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Quando il tumore attacca il lavoro: riduzioni del reddito per un malato su due
In Italia più di mille diagnosi al giorno. I diritti dei malati oncologici sul lavoro esistono, ma sono ancora poco conosciuti: la patologia danneggia con più frequenza il rendimento delle categorie di lavoratori fragili. Ne parliamo con Elisabetta Iannelli, vicepresidente di AIMaC e segretaria generale di FAVO.
Lavoratori e lavoratrici con diagnosi di tumore: un connubio che spesso disarma evidenziando quanti stereotipi esistano ancora sull’argomento che rappresenta una situazione tangibile per numerose persone. Dati alla mano, nel nostro Paese si registrano più di 1.000 nuove diagnosi di tumore al giorno (fonte AIRTUM – AIOM, I numeri del cancro in Italia 2019).
Se da un lato vanno bandite le edulcorazioni, dall’altro va detto che l’informazione relativa ai diritti e alle forme di tutela adottabili da chi si trova a vivere la condizione descritta costituisce senza ombra di dubbio un elemento fondamentale per conciliare terapie e attività lavorativa. Il lavoro infatti, quando gratificante e sviluppato in un contesto “sano” dal punto di vista del rispetto della persona, oltre a essere una fonte di sostentamento economico, diventa anche una risorsa preziosa per affrontare meglio la patologia. Diversi studi dimostrano come mantenere un’attività lavorativa durante la fase di malattia favorisca la motivazione e la possibilità di andare incontro a un miglioramento della propria condizione di salute, sia fisica che mentale.
A prevenire e allo stesso tempo a scardinare pregiudizi e disinformazione ci sono realtà che da tempo tengono la guardia altissima sul tema, come AIMaC – Associazione Italiana Malati di Cancro. Ci confrontiamo con la vicepresidente Elisabetta Iannelli, anche avvocatessa e con carica di segretario generale in FAVO – Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia, che da anni affronta in prima linea questi punti salienti.
Malati oncologici e lavoro, l’inclusione fa bene a entrambi
Partiamo dai termini: il connubio lavoro e tumore desta ancora molto disarmo. E soprattutto, quanto sono cambiate le cose rispetto a quando veniva usata l’espressione “brutto male”?
“Per esperienza personale ho visto i cambiamenti avvenuti nel tempo”, afferma Elisabetta Iannelli. “Una volta il tumore era l’innominabile, con implicito quasi un senso di condanna; adesso si è invece arrivati a parlare di guaribile. Un cambiamento evidente c’è stato”. E puntualizza: “Purtroppo, però, la malattia oncologica è vissuta ancora oggi da diverse persone come un tabù, con la conseguente tendenza a nascondere in ambito lavorativo la diagnosi per paura di essere messi da parte o di perdere l’occupazione. Questa dinamica rischia di far sì che i malati oncologici siano malati invisibili che non utilizzano gli strumenti di tutela di cui i lavoratori hanno pieno diritto”.
Come scrivevamo, in Italia c’è una media di più di 1.000 nuove diagnosi al giorno per un totale di 373.000 all’anno. Si stima che siano quasi 3.300.000 le persone con una diagnosi di cancro (dati AIRTUM – AIOM, I numeri del cancro in Italia 2019). Considerando che una persona con tumore su tre è un lavoratore/una lavoratrice, è lampante come l’inclusione lavorativa dei malati oncologici rappresenti “un investimento sociale economicamente produttivo, oltre che un valore anche in termini di professionalità da tutelare”, come afferma con forza AIMaC.
Aumentano le guarigioni e la consapevolezza dei diritti, ma non basta
Non mancano dati positivi che rivelano un aumento delle guarigioni e una diminuzione del lasso di tempo che intercorre tra interventi o terapie e reingresso nella vita lavorativa; ciò non toglie che si tratti di una questione centrale che impatta sui vari aspetti della vita, incluso il lavoro.
