosse drammatica, però, si era capito almeno da aprile, quando le autorità d’ambito e gli esperti di settore lo stavano già denunciando. Alla base del problema, secondo l&#8217;Osservatorio ANBI sulle risorse idriche, c’era il “combinato disposto” tra la siccità peggiore in anni recenti e le temperature superiori addirittura al 2003, che rimane un anno record.</p>
<p>Il dato più allarmante in Pianura Padana è la <strong>risalita del cuneo salino</strong>, che sta marciando verso i trenta chilometri all&#8217;interno della piana a Ferrara. La carenza d’acqua ha una ricaduta anche a livello politico, soprattutto sui rapporti che coinvolgono la gestione delle acque del <strong>Lago Maggiore</strong> con la Svizzera e quella del <strong>fiume Isonzo</strong> con la Slovenia.</p>
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<h2 id="h-la-crisi-idrica-contagia-il-centro-italia">La crisi idrica contagia il Centro Italia</h2>
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<p>Ma le ricadute e i problemi principali continuano a riguardare l’<strong>agricoltura</strong>. Il problema è iniziato al Nord, ma si sta espandendo in tutta Italia.</p>
<p>I <strong>grandi bacini del Nord</strong> sono ai livelli minimi: i laghi di Como (13,5% di riempimento) e d’Iseo sono ormai vicini al record negativo, già più volte superato invece dal Lago Maggiore, oggi riempito al 20%. L’anno scorso, già caratterizzato al Nord da una sempre più ricorrente siccità, i bacini settentrionali erano in questo periodo ancora oltre il 90% del riempimento, e la neve sui monti era abbondante ben oltre la media.</p>
<p>«Dal Nord Italia – spiega l’ultimo report di ANBI – la <strong>crisi idrica</strong> sta ampliandosi giorno dopo giorno al Centro Italia, dove l&#8217;epicentro sta caratterizzandosi nel <strong>Lazio</strong>: grave è la situazione nel territorio dei Castelli Romani, dove i due laghi vulcanici, non avendo immissari naturali, dipendono principalmente dagli apporti pluviali, calati localmente di oltre il 75%, segnando il dato peggiore da inizio secolo. Sulla Regione, e in generale lungo la fascia tirrenica centro-settentrionale, l&#8217;indice SPI (Standardized Precipitation Index) fotografa una situazione peggiore di quella del siccitosissimo 2017, impattando negativamente anche sulle disponibilità d’acqua in falda. Continuano a calare vistosamente anche fiumi e bacini laziali: l&#8217;Aniene ha portata dimezzata, il Tevere è ai livelli minimi in anni recenti, il Sacco è sempre più a secco; il livello del lago di Nemi precipita a -1,88 metri (l&#8217;anno scorso era a +1,6 metri) e anche il lago di Bracciano registra un’ulteriore decrescita. Marcato è il calo di precipitazioni sul Lazio: il record negativo è di Ladispoli (solo 83 mm caduti dall’inizio del 2022, quando la media si aggira su 300 mm), ma anche a Roma si registrano cali del 63%, che sfiorano il 100% a maggio sull’Agro Pontino.»</p>
<p>Gli stessi problemi li hanno fiumi come il Po, il Tanaro e la Dora Baltea in Piemonte, e l’Adda, il Serio e l’Oglio in Lombardia. Proprio queste zone negli ultimi anni sono state toccate in particolare dalla desertificazione: quella climatica, che spacca il terreno e arde le colture, alla quale minaccia di aggiungersi il deserto di una politica che ancora una volta si fa cogliere impreparata nonostante gli allarmi siano stati diramati ormai da anni.</p>
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Ballone

Andrea Ballone

Lavora come giornalista da più di vent&#8217;anni. Collabora con Oggi, La Stampa e La Provincia Pavese. In passato ha scritto articoli per l&#8217;Espresso, il Sole 24 Ore e il Mondo. Si occupa di lavoro, scuola, pubblica amministrazione, volontariato, ambiente e criminalità organizzata. Su questo tema ha scritto anche il libro &#8220;Pizza, sangue e videopoker&#8221;, in collaborazione con l&#8217;associazione antimafia Libera, nel quale si ricostruisce l&#8217;ascesa di alcuni clan criminali nel Nord Italia.

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Il commento a SenzaFiltro del geologo e ricercatore del CNR su crisi idrica e desertificazione, che dal Nord minaccia di espandersi al Centro Italia, con effetti devastanti sull&#8217;agricoltura.

