A fronte di tutto questo, va considerata la pochezza dei suoi avversari, dal declino cognitivo di Joe Biden alla mediocrità di Kamala Harris, una privilegiata di sistema che non è mai stata in grado di rappresentare le minoranze pur facendone parte almeno sulla carta, e con uno spiacevole passato autoritario nei suoi trascorsi da Procuratrice generale della California. Harris aveva il compito non facile di distinguersi da Biden senza rinnegarne l’operato, obiettivo che non è riuscita a raggiungere.
“Harris non ha fatto niente per differenziarsi da Biden, ha dato prova di forte ipocrisia sulla posizione palestinese e non ha avuto un’idea propria di che cosa fare sull’economia. La sensazione era che votando Harris saremmo finiti dritti alla terza guerra mondiale”, racconta a SenzaFiltro Rob Dolci, manager italiano con cittadinanza americana, negli States da un quindicennio. “Trump invece ha puntato molto sulla cessazione dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente. Per fortuna si è reso conto di non poter fare tutto da solo, per cui ha messo in squadra Gabbard e Kennedy, due ex democratici molto ben visti da chi è più moderato. Nonostante i media dicessero il contrario, il sentimento che si percepiva parlando con la gente era di certo più a suo favore”.
Sui manifesti lei era Kamala dove lui era Trump, secondo quell’espediente che chiede di essere chiamati per nome per creare una confidenza posticcia. Nei programmi elettorali la situazione era ben diversa.
Il programma democratico di Harris è un documento di 82 pagine, curato e ricco di dati, grafici e pianificazioni; tutta fuzzy math in confronto alle 16 facciate di quello repubblicano, impaginato in modo elementare e pieno di suggestioni stringate quanto vaghe. I democratici avevano un piano credibile che puntava sulle piccole e medie imprese e alla de-escalation delle tensioni commerciali con l’Oriente: non è servito, e non ha raccolto il favore della categoria a cui più si rivolgeva – i lavoratori.
Certo, che all’interno del programma dem il nome di Trump sia citato per ben 135 volte non deve aver aiutato. Lo stesso avviene sul sito di Harris, che dedica un’intera pagina a contestare le intenzioni del tycoon, e lo chiama in causa una volta ogni due occorrenze del nome della candidata. Al contrario, sul sito (e sul programma) repubblicano, di Harris non compare neppure l’ombra.
La domanda, a questo punto, diventa quali saranno gli effetti dell’elezione di Trump. “Qui in America continuano a dire che l’economia farà faville, ma sarà vero per i più ricchi, non per la classe media”, prosegue Dolci. “Si spera che Trump continui con la politica di reshoring della produzione di tecnologie; è da vedere se Kennedy riuscirà a fare anche solo una parte minima di ciò che ha promesso sulla salute, visto che gli Stati Uniti hanno un’aspettativa di vita inferiore di dieci anni rispetto all’Europa, però pagando il doppio – le conseguenze di considerare la sanità un mercato e i malati dei clienti. La mia speranza personale è che si recuperi il rispetto per le istituzioni, che abbiamo perso dai tempi dell’avvicendamento tra Bush e Obama. Questo sempre che Trump non subisca altri attentati, o non venga perseguito per i suoi processi pendenti di qui a gennaio, cosa ancora possibile. In entrambi i casi, rischieremmo uno stato di forte tensione sociale”.