I tumori fanno parte delle cosiddette malattie croniche non trasmissibili, che comprendono anche le patologie cardiovascolari e respiratorie oltre al diabete: tutte necessitano di una conciliazione tra i tempi di impegno lavorativo e i tempi richiesti da terapie, visite mediche ed esami diagnostici. Se manca la conoscenza degli strumenti attivabili si rischia di innescare disagi, difficoltà, pregiudizi e derive discriminatorie oltre alla perdita del lavoro stesso.
Uno dei punti su cui AIMaC si impegna a informare in maniera capillare è quello relativo alla disabilità oncologica e ai permessi 104. “È importante che il lavoratore con patologia oncologica sappia che è suo pieno diritto attivare questo strumento di tutela legato alla situazione temporanea”, sottolinea la vicepresidente di AIMaC. “Se da un lato persistono in alcuni ancora tabù e timori, dall’altro possiamo dire che la consapevolezza nei lavoratori con tumore rispetto ai propri diritti è in generale aumentata. Chi contattava AIMaC vent’anni fa chiedeva informazioni basiche, ora invece pone quesiti su casi particolari perché è più informata: insomma, di strada ne è stata fatta”.
Elisabetta Iannelli, AIMaC – FAVO: “Conoscere tutti gli strumenti di tutela, perché nessuno è la soluzione esclusiva”
Tanti passi in avanti grazie alla sensibilizzazione sostenuta da AIMaC e dalle altre associazioni, ben cinquecento, che compongono la rete FAVO.
“Come AIMaC facciamo formazione all’interno dei luoghi di lavoro coinvolgendo anche i datori e i dirigenti per prevenire possibili stigmi e far conoscere quali sono gli accomodamenti ragionevoli, ossia le soluzioni concrete da attivare al di là dell’approccio solidale che riscontriamo spesso”, spiega Elisabetta Iannelli. Una formazione che consente di essere equipaggiati per affrontare la situazione.
Oltre ai permessi 104, il collocamento obbligatorio, l’invalidità civile e le assenze per malattia: sono vari gli strumenti di conciliazione tempi di lavoro e terapie. Citandone alcuni ci sono ad esempio lo smart working e il telelavoro, il part-time, l’esenzione dalle fasce di reperibilità, le assenze per terapie salvavita, il pensionamento anticipato, i periodi di comporto, i permessi e congedi lavorativi, ferie e riposi “solidali”.
Inoltre il lavoratore con disabilità oncologica ha diritto a svolgere mansioni adeguate alla sua capacità lavorativa e a non fare turni di notte. Se gli viene riconosciuta la disabilità grave ha diritto a essere trasferito nella sede di lavoro più vicina possibile al proprio domicilio, e i trasferimenti non possono essere stabiliti senza il suo consenso. Da considerare anche il congedo retribuito per cure mediche connesse all’invalidità superiore al 50%.
“Nessuno degli strumenti a disposizione rappresenta la soluzione esclusiva per conciliare i tempi di cura e lavoro”, sottolinea Elisabetta Iannelli. “Resta importante conoscerli tutti per intercettare quelli più adeguati alla propria situazione. Da quanto abbiamo rilevato, il part-time risulta essere uno strumento purtroppo ancora poco conosciuto e quindi scarsamente adottato”.
La flessibilità rappresenta in ogni caso un elemento chiave da applicare sempre in risposta alla condizione del lavoratore con malattia.
Quando si ammalano le partite IVA: “Soluzioni insufficienti”
Rispetto alla questione gestionale dei contesti lavorativi Elisabetta Iannelli afferma: “Non abbiamo restituzioni dettagliate sui settori, ma possiamo dire che la riorganizzazione, sempre che ci sia la volontà di farla, risulta più semplice in aziende di grandi dimensioni. All’interno di realtà più ristrette, magari a conduzione famigliare, l’assenza del lavoratore richiede sicuramente maggiore sforzo riorganizzativo”.
La figura del o della disability manager nei contesti lavorativi costituisce un importante riferimento per la facilitazione di questa riorganizzazione richiesta dalla condizione di disabilità.
