La più grande inchiesta giudiziaria sul fenomeno degli schiavi dei volantini è stata condotta in Alto Adige: ha scoperchiato un sistema nel quale anche la criminalità organizzata, fiutando il business, sta cercando di entrare. Le indagini erano state coordinate dalla Procura della Repubblica di Vicenza.
Il meccanismo dello sfruttamento era stato spiegato dal colonnello Gabriele Procucci, comandante della Guardia di Finanza di Bolzano: “L’aspetto sconvolgente di questa vicenda è che l’organizzazione aveva messo in piedi una sorveglianza degli spostamenti e delle consegne con GPS applicati alle biciclette, senza che il lavoratori ne fossero a conoscenza”.
L’organizzazione che sovrintendeva alla distribuzione utilizzava 41 lavoratori stranieri, prevalentemente pakistani, indiani e algerini, tutti senza contratto di lavoro, che ogni giorno venivano trasportati e lasciati in diverse aree e Comuni della Bassa Atesina, tra Bolzano e Trento, con il compito di infilare in decine di migliaia di buche delle lettere pubblicità di supermercati, centri commerciali, market dedicati al bricolage.
Alcuni dei lavoratori, sottoposti a interrogatorio dalla Guardia di Finanza, hanno rivelato le condizioni nelle quali erano costretti a operare: in sella a vecchie biciclette, venivano sfruttati fino a tarda sera anche per 13-15 ore al giorno, sottoposti al controllo di un caposquadra e a costanti minacce di essere licenziati o malmenati qualora si fossero anche solo sognati di denunciare alle Forze dell’Ordine i soprusi subiti.
L’organizzazione, si legge nelle cronache dei quotidiani locali, era composta da cinque persone di nazionalità indiana e da due italiani. Per loro sono stati formalizzati i capi di imputazione di associazione per delinquere, illecita intermediazione e sfruttamento del lavoro, violazioni delle norme di sicurezza ed evasione fiscale.
Di nazionalità indiana l’uomo che aveva messo in piedi il sistema di volantinaggio in nero, fondato su una società con sede a Vicenza e regolarmente registrata, articolata poi in altre quattro ditte individuali e altrettante società per gestire al meglio la ramificazione dello sfruttamento in Trentino e nella parte meridionale della provincia autonoma di Bolzano.
La maggioranza degli schiavi dei volantini è risultata senza fissa dimora, senza legami famigliari in Italia e spesso costretti a vivere in condizioni igienico-sanitarie precarie. I “postini” venivano reclutati e spostati alla stregua di pacchi postali in varie zone del Nord Italia a seconda dei servizi di distribuzione che dovevano essere effettuati. Si è scoperto che i caporali sequestravano i documenti e utilizzavano la minaccia di rispedire i malcapitati al loro Paese quando qualcuno si azzardava a fare anche una minima rimostranza.