Universitari No Green pass, bastone senza carota: alla protesta pacifica risponde la DIGOS

La certificazione verde viene applicata in modo autonomo dai vari atenei: è il caos. E gli Studenti No Green pass occupano il rettorato dell’Università di Torino. Il punto della situazione con gli studenti Luigi Leone Chiapparino (CNSU), Alessio Bellini, Alessia Giulimondi, e il docente Unibo Francesco Benozzo, sospeso da cinque mesi.

Vivere l’università ai tempi della pandemia non è affatto facile. Tra richieste di Green pass per accedere alle lezioni e in biblioteca, studenti che occupano il rettorato come a Torino, professori sospesi e senza stipendio da mesi, quello che dovrebbe essere il luogo deputato al sapere universale non sta attraversando un bel periodo.

Eppure raramente l’università fa notizia, anche perché, come ci dice Luigi Leone Chiapparino, presidente del CNSU (Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari), “è una minoranza, sono pochi quelli che la frequentano, mentre un figlio o un parente a scuola ce l’hanno tutti”.

Per capire che cosa sta vivendo chi la frequenta, abbiamo parlato con Alessio Bellini, che ha partecipato all’occupazione del rettorato, Alessia Giulimondi del coordinamento romano degli Studenti No Green pass, con il già citato Chiapparino e con il professor Francesco Benozzo dell’Università di Bologna, sospeso dall’ottobre scorso.

L’occupazione del rettorato di Torino degli Studenti No Green pass

Alessio fa parte del gruppo degli Studenti No Green pass: a livello nazionale, il canale Telegram conta più di 12.000 persone che si confrontano poi sui vari canali locali. “A Torino siamo in 1.700 su Telegram, 200 nel coordinamento. Ci sono sia vaccinati che non, oltre a chi è guarito dal COVID-19”.

Dall’agosto 2021, da quando cioè è entrata per la prima volta in vigore la certificazione verde anche per l’università (decreto 111 del 2021), gli Studenti No Green pass hanno organizzato diverse iniziative sul territorio nazionale: lezioni all’aperto, incontri, manifestazioni e azioni di “disobbedienza civile”, come #FuoriServizio.

“Una forma di resistenza non violenta”, spiega Alessio, “che dal 10 gennaio si tiene ogni lunedì per sensibilizzare sulle discriminazioni per prendere i mezzi pubblici (dove è richiesto il super Green pass, N.d.R.). Pensa: gli studenti possono entrare all’università con l’esito negativo di un tampone, ma non possono prendere i mezzi. E non tutti vivono vicino: chi viene dalla prima cintura di Torino deve farsi anche una ventina di chilometri”. Chi vuole aderire stampa dal sito nazionale i volantini presenti con l’hashtag #FuoriServizio e sale su un qualsiasi mezzo pubblico munito semplicemente del biglietto.

La richiesta di “disapplicare il Green pass agli ingressi di tutte le strutture universitarie, comprese biblioteche, aule studio e mensa” è sfociata dal 26 al 28 gennaio nell’occupazione del rettorato di Torino. “Abbiamo deciso di farlo perché siamo critici verso il Green pass, che non si è dimostrato uno strumento di prevenzione efficace del contagio. A darci un’ulteriore spinta, oltre all’aumento dei casi,  è stato che il 3 gennaio, con una mail, il rettore (Stefano Geuna, N.d.R.) ha imposto la DaD senza consultarsi con nessun organo rappresentativo. Dopo tutti i controlli e i tamponi, il fatto di tornare con le lezioni a distanza è stato un ulteriore incentivo”.

L’occupazione ha visto partecipare trenta studenti, ma “nel clou siamo arrivati anche a cinquanta, oltre a tutti coloro che erano fuori dal rettorato”. Continua Alessio: “Abbiamo occupato per tre giorni, il terzo siamo usciti scortati dalla DIGOS. Ci è stato dato un ultimatum: andarcene via entro 24 ore, se no saremmo stati denunciati. Il tutto senza riuscire a parlare davvero con il rettore, al quale abbiamo scritto una lettera che in un primo momento voleva ritirare Cristopher Cepernich (delegato del rettore per la comunicazione, N.d.R.), ma che poi siamo riusciti a consegnare a mano. L’ha ritirata e ci ha detto ‘Smettetela, tanto sapete come la penso’, ed è finita lì”.

Nella lettera gli studenti chiedono al rettore, oltre a togliere il controllo tramite il Green pass, lezioni ed esami garantiti in presenza e DaD solo per chi ha bisogno, di mantenere mascherine e tracciamento delle presenze se serve a garantire la sicurezza e non a causare disagi agli studenti.

“In virtù dell’autonomia universitaria”, spiega Alessio “a Torino si potrebbe decidere di non chiedere il Green pass”.

“In università con l’autonomia è il caos: i controllori non conoscono la loro funzione”

Autonomia che fa sì che ogni ateneo applichi i decreti a suo modo. Al Conservatorio Santa Cecilia di Roma, si legge sul sito degli studenti No Green pass, circa venti giorni fa un ragazzo non è riuscito a entrare per fare lezione, nonostante il Green pass base. Questo perché, secondo chi era addetto ai controlli, una circolare del direttore (di fatto mai mostrata) richiedeva il super Green pass. Lo studente, dopo varie insistenze, si è rivolto alla polizia e solo allora è riuscito ad accedere alla struttura.

“Questo” spiega Alessia Giulimondi del coordinamento romano “tradisce ciò che sta succedendo nelle università: c’è tanta confusione e ognuno, in virtù dell’autonomia, agisce a suo modo. Nel caso della Sapienza i controlli sono pochi perché è un sistema molto grande, ma dipende dalle facoltà. Con un gruppo di studenti abbiamo provato a entrare a Economia un mese fa: all’ingresso ci sono dei tornelli che non siamo riusciti a capire se fossero per via del Green pass o no, perché non siamo riusciti ad arrivarci. Siamo stati bloccati prima da un controllore che ci ha detto che non avevamo il diritto di stare lì e ha persino chiamato la polizia, che ovviamente non poteva fare nulla. Quella persona, come tante altre che sono lì senza conoscere la loro funzione, non sa che l’università è uno spazio pubblico e che non in quanto studenti non stavamo violando nulla”.

Tutto ciò contribuisce a creare “un clima di odio e conflitto sociale” chiosa Alessia che coordina il gruppo insieme a Valerio Casali. “Succede anche in biblioteca, per chi deve laurearsi, non c’è quell’accesso libero ai testi fondamentale per la tesi. Non c’è scambio umano, l’università così organizzata è un colpo alla ricerca e al mondo accademico. Per entrare, devi mostrare di avere effettuato una prenotazione e se sei un esterno puoi sì fare un’autocertificazione ma devi avere un riferimento interno che giustifichi la tua presenza. Non è più uno spazio aperto di conoscenza, anche cambiare aula diventa difficile così come studiare ovunque. Devi avere un motivo per fare tutto”.

“Immunodepressi esclusi, alloggi vincolati al Green pass. E chi è positivo o in isolamento non può dare esami a distanza”

Il problema dell’autonomia universitaria esiste da sempre e durante la pandemia ha riguardato tutte le misure di sicurezza, nel bene e nel male.

Spiega Luigi Chiapparino: “Abbiamo chiesto, senza esito, che venissero date delle linee guida sia per lo svolgimento della DaD che per le misure relative al Green pass. Come CNSU ci siamo concentrati più che altro sul fatto che ognuno potesse proseguire la sua carriera universitaria in tutte le circostanze: in questa direzione va per esempio la proroga dell’anno accademico, per la quale sembra che ci sia nuovamente un’apertura. Così come abbiamo chiesto che la DaD fosse largamente usata. Anche perché ci sono fuorisede che non sono potuti ancora rientrare. Così come alcuni atenei, proprio per la mancanza di linee guida, negano la possibilità di sostenere esami a distanza a chi è positivo al COVID-19 o in isolamento obbligato”.

“Ci sono poi gli stranieri che non hanno una vaccinazione riconosciuta in Italia, gli immunodepressi che non possono farla. Per non parlare degli alloggi accessibili solo a chi ha il Green pass: se si è arrivati a questo punto è perché ci sono situazioni problematiche e non sono stati introdotti dei correttivi per ridurre l’impatto negativo di tali misure, come potevano essere i tamponi gratuiti che avevamo chiesto anche per questioni di tracciamento. Come CNSU, una volta preso atto dell’autonomia, ci siamo messi a lavorare con le rappresentanze locali per risolvere le questioni il prima possibile.”

Francesco Benozzo, docente universitario sospeso da cinque mesi: “Il Green pass uccide il diritto allo studio”

L’università di questi tempi è problematica anche per i docenti. Francesco Benozzo, professore di Filologia e linguistica all’Università di Bologna, dall’ottobre 2021, come si legge sul sito dell’ateneo, “è al quinto mese di sospensione dall’università e dallo stipendio come conseguenza del rifiuto di esibire il cosiddetto Green pass per svolgere il proprio lavoro”.

“Sono contro questo strumento barbarico, non l’ho mai usato e non ho mai fatto un tampone. Adesso che ho il super Green pass da guarito potrei tornare, ma sarei incoerente con me stesso. Non lo faccio perché è una discriminazione per tutti, sia per gli studenti che per chi lavora in università. E con il recente obbligo vaccinale so che anche molti amministrativi stanno andando nella stessa direzione.”

Eppure la sua azione non ha ricevuto l’appoggio dei colleghi, neanche coloro che a settembre avevano firmato l’appello contro il Green pass (tra questi anche Alessandro Barbero). “In pochi si sono fatti vivi: l’università si sta dimostrando un dispositivo che anonimizza i suoi protagonisti. Gli accademici stanno evidenziando un’incoerenza palese tra ciò che insegnano e quel che fanno nella realtà. Gli studenti sono le uniche persone serie che si oppongono a questa discriminazione”.

Quando gli chiediamo che cosa ne pensa dell’occupazione del rettorato risponde senza indugi: “Sono andati a occupare legittimamente casa propria. Più che lottare per vie legali, bisogna puntare sulla disobbedienza, sul dissenso individuale. Se così fosse stato, in università ci sarebbero stati molti problemi, perché ognuno può fare qualcosa. Anche il mio direttore di dipartimento, quando è venuto a sospendermi, mi ha detto ‘in bocca al lupo, non posso fare diversamente’. Invece non è così: ognuno si può rifiutare. Il Green pass di fatto sta uccidendo il diritto allo studio, perché è assurdo che persone che pagano fior fior di tasse non possano accedere all’università”.


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Photo credits: lindipendente.online

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