Il prezzo della pasta lo fanno Canada e Stati Uniti, altro che guerra e rincari

SenzaFiltro intervista gli AD di due aziende produttrici di pasta, Marcello Pennazzi del pastificio Luciana Mosconi e Marina Mastromauro di Granoro. Analizziamo le previsioni di mercato e gli aumenti sul prezzo del prodotto finale: le prospettive da settembre in poi si fanno sempre più cupe.

“Quello che il consumatore non sa è che la crisi del grano è iniziata un anno fa, tra luglio e agosto, e la guerra sta solo aggravando la situazione. Parliamo di grano duro per la pasta, la distinzione va fatta sempre, e il Canada, che è uno dei produttori mondiali di riferimento, in quel periodo subì il primo drastico calo di produzione per diversi milioni di tonnellate a causa della siccità: quando si registrano simili carenze a livello internazionale, la ricaduta è a cascata ed è valso anche per l’approvvigionamento nazionale dell’Italia. Il mercato del grano è ormai un mercato globale, anche se un messaggio come questo non passa sempre in modo chiaro e univoco perché si confondono i piani senza avere il quadro generale di riferimento. Sebbene molte aziende utilizzino al 100% grani italiani, tra cui anche noi, è inevitabile che quando c’è penuria di grano a livello internazionale anche quel grano italiano viene richiesto all’estero, ed essendo la materia prima unica il costo sale. In Italia non c’è stata minore produzione, in Canada sì. La materia prima ormai è quotata a livello mondiale, questo è il concetto”.

La lunga inchiesta di SenzaFiltro sui rincari del grano offre la voce anche a chi il grano duro lo lavora nei propri pastifici, per farci spiegare come si forma il prezzo, chi e cosa incide, cosa non ci viene detto rispetto alla grande scusa della guerra in Ucraina: a parlare è Marcello Pennazzi, amministratore delegato del pastificio Luciana Mosconi, un marchio nato piccolo nelle Marche ma capace di scalare la ribalta nazionale.

Marcello Pennazzi, amministratore delegato del pastificio marchigiano Luciana Mosconi.

Marcello Pennazzi, AD pastificio Luciana Mosconi: “Da settembre dovremo fare i conti con la crisi”

“Già tra agosto e settembre 2021 gli aumenti sul costo della materia prima erano stati pari al 100% ma a livello di consumo e di costi finali l’effetto è arrivato a inizio primavera 2022, proprio in coincidenza con lo scoppio della guerra in Ucraina.

Come mai l’onda arriva così lunga?

Intanto, essendo aumentati i costi dei grani già un anno fa, magari i grandi player e i mulini avevano qualcosa stoccato in riserva, e comunque c’erano accordi contrattuali e commerciali su prezzi pattuiti e stabiliti, per quanto poi certamente un po’ rivisti alla luce dei fatti di attualità. Nell’agroalimentare, ad ogni modo, il momento inflativo si riversa con grande ritardo sul consumo finale, e questo lo dico a nome della nostra piccola azienda e di chi come noi occupa il settore dei piccoli-medi produttori; magari se una grande azienda decide di aumentare i propri listini riesce a farlo in modo più repentino rispetto a noi che dobbiamo mediare in modo diverso col distributore. L’onda arriva lunga, quindi, sia per i tempi tecnici del valore inflativo, sia soprattutto perché il mondo della grande distribuzione spesso non vuole o non è in grado di riversare l’aumento sul consumatore, proprio come accade per i produttori; chi mette la faccia davanti al consumatore proprio in virtù di questo patto di fiducia fa di tutto inizialmente per ammortizzare i maggiori costi. Lungo questa filiera del grano, però, c’è un terzo soggetto che è il più rilevante: il produttore di materia prima. Lui è l’unico che riesce a rivedere il prezzo in tempo quasi reale, o comunque nel modo più veloce rispetto agli altri soggetti della catena.

