Anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è esibita nell’elogio all’agricoltura citando addirittura, e forse a sproposito, Cicerone: “L’agricoltura è ricchezza, è identità, è sviluppo, ma è anche qualcosa in più. Ce lo ricorda e ce lo insegna uno dei nostri più grandi antenati, Cicerone, che diceva: ‘Di tutte le arti dalle quali si ricava qualche profitto, nessuna è migliore dell’agricoltura, nessuna più redditizia, nessuna più dolce, nessuna più degna di un uomo, e di un uomo libero’”. Bisognerebbe chiederlo agli emigranti e agli italiani che raccolgono pomodori a tre euro all’ora, se si sentono uomini liberi.
Nessuno dei presenti si è si è degnato di ricordare a Giorgia Meloni che, con l’abolizione del Reddito di Cittadinanza e con la recente decisione di abolire l’ipotesi del salario minimo, il tanto decantato “modello agroalimentare italiano”, basato sulla cosiddetta sovranità alimentare, al di là della propaganda elettorale in vista delle elezioni europee, assomiglia molto ai modelli autarchici di Paesi poveri che hanno come unica leva il raffreddamento del costo del lavoro.
Neppure il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di solito così sensibile ai temi sociali, ha voluto evocare il fantasma del lavoro precario in agricoltura. Riferendosi all’agricoltura ha detto: “Un mondo che le riforme e le politiche della Repubblica e quelle dell’Unione europea hanno sollecitato, e che le imprese agricole hanno plasmato. Dovete, dobbiamo, esserne orgogliosi! Per il livello di qualità e di produzione di ricchezza raggiunti, per la profonda rivoluzione sociale che, anche nelle campagne, ha reso effettivi i principi di eguaglianza sanciti nei primi articoli della nostra Carta”.
Bene: forse quei principi di eguaglianza ricordati dal presidente qualche agricoltore se li è dimenticati.
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