Il numero di tutele perde invece quota quando ci affacciamo su un ambito che in Italia già soffre di suo: quello delle partite IVA, che comprende liberi professionisti, lavoratori autonomi, artigiani e commercianti, per i quali ammalarsi è una doppia fonte di preoccupazione e di disagio.
“La situazione è maggiormente drammatica perché ci sono meno paracaduti sociali e previdenziali”, specifica la vicepresidente di AIMaC. “L’invalidità viene riconosciuta comunque, ma per ulteriori strumenti di tutela bisogna poi guardare alle casse di previdenza di riferimento: le soluzioni sono insufficienti se la patologia ha una certa gravità o si ripresenta nel tempo”. Non a caso il profilo di soggetto “fragile” da questo punto di vista è quello di una donna libera professionista sui cinquant’anni con tumore.
Se il tumore intacca il reddito. L’impatto lavorativo sui caregiver
Non c’è solo il lavoratore con diagnosi di tumore, ma anche coloro che hanno famigliari con patologia oncologica da assistere: parliamo dei e delle caregiver e degli impatti sulla loro vita lavorativa.
L’indagine FAVO – AIMaC del 2019 ha evidenziato che i caregiver lavoratori intervistati in un mese hanno perso 19,3 giornate di lavoro, il 12,5% ne ha perse 21 e il 26,9% dichiara di avere subito una riduzione di reddito dal momento in cui ha iniziato a occuparsi del paziente. La riduzione ammonta in media al 29% del reddito percepito, con punte di oltre il 70% (per il 18,5% degli intervistati) e di una quota variabile tra il 31% ed il 50% (per il 43,5%).
“Anche queste persone, che devono dedicare tempo all’assistenza, hanno diritto a degli strumenti e allo stesso tempo possono subire gravi discriminazioni sul luogo di lavoro che vanno sempre denunciate”, chiosa la vicepresidente di AIMaC.
L’indagine del 2019 rivela altri dati emblematici: tra i pazienti attivi al momento dell’insorgere della malattia, il 36% segnala un calo del rendimento lavorativo e solo il 55% dichiara di aver potuto mantenere il proprio reddito ai livelli precedenti.
Lo studio dimostra come la malattia rappresenti un fattore di debolezza nel mondo del lavoro soprattutto per le categorie già fragili: le donne hanno perso giornate di lavoro o di studio nel doppio dei casi degli uomini; il 45,8% dei lavoratori della fascia d’età 55-64 anni ha perso da sei a dodici mesi di lavoro nel corso dell’anno analizzato, il 2019. Confermata la sofferenza dei lavoratori autonomi e liberi professionisti.
Malati di tumore che perdono il lavoro: perché avviene e come comportarsi
C’è infine lo spettro della perdita di lavoro, e chiediamo a Elisabetta Iannelli quali siano le principali cause.
“Sono tra le più varie. Possono esserci alla base dinamiche discriminatorie o situazioni in cui il lavoratore stesso, presentando una patologia grave, sceglie il prepensionamento perché vicino alla pensione.”
In caso di discriminazioni è ancora più complesso, per chi già sta combattendo la battaglia contro la malattia, investire ulteriori energie in quella per la tutela dei diritti. Per questo è utile sapere a priori che cosa fare. “Avere una buona informazione permette di avere più frecce al proprio arco. Le associazioni dei pazienti sono un riferimento; nel caso di sospetta discriminazione occorre rivolgersi alle rappresentanze sindacali o a professionisti preparati in materia”.
Un percorso, quello dell’informazione, che mira a far sentire lavoratrici e lavoratori non un peso, ma una risorsa, ricordando – come afferma la frase cardine di AIMaC – che un diritto ignorato è un diritto negato, e questo vale per ogni segmento della vita. Non da ultimo quello del lavoro.
Sui siti di AIMaC e FAVO è possibile scaricare i libretti dei diritti del malato oncologico.
Leggi gli altri articoli a tema Sanità.
Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.
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Photo credits: lungcancercenter.com
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