Sul grano il mondo dell’informazione ha detto tanto, forse troppo negli ultimi mesi, senza però mai spiegare in trasparenza le logiche reali. Complici poi, nemmeno a dirlo, anche le sedicenti notizie spesso strumentalizzate sui social, dove la corsa veloce verso il trend del giorno crea un corto circuito altamente pericoloso. Ricorderete il caso Divella poco dopo l’inizio della guerra in Ucraina, con la polemica sul “100% grano italiano” in etichetta sulla confezione di pasta e le dichiarazioni di Vincenzo Divella apparse su Repubblica accanto a quella immagine di un pacco di pasta integrale: “Il nostro grano è bloccato in Russia, possibili aumenti di prezzo”. In quel caso il grano stoccato in Russia non era affatto quello duro funzionale alla confezione di pasta ritratta nell’articolo, bensì grano tenero necessario alla produzione di farine da panificazione e pasticceria. Una disinformazione a mezzo social e giornali che, mai come nel caso del grano e della pasta, punta ancor di più alla pancia dei lettori.

Torniamo ai rincari e a che cosa si può intravedere nel medio periodo.

Chi vede il settore da dietro le quinte come voi che strategie può mettere in atto fin da ora per i prossimi mesi, diciamo fino a fine anno?

Noi prendiamo il grano da storici player nazionali che hanno esperienza e lungimiranza: tutti mi hanno detto che non hanno mai visto una cosa del genere da quarant’anni a questa parte. L’incertezza è massima, per tutti e a tutti i livelli. Chi fa pasta come noi deve navigare a vista e resistere ancora: in corso c’è anche una inevitabile quota speculativa che in un lasso di tempo mediamente gestibile vedremo che piega prenderà. Penso cioè al fatto che al massimo tra un mese, un mese e mezzo, avremo il nuovo raccolto, e quella fase sarà decisiva per il prossimo futuro. Più complicata, per noi produttori, sarà invece la gestione dei costi fissi in termini energetici. La nostra prima bolletta 2022 è arrivata moltiplicata per cinque rispetto agli altri anni. Dirò una cosa impopolare, ma noi produttori, a differenza dei cittadini, non abbiamo alcun margine di risparmio, non possiamo spegnere il riscaldamento e fare qualche legittimo sacrificio per abbattere i costi: dobbiamo far lavorare sempre le macchine, tenere accesi gli essiccatoi o i forni ventiquattro ore su ventiquattro. Per concludere, da qui al prossimo anno o anno e mezzo le aziende solide e patrimonializzate come la nostra per fortuna resisteranno; avremo di sicuro margini molto ridotti, ma piano piano cercheremo tutti di riposizionarci e la pasta avrà i suoi piccoli, inevitabili aumenti di prezzo, perché un po’ di inflazione arriverà fin lì, nonostante gli sforzi. Quel che è certo, e che già registriamo da dentro, è una contrazione dei consumi, ma l’estate e il bisogno di leggerezza non ci fanno cogliere fino in fondo la crisi in corso; da settembre bisognerà fare i conti con tutt’altro rigore, e i bilanci 2022 di fine anno soffriranno moltissimo, sia dentro le famiglie che dentro le imprese.

Come si fa il prezzo della pasta lungo la filiera. Marina Mastromauro, AD Granoro: “Il prezzo del grano si fa a Chicago, quello dell’energia ad Amsterdam”

Marina Mastromauro è l’amministratrice delegata di Granoro; ci siamo spostati a Sud, in provincia di Bari. La prima cosa che ci dice conferma in pieno che il rincaro non ha niente a che vedere con la guerra in corso e che gli aumenti si erano iniziati a far vedere già un anno fa, causa siccità fortissima oltreoceano.

“Proprio in questo periodo il mercato mondiale del grano è in fibrillazione perché si aspetta il raccolto di settembre per Canada e Stati Uniti, i due mercati di riferimento. È da lì che ogni anno si tirano le somme e si fanno previsioni, oltre che quotazioni, calibrando offerta e domanda. In questa fase di attesa si fanno i conti con la nostra produzione interna dove, almeno in alcuni areali pugliesi, si registra un calo della resa per ettaro: siamo intorno ai 20, 25 quintali per ettaro, media che solitamente per un grano di qualità è intorno ai 40, 50. Aspettiamo quindi di capire che cosa diranno le borse mondiali a settembre, soprattutto quella di Chicago.

Marina Mastromauro, amministratrice delegata del pastificio Granoro.

Quanto pesa la geografia italiana in un momento come questo per i produttori di pasta?

Pesa poco, perché essenzialmente in Italia si usa grano italiano per il 60-70% della produzione, e il 30% è quella famosa quantità che prendiamo dall’estero perché non copriamo l’intera produzione interna. Ricordo che l’Italia produce anche per una quota di mercato estero non da poco. Diciamo che in Europa si raccoglie un po’ di grano duro in Francia, in Spagna, in Turchia, ma per lo più – a copertura di circa un 50% italiano – arriva da Puglia e Sicilia.

Come ne risente invece, in termini di prezzo, la vostra linea dedicata che utilizza solo grani pugliesi?

Ci si illude che il grano di filiera abbia un prezzo fissato in rapporto al solo mercato locale, ma non è affatto così. La filiera è una formula che da un lato garantisce l’acquirente (cioè il pastificio) per una quantità di grano prodotta con parametri chiari, stabiliti in base alle proprie esigenze di pastificazione; dall’altro è un vantaggio per l’agricoltore, perché lo mette tranquillo sul fatto che tutto quello che produrrà avrà un acquirente finale certo, e che non sta lì a mercanteggiare. Ma il grano di filiera in ogni caso risente delle quotazioni delle borse nazionali e mondiali e il suo prezzo base di riferimento si fa là, non sul territorio locale. Vero è, però, che poi col grano di filiera scattano invece le premialità legate ad esempio al colore, alle proteine o alla qualità del glutine, ma è una valutazione che arriva dopo. Il fatto di cui si parla poco è che quando si arriva sui mercati mondiali, qualsiasi sia il prodotto, tutto acquisisce anche un valore speculativo. In energia mica sono cambiati i contratti con Putin, eppure ce la stanno facendo pagare di più perché si sa che i mercati vanno in tensione e da Amsterdam i grandi broker decidono per un continente intero, ma loro quell’energia l’hanno accumulata e pagata con costi di tutt’altro tenore. C’è ancora troppo non detto quando si parla di grano, e invece gli italiani dovrebbero sapere quello che succede dietro la pasta che comprano.

Il prezzo del gas in Europa si decide in territorio olandese perché ad Amsterdam ha sede l’ICE Endex, che gestisce lo scambio dei contratti – i futures all’interno del Title Transfer Facility (TTF): una sorta di punto di scambio virtuale del gas che funge da hub per tutta l’Europa continentale e che rende l’idea di quanta distanza ci sia tra la fame e il dato, tra la vita in carne e ossa e la speculazione mai sazia.

Chi continua a collegare guerra e rincari del grano non vuole bene a questo Paese, né all’informazione trasparente a cui avremmo diritto da cittadini e da consumatori.

Non dovremmo più mangiare bugie.

Leggi gli altri articoli a tema Grano.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.

Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro. 

Sottoscrivi SenzaFiltro

Photo credits: gea.com

CONDIVIDI

Leggi anche

Automotive, il mercato chiede l’elettrico e la Puglia non risponde: alla Bosch rischiano in 600

L’Italia non ha ancora un piano automotive per riconvertire la produzione in vista del 2035: così Marelli taglia su Bari e apre un impianto a Colonia. Capiamo perché la questione dello stabilimento Bosch barese ha un’eco continentale con Ciro D’Alessio (FIOM CGIL), Fabrizia Vigo (ANFIA) e Leo Caroli (task force per l’occupazione Regione Puglia).

Comunicazione digitale: Italia, ultima chiamata. La ripresa passa anche da qui

L’80% dei cittadini considera molto utile l’utilizzo di social network e chat per comunicare con le istituzioni e ricevere informazioni e servizi. Il 68%, praticamente 7 su 10, è favorevole all’utilizzo dei social per dare comunicazioni pubbliche ai cittadini. Praticamente 9 su 10 (l’88%) pensano che l’emergenza coronavirus abbia accelerato il lavoro del Paese sui temi […]