Altro che grano, è crisi idrica. Mario Tozzi: &#8220;Stiamo sottocoltivando, le monocolture bevono troppo&#8221; - Informazione senza filtro

https://backend.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/06/mario-tozzi.nobilita.jpg


<p><strong>Leonardo Del Vecchio</strong>, fondatore dell’impero degli occhiali <strong>Luxottica</strong>, è morto all’età di 87 anni. Con lui se ne va uno dei principi del capitalismo familiare; una polmonite aggravata dal COVID-19, dicono i medici che lo hanno tenuto in cura in questi ultimi mesi.</p>



<p>La holding di famiglia <strong>Delfin</strong>, secondo gli analisti della rivista specializzata Forbes, vale circa <strong>25 miliardi di dollari</strong>: non a caso nella classifica dei Paperon de’ Paperoni italiani Leonardo del Vecchio occupava il secondo posto, dopo Ferrero. Considerato per anni un outsider dal gotha del capitalismo italiano, rappresentato da Agnelli e Cuccia, Leonardo Del Vecchio passo dopo passo era riuscito a entrare dalla porta principale nelle cattedrali del capitalismo come Mediobanca e Generali.</p>



<p>Una crescita di ricchezza rapida e impressionante, se si pensa che la sua avventura imprenditoriale iniziò nel 1961. Un’ascesa inarrestabile, dovuta alla sua capacità di crescere verticalmente attraverso <strong>acquisizioni e fusioni di gruppi internazionali importanti</strong>, come ad esempio il gruppo Ray-Ban acquisito nel 1999; ma anche – non lo si può nascondere – all&#8217;utilizzo massiccio e fuori controllo<strong> del lavoro a domicilio</strong> presso le famiglie della zona, sul quale nessuno dei commentatori odierni vuole soffermarsi per un timore reverenziale verso l’uomo che si sarebbe fatto dal nulla.</p>



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<h2 id="h-leonardo-del-vecchio-un-colosso-coi-piedi-nel-lavoro-a-domicilio">Leonardo Del Vecchio, un colosso coi piedi nel lavoro a domicilio</h2>



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<p>Varrebbe la pena ricordare per onestà intellettuale che <strong>Leonardo Del Vecchio non si è fatto proprio dal nulla</strong>, come sostiene Luca Cordero di Montezemolo in una nota rilasciata alle agenzie.</p>



<p>Lo scaltro imprenditore dal <strong>1961</strong> al <strong>1967</strong> <strong>ha fatto intensamente ricorso al lavoro a domicilio nel paesino di Agordo e dintorni</strong>. In ogni casa di quel circondario in provincia di Belluno centinaia di lavoratori, per giornate che le otto ore le superavano ampiamente, senza alcun contratto di lavoro per buona pace dei sindacati e senza assistenza sanitaria, hanno contribuito all’<strong>accumulazione del capitale</strong> che ha consentito a Del Vecchio di fare grandi acquisizioni, grazie a una multinazionale che ha sostanzialmente il monopolio delle più grandi griffe di occhiali.</p>



<p>Un’accumulazione di capitale piuttosto dura, fondata spesso sul <strong>lavoro delle donne </strong>e – si racconta – in alcuni casi dei <strong>minori</strong>. Una storia per alcuni versi simile a quella dei Benetton, che ricorda l’accumulazione originaria nel 1700 in Inghilterra, raccontata da Carlo Marx nel <em>Capitale</em>. Come spiega Marx per argomentare la nascita del capitalismo e la sua rapida ascesa, a differenza dell’epoca feudale,<strong> non c’è merce più preziosa della forza lavoro</strong> per accumulare ricchezza con rapidità, grazie a una enorme estrazione di plusvalore che nessun’altra merce produce.</p>



<p>Nel <strong>2011</strong> Del Vecchio prese una decisione salutata anche dalla sinistra: oltre al salario <strong>distribuì azioni ai suoi dipendenti</strong>, conquistando il cuore di molte famiglie. </p>



<p>A proposito di Del Vecchio, <strong>Gian Antonio Stella</strong>, grande conoscitore del suo Veneto, in <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/gian-antonio-stella-e-quando-il-veneto-rinunciava-ai-funerali/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">un’intervista</a> che rilasciò a chi scrive, sempre su <em>SenzaFiltro</em>, concordava con la diagnosi, forse irriverente, che quella distribuzione fosse un modo per risarcirli o ringraziarli. Così giustificava l’ascesa dell’imprenditore: “Parliamo di aree svuotate da <strong>decenni di povertà ed emigrazione</strong>: <strong>quella di Del Vecchio era l’alternativa</strong>. Certo, così come per i contadini delle campagne inglesi nel 1700, le dodici ore del lavoro a domicilio poi sfociato nelle grandi fabbriche erano l’alternativa allo spopolamento delle campagne, ma ciò non toglie nulla allo sfruttamento che contribuì all’accumulazione rapida di capitale da parte di Luxottica”.</p>



<p>Gian Antonio Stella in quell’intervista rimarcava la matrice della cultura del lavoro in Veneto e di questo tipo di imprenditori che potremmo riassumere nel concetto di <strong>autosfruttamento</strong>: una vita dedicata soltanto al lavoro per quattordici ore al giorno. </p>



<p>Pur riconoscendo a Del Vecchio la grandissima capacità di aver saputo dapprima valorizzare un territorio e poi portarlo fuori dai suoi confini, dobbiamo iniziare a fare pace con il nostro passato. La cultura del lavoro è profondamente cambiata e ci piacerebbe che gli imprenditori moderni, al di là dei dovuti discorsi commemorativi, ringraziassero il passato ma guardassero al futuro.</p>



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<p><em>Photo credits: ripartelitalia.it</em></p>


Leonardo Del Vecchio e la multinazionale fatta in casa degli altri

<p>Il 22 giugno 2022 è una data storica per la <strong>cerealicoltura italiana</strong>: il grano duro qualità “fino” è quotato <strong>580 euro per tonnellata</strong> al Listino di Foggia. Mai prima è stata raggiunta questa cifra sulla piazza che indirizza il prezzo italiano dell’oro giallo agricolo; cifra che arriva a 595 euro a tonnellata per il biologico.</p>
<p>E la <strong>guerra tra Russia e Ucraina</strong> c’entra molto poco in una corsa al rialzo iniziata nel 2020 e che nessuno può escludere prosegua, anche a causa delle basse rendite per ettaro ottenute nei campi della piana del <strong>Tavoliere delle Puglie</strong>, <strong>dove si coltiva l’80% del prodotto nazionale</strong>. Le spighe del granaio d’Italia sono più leggere e vuote dello scorso anno: la media è di 25 quintali per ettaro, oscillante tra il <strong>20 e il 30% in meno</strong> della campagna 2021; su base nazionale, quindi, la produzione potrebbe passare da 3,9 a 3 milioni di quintali.</p>
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<figure class="aligncenter size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/06/trebbiatura-camion-scaled.jpeg"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="683" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/06/trebbiatura-camion-1024x683.jpeg" alt="Due camion procedono alla trebbiatura del grano in un campo del Tavoliere." class="wp-image-51147" /></a></figure>
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<h2 id="h-il-prezzo-del-grano-va-su-colpa-della-speculazione-non-della-guerra">Il prezzo del grano va su. Colpa della speculazione, non della guerra</h2>
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<p>“Il primo prezzo sul nuovo grano quotato alla borsa merci della Camera di commercio foggiana ci fa ben sperare in una <strong>stagione</strong>, <strong>se non positiva</strong>, <strong>almeno non in perdita</strong>”, commenta <strong>Filippo Schiavone</strong>, cerealicoltore alla guida di Confagricoltura Foggia e componente della Giunta nazionale dell’organizzazione. Prudenza che solo in apparenza stride con la quotazione record del 22 giugno, perché “l’aumento del prezzo di vendita è quasi del tutto compensato dalla minore resa realizzata su una superficie coltivata, in Italia, quasi del tutto identica a quella dello scorso anno”, spiega <strong>Antonio Stasi</strong>, docente di Economia e Politica agraria della facoltà di Agraria dell’Università di Foggia.</p>
<p>A dispetto della propaganda e degli allarmismi che fanno da corollario alla “guerra nel cuore dell’Europa”, a generare questo “incremento irragionevole, un vero e proprio shock economico”, come lo definisce Stasi, sono fattori macroeconomici classici – <strong>minor produzione e incremento dei costi energetici</strong> – enfatizzati dalla <strong>speculazione finanziaria</strong>, che agisce – questa sì – sulla leva emotiva del conflitto.</p>
<p>Alla fine del 2020 “i future sul petrolio erano arrivati praticamente a zero, deprimendo anche il valore dei prodotti agricoli poco deperibili, come i cereali, trasportati in tutto il mondo con le navi”, spiega il professore. A quel tempo bastavano 28 euro per acquistare un quintale di grano duro e i magazzini ne erano pieni, perché non conveniva vendere.</p>
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<h2 id="h-all-origine-del-rialzo-la-svalutazione-del-dollaro-e-l-incremento-del-prezzo-del-petrolio-del-2021">All’origine del rialzo: la svalutazione del dollaro e l’incremento del prezzo del petrolio del 2021</h2>
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<p>La <strong>campagna cerealicola del 2021</strong> ha fatto segnare la prima <strong>inversione di tendenza</strong> del mercato. A luglio di quell’anno sono stati diffusi i dati del <strong>raccolto in Canada e Stati Uniti: -50%</strong>. È il primo shock. “Solo il Canada esporta il 65% del grano mondiale, quindi si può immaginare quale effetto abbia avuto sui mercati un simile crollo dell’offerta”, afferma <strong>Umberto Sacco</strong>, a capo di una storica impresa foggiana di produzione e commercializzazione di semole e presidente del Comitato di Vigilanza e della Commissione Prezzi della Camera di commercio di Foggia (l’organismo che “governa” anche il listino prezzi del grano duro).</p>
<p>In quello stesso periodo la Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, ha avviato una <strong>manovra di svalutazione del dollaro</strong> a uso interno che ha avuto tra gli effetti collaterali <strong>l’incremento del prezzo del petrolio</strong>, il quale ha innescato il processo d’<strong>innalzamento del valore delle commodity </strong>nelle borse merci statunitensi, che a sua volta ha velocizzato la corsa al rialzo anche del <strong>prezzo del grano duro</strong>. Il 29 dicembre 2021 era già arrivato a 543 euro per tonnellata al listino di Foggia. E la guerra non era ancora iniziata.</p>
<p>Il 24 febbraio 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina, e <strong>l’incertezza sugli approvvigionamenti futuri di cereali a livello globale</strong> hanno alimentato la corsa al rialzo. “L’Italia trasforma annualmente circa sei milioni di tonnellate di grano duro – spiega il professor Stasi – dunque è un importatore netto di materia prima. Acclarato che sarebbe stato molto difficile, se non impossibile, acquistare grano dall’Ucraina e dalla Russia, si è dovuto cercare sul mercato la quota mancante”.</p>
<p>Ricerca diventata, per così dire, più affannosa anche a causa della pur minima <strong>riduzione della superficie coltivata</strong> a grano duro in Italia (-1,4% rispetto al 2021) e delle prime stime della resa dei campi italiani, influenzata negativamente dalle <strong>condizioni meteorologiche</strong> che hanno caratterizzato la primavera e l’inizio dell’estate e hanno annunciato un raccolto peggiore dello scorso anno. È in questa fase che l’azione speculativa a livello globale trova le condizioni ideali per far salire il prezzo dei cereali oltre cifre ragionevoli sul mercato dei derivati. A livello globale e non su scala nazionale: “<strong>Fenomeni strani di mercato non ne abbiamo rilevati</strong>”, afferma Umberto Sacco.</p>
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<h2 id="h-le-imprese-agricole-sono-salve-e-i-consumatori">Le imprese agricole sono salve. E i consumatori?</h2>
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<p>Acclarato che <strong>le imprese agricole</strong> almeno <strong>non ci perderanno</strong>, potendo più che probabilmente compensare il calo produttivo con l’incremento del prezzo spuntato al mercato, <strong>saranno i consumatori a subire gli effetti </strong>del contemporaneo aumento del costo della materia prima e del costo della sua trasformazione prima in semola e poi in pasta.</p>
<p>Ciò su cui il conflitto ha inciso direttamente e in modo negativo è l’enfatizzazione dell’incremento del <strong>prezzo dell’energia</strong>.</p>
<p>“<strong>Mulini e pastifici sono impianti energivori</strong> – continua Sacco – e oggi paghiamo bollette che sono quadruplicate rispetto allo scorso anno”. Un aumento esponenziale che si scarica sul prodotto finito. Meccanismo confermato dal docente di Economia e Politica agraria, che aggiunge una considerazione su “stockisti e pastai, entrambi oligopoli con elevatissimi livelli di concentrazione produttiva e commerciale, quindi con una altrettanto elevata capacità di trasmissione del maggior costo sul consumatore finale”.</p>
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<h2 id="h-le-nuove-scelte-colturali-europee-favoriscono-i-cereali">Le nuove scelte colturali europee favoriscono i cereali</h2>
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<p>“Dobbiamo convincerci che <strong>dobbiamo coltivare grano duro per convinzione e non per convenzione</strong>”, afferma il presidente di Confagricoltura Foggia quando si sposta l’attenzione dal presente al futuro prossimo.</p>
<p>La guerra, ad esempio, è esplosa quando le <strong>scelte colturali</strong> – cosa seminare e dove seminarlo – erano già state fatte e non si potevano modificare. Oggi, invece, quelle scelte si possono orientare e programmare in modo diverso e tale da contenere gli effetti negativi delle spinte speculative. L’Unione europea, infatti, ha inserito nel cosiddetto “pacchetto Ucraina” alcune <strong>deroghe ai vincoli della Politica Agricola Comune</strong>, e tra queste la possibilità di destinare i “terreni a riposo” – i campi non coltivati per almeno otto mesi, quelli incolti o quelli abbandonati – alla produzione di cereali.</p>
<p>La misura, per l’<strong>Italia</strong>, potrebbe favorire la coltivazione di circa <strong>200.000 ettari in più</strong> rispetto a quest’anno; terreni per il 50% situati in Puglia e, in massima parte, in provincia di Foggia. “Le intenzioni sono buone – afferma Filippo Schiavone – ma la misura è arrivata a marzo (<em>2021; N.d.R.</em>) a fronte di una semina prevista tra ottobre e novembre (<em>2020; N.d.R.</em>). C’è da sperare che non si tratti di un provvedimento spot, ma di una scelta strategica di medio lungo periodo”.</p>
<p>La favorevole dinamica di mercato dei cereali potrebbe anche <strong>sottrarre terreni alla produzione di alcuni tipi di ortaggi</strong>, ad esempio i <strong>pomodori</strong>, attualmente meno remunerativi per le aziende agricole e con maggiori incertezze nella relazione con le industrie di trasformazione o la grande distribuzione organizzata. Infine, se si allarga l’orizzonte della riflessione, “ci sono almeno due macro fattori globali di cui tenere conto: l’aumento della popolazione mondiale e la sovrapproduzione di alcune colture”, spiega Antonio Stasi. “Anche avendo a mente questi elementi, si potrebbero generare politiche di stimolo all’incremento della produzione di cereali a livello globale”.</p>
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Gianni di Bari

Ho speso 34 dei miei quasi 58 anni ad occuparmi di comunicazione. Ho iniziato come giornalista, pubblicista dal ‘92 e professionista dal ’97, per testate locali, regionali e nazionali. Sono passato alla comunicazione per le aziende e per le istituzioni, che pratico tutt’oggi. L&#8217;interesse professionale si è focalizzato sulla promozione delle produzioni agroalimentari italiane, anche facendo leva sulle connessioni tra cibo e cultura, e su azioni di marketing territoriale orientate all&#8217;incremento dei flussi turistici, anche attraverso la valorizzazione delle forme d&#8217;arte tradizionali. Nel mentre ho fatto parte del gruppo di progettazione e organizzazione del Gargano Film Festival, prima rassegna cinematografica estiva realizzata nel territorio garganico, e del concorso Sud in Corto, realizzato in collaborazione con la Warner Bros. Ho presieduto il Circolo Arci Bellamì, luogo di promozione della cultura teatrale e musicale di base, e gestito la vineria Anime Brille, nel centro storico di Foggia, dove organizzo rassegne teatrali, musicali e librarie. Il tempo del mio volontariato lo dedico all&#8217;organizzazione e alla comunicazione di eventi culturali e comunitari per l’associazione Casa Di Vittorio. MOTTO Sono senza filtro perché condividere un’opinione diversa fa bene a chi legge &#8212; MAIL DI REDAZIONE: gianni.db@fiordirisorse.eu Città di origine: Foggia Città di adozione: Quella dove trascorrerò la vecchiaia in riva al mare Titolo di studio: Diploma di maturità scientifica Il mio lavoro: È prevalente l’attività di comunicazione istituzionale e assistenza legislativa. Poi organizzo eventi ed elaboro progetti di marketing territoriale mentre collaboro a Senza Filtro Per SenzaFiltro scrivo di: Attualità e politica Film preferito: C’era una volta in America (Sergio Leone), però ho pianto al termine di The rise of Skywalker (ultimo capitolo della saga di Star Wars 40 anni dopo il primo visto al cinema) Disco preferito: “Harvest”, Neil Young (solo perché è stata la mia porta d’accesso al rock ‘n ‘roll) Libro preferito: Tutto ciò che hanno scritto Borges e Calvino

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Le ragioni dietro il rincaro del mercato cerealicolo sono da cercare nella speculazione e nelle manovre economiche USA del 2021. Scopriamo quali e che conseguenze avranno su mercato, aziende e consumatori con Filippo Schiavone (Confagricoltura Foggia), Antonio Stasi (docente di Economia e Politica agraria dell&#8217;Università di Foggia) e l&#8217;imprenditore Umberto Sacco (Camera di commercio di Foggia).

Il prezzo del grano tocca i 580 euro a tonnellata, ma non è colpa della guerra - Informazione senza filtro

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