Il ras della sanità laziale, ad oggi anche deputato in quota Lega e editore di tre quotidiani di destra, punta all’acquisto della seconda agenzia di stampa italiana, ma nella mediazione non sono coinvolti i lavoratori. Si profila una nuova stagione di conflitti di interessi?
Sfruttamento e salari bassi per l’agricoltura italiana da record
Massimo storico raggiunto dall’export dell’agricoltura made in Italy: si parla di 60 miliardi nell’UE e distanze accorciate nei confronti della Francia. Peccato che la competitività dell’Italia si basi su sfruttamento e salari bassi
Lo strabismo politico, se così vogliamo chiamarlo, ha dell’incredibile. All’assemblea di Confagricoltura che si è celebrata ieri a Roma, tutti si sono esibiti nell’elogiare il ruolo strategico e competitivo dell’agricoltura made in Italy, e nel sottolineare con orgoglio il massimo storico di 60 miliardi di euro raggiunto in Europa con l’export. Ma nessuno, neanche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (che ha parlato di sostenibilità delle aziende agricole, ma non ha accennato all’insostenibilità dei luoghi di lavoro), ha ricordato che se l’agricoltura italiana è così competitiva lo si deve anche al bassissimo costo del lavoro, ovvero alle forme più smaccate di sfruttamento attraverso la piaga del caporalato, e ai bassissimi salari che consentono all’Italia di produrre a prezzi competitivi. Insomma, l’impressione è che ieri il lavoro malpagato fosse il fantasma che si aggirava all’Assemblea di Confagricoltura senza mai essere evocato.
Né lo ha evocato il presidente Massimiliano Giansanti nel suo discorso: “Nel periodo che va dal 2013 al 2022, la quota italiana sulle esportazioni totali dell’UE verso i Paesi terzi – ha detto Giansanti – è passata dal 9,5% all’11,3%. La Francia è scesa dal 19,2% al 17,2%. Anche le industrie della trasformazione hanno dato prova di grande vitalità. L’industria alimentare è la terza al mondo per robot installati. L’intera filiera agroalimentare, dalle imprese agricole fino alla ristorazione, è arrivata a incidere per il 16% sulla formazione del Prodotto Interno Lordo. Tenendo anche conto dei mezzi tecnici per la produzione agricola, si sale oltre il 20%”.
Per quanto riguarda il lavoro, sono 1,4 milioni i posti assicurati dalla filiera. Numeri importanti “con potenzialità di crescita rilevanti”, ha detto Giansanti. Il presidente di Confagricoltura si è dimenticato di dire due cose: che tra gli agricoltori ce ne sono parecchi che usano il caporalato come strumento per ridurre il costo della forza lavoro attraverso salari da fame, e che l’Italia può essere competitiva con la Francia perché, come è noto, i salari italiani sono i più bassi d’Europa.
Da Meloni a Mattarella: se nel peana dell’agricoltura nessuno parla di caporalato
Anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è esibita nell’elogio all’agricoltura citando addirittura, e forse a sproposito, Cicerone: “L’agricoltura è ricchezza, è identità, è sviluppo, ma è anche qualcosa in più. Ce lo ricorda e ce lo insegna uno dei nostri più grandi antenati, Cicerone, che diceva: ‘Di tutte le arti dalle quali si ricava qualche profitto, nessuna è migliore dell’agricoltura, nessuna più redditizia, nessuna più dolce, nessuna più degna di un uomo, e di un uomo libero’”. Bisognerebbe chiederlo agli emigranti e agli italiani che raccolgono pomodori a tre euro all’ora, se si sentono uomini liberi.
Nessuno dei presenti si è si è degnato di ricordare a Giorgia Meloni che, con l’abolizione del Reddito di Cittadinanza e con la recente decisione di abolire l’ipotesi del salario minimo, il tanto decantato “modello agroalimentare italiano”, basato sulla cosiddetta sovranità alimentare, al di là della propaganda elettorale in vista delle elezioni europee, assomiglia molto ai modelli autarchici di Paesi poveri che hanno come unica leva il raffreddamento del costo del lavoro.
Neppure il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di solito così sensibile ai temi sociali, ha voluto evocare il fantasma del lavoro precario in agricoltura. Riferendosi all’agricoltura ha detto: “Un mondo che le riforme e le politiche della Repubblica e quelle dell’Unione europea hanno sollecitato, e che le imprese agricole hanno plasmato. Dovete, dobbiamo, esserne orgogliosi! Per il livello di qualità e di produzione di ricchezza raggiunti, per la profonda rivoluzione sociale che, anche nelle campagne, ha reso effettivi i principi di eguaglianza sanciti nei primi articoli della nostra Carta”.
Bene: forse quei principi di eguaglianza ricordati dal presidente qualche agricoltore se li è dimenticati.
Photo credits: confagricoltura